Leucemia linfoblastica acuta: nuovi dati su Car-T


Leucemia linfoblastica acuta: primi segnali di attività per le CAR-T bispecifiche anti-CD19/CD22 secondo uno studio di fase 1 appena presentato

Leucemia linfoblastica acuta: primi segnali di attività per le CAR-T bispecifiche anti-CD19/CD22 secondo uno studio di fase 1 appena presentato

Il trattamento con le cellule CAR T di nuova generazione bispecifiche, dirette cioè contro un doppio bersaglio sulla cellula tumorale, si è associato a una risposta promettente in pazienti con leucemia linfoblastica acuta da precursori delle cellule B ricaduta/refrattaria, in uno studio di fase 1 appena presentato al congresso virtuale dell’American Association of Cancer Research.

Inoltre, le CAR T utilizzate nello studio, che hanno come target gli antigeni CD19 e CD22 espressi sulle cellule B leucemiche, sono apparse ben tollerate nella popolazione di pazienti analizzata.

«Questa prima esperienza con le CAR T bispecifiche anti-CD19/CD22 ha mostrato che possiedono attività clinica, con una CRS (la sindrome da rilascio di citochine, ndr) reversibile e una neurotossicità limitata» ha detto Haneen Shalabi, del dipartimento di oncologia pediatrica del Center for Cancer Research del National Cancer Institute. «Si sono osservate risposte in tutti i pazienti che non erano già stati trattati prima con CAR T e le risposte si sono dimostrate dose-dipendenti, con un’espansione maggiore delle CAR T nei pazienti con un carico elevato di malattia».

Doppio target per ridurre il rischio di fuga antigenica

Attualmente, sono approvati e disponibili (anche in Italia) solo due prodotti a base di CAR T per i pazienti pediatrici e giovani adulti fino a 25 anni con leucemia linfoblastica acuta recidivata/refrattaria: tisagenlecleucel (Kymriah) e axicabtagene ciloleucel (axi-cel, Yescarta), CAR T di seconda generazione, dirette entrambe contro l’antigene CD19.

Con queste due CAR T, nella leucemia linfoblastica acuta pediatrica si sono osservati risultati straordinari, con tassi di remissione fino al 90%. Tuttavia, una quota di pazienti che può arrivare al 20% si rivela refrattaria al trattamento o presenta almeno una ricaduta, ed è ormai chiaro che il principale meccanismo responsabile della recidiva è la perdita dell’antigene bersaglio delle CAR T, la cosiddetta ‘fuga antigenica’, che dà luogo a una recidiva definita CD19-negativa.

Per superare quest’ostacolo, la Shalabi e i colleghi hanno sviluppato nuove CAR T bispecifiche, dirette contro gli antigeni CD19 e CD22, con la speranza che colpendo entrambi gli antigeni si possa ridurre il rischio di perdita dell’antigene, e quindi di ricaduta della malattia.

Lo studio

Per il loro studio di dose-escalation (NCT03448393), che è tuttora in corso, i ricercatori hanno arruolato 15 pazienti, di cui finora ne sono stati trattati 13. L’età mediana del campione è di 19,6 anni (range 5,4-28,5). Quattro pazienti sono stati trattati con il livello di dose 1 (3 x 105 cellule CAR T trasdotte/kg di peso del paziente), altri quattro con il livello di dose 2 (1 x 106 cellule CAR T trasdotte/kg) e cinque con il livello di dose 3 (3 x 106 cellule CAR T trasdotte/kg).

Cinque dei 12 pazienti valutabili (tutti trattati con il livello di dose 2 o 3) hanno una ottenuto una risposta completa e tutti hanno raggiunto la negatività della malattia minima residua (MRD). Quattro di questi cinque pazienti non erano mai stati trattati prima con CAR T e 8 su 12 sono risultati MRD-negativi anche nel midollo osseo. Quattro pazienti hanno ottenuto una risposta parziale. Il tasso di risposta complessivo è dunque del 69%.

Tutti i partecipanti hanno mostrato un’espansione delle cellule CAR T, ha riferito la Shalabi, ma la loro persistenza è apparsa limitata. La mediana della percentuale di cellule CAR T nel sangue periferico al momento del picco è risultata del 7% (range 0-55). Al giorno 28, la mediana del picco nel midollo osseo è risultata dell’1,3% (range: 0-22).

Risposte incoraggianti, ma persistenza limitata delle CAR -T

Tramite la citometria a flusso, i ricercatori hanno rilevato la presenza delle CAR T nel sangue periferico fino a una mediana di 45,6 giorni (range: 13-87); i dati di persistenza misurata con la PCR, invece, non sono ancora disponibili.

La Shalabi ha spiegato che la persistenza limitata delle CAR T probabilmente contribuisce alle recidive CD19-positive. «Servono ora un follow-up più lungo e una coorte più ampia per valutare la doppia funzionalità di queste CAR T».

Finora, due pazienti dei cinque che avevano mostrato una risposta completa hanno recidivato e in entrambi i casi la recidiva è risultata CD19/CD22 positiva: un paziente è ricaduto dopo il trapianto di cellule staminali, 265 giorni dopo l’infusione, mentre nell’altro la recidiva è stata più precoce, 123 giorni dopo il trattamento.

Tre pazienti restano in remissione a una mediana di 7 mesi dall’infusione (range: 1-8 mesi). Un paziente è stato sottoposto a un primo trapianto di cellule ematopoietiche dopo la ristadiazione, uno è tuttora in remissione completa a 7 mesi dall’infusione senza aver fatto alcuna terapia di intervallo e uno è ancora in remissione completa a 6 settimane dall’infusione ed è in attesa di un secondo trapianto.

Tossicità sempre reversibili

Le CAR T anti CD19 si associano spesso a effetti avversi come la CRS e la neurotossicità, che possono essere molto pericolosi per i pazienti e risultare addirittura letali se si sviluppano in forma grave e non sono riconosciuti per tempo e trattati in modo adeguato e tempestivo.

Per esempio, in un’analisi del 2018 dello studio ELIANA (NCT02435849), il trial che ha portato all’approvazione di tisagenlecleucel, il 46% dei pazienti ha avuto una CRS di grado 3/4 e il 47% è stato ricoverato in terapia intensiva per la gestione di questa complicanza. Per questo, una delle direttrici lungo cui si muove la ricerca sulle CAR T è proprio quella di cercare di mettere a punto opzioni più sicure.

Nello studio presentato all’AACR, sei pazienti (il 46%) hanno sviluppato una CRS, che tuttavia è stata di grado 3 o superiore solo in due casi (15,4%), entrambi trattati con il livello di dose intermedio. Tre pazienti (due trattati con il livello di dose intermedio e uno con il livello di dose più alto) sono stati trattati con tocilizumab per la gestione del problema.

Invece, solo un paziente, trattato con il livello di dose più alto, ha sviluppato anche neurotossicità ed è stato trattato con tocilizumab per la CRS e con gli steroidi per la neurotossicità.

Fatto importante, la Shalabi ha sottolineato come le tossicità siano state reversibili in tutti i pazienti sottoposti all’infusione.

I progetti per il futuro

Per il futuro, ha concluso l’autrice, i ricercatori intendono testare un livello di dose aggiuntivo, intensificare la linfodeplezione per i pazienti già trattati in precedenza con altre CAR T e valutare la correlazione fra le caratteristiche del prodotto e gli outcome.