Il Coronavirus in Ecuador raccontato dai missionari


L’emergenza Coronavirus in Ecuador raccontata da due missionari laici “fidei donum” della diocesi di Padova, che vivono da un anno e mezzo a Guayaquil

Il Coronavirus in Ecuador raccontato dai missionari

“L’ordine a restare a casa ha messo in luce le forti divisioni della società dell’Ecuador, soprattutto qui nelle regioni costiere: non comporta particolari problemi per la minoranza ricca che vive in case grandi e spaziose, è semplicemente impossibile per la maggioranza che abita in piccole costruzioni di canna e lamiera, dove si condivide una sola stanza in sei o sette persone”: a parlare sono Alessandro Brunoni e Francesca Lo Verso, missionari laici “fidei donum” della diocesi di Padova, da un anno e mezzo a Duran, un sobborgo della citta più popolosa dell’Ecuador, Guayaquil.

Intervistati dall’agenzia Dire (www.dire.it), i due missionari parlano dell’impatto che la pandemia da Covid-19 sta avendo sul Paese latinoamericano e delle conseguenze delle misure restrittive che il governo del presidente Lenin Moreno ha messo in atto per contenerla. Negli ultimi giorni, le notizie che arrivano dalla provincia di Guayaquil indicano un numero di decessi molto più elevato di quelli registrati dalle fonti ufficiali. I missionari confermano “che i dati non sono molto affidabili e che i morti possono essere molti di più dei circa 560 di cui parla il governo”.

Questo aspetto rattrista ma non sorprende, secondo Brunoni: “Il Covid-19 qui si è andato ad aggiungere alla fame, alla malattia del dengue e ad altri disturbi causati da problemi legati all’alimentazione e allo stile di vita, come diabete e ipertensione”. Secondo il missionario, ci sono poi delle circostanze ambientali e sociali che rendono le misure di distanziamento sociale del tutto vane. “Qui le temperature medie sono intorno ai 35 gradi, con un’alta percentuale di umidità e di conseguenza le persone non possono fare altro che uscire” dice Brunoni. “In genere non si allontanano ma nelle zone più povere c’è una tale densità di popolazione che basta che ognuno si metta davanti alla propria porta di casa per creare un assembramento”.

Aggiunge Lo Verso: “Oltre la metà della popolazione dell’Ecuador vive alla giornata, non ha un contratto di impiego”. In Ecuador chi non lavora in regola non ha neanche diritto a una copertura sanitaria e il rischio quindi è duplice: “Se si ammala rischia molto di più – denuncia la missionaria – ma al contempo, se vuole avere qualcosa da mangiare per sé e per la sua famiglia, deve uscire”.

Nonostante le difficoltà, la diocesi di Padova continua le sue attività di supporto alla popolazione: “Abbiamo creato kit alimentari – racconta Lo Verso – composti da riso, banane e alcuni degli alimenti più consumati qui”. In base alle disposizioni del governo, i missionari hanno un solo giorno alla settimana per poter uscire con la macchina, per poche ore al giorno. E’ inoltre in vigore un coprifuoco dalle due del pomeriggio alle cinque di mattina, che viene fatto rispettare dall’esercito. “Approffittiamo per fare un’unica grande spesa” dice Brunoni. “Poi prepariamo i pacchi e quando possiamo riuscire li distribuiamo”.

Entrambi i missionari concordano sul fatto che c’è una cosa che la pandemia non è riuscita a distruggere: il senso di umanità e solidarietà. “Nonostante tutte le circostanze – dicono – ci sono persone che si sono offerte di aiutarci nella distribuzione, che ci donano qualcosa da dare a chi ha meno”. Brunoni e Lo Verso aggiungono: “Qui non ci sono hasthag, non ci si dice che andrà tutto bene forse. Però le persone affrontano le loro paure per aiutare il prossimo, e lo fanno con il cuore”.

di Brando Ricci