Coronaropatia: rivaroxaban alleato dei diabetici


Coronaropatia stabile o arteriopatia periferica, benefici assoluti con rivaroxaban più evidenti nelle persone con diabete secondo lo studio COMPASS

Coronaropatia stabile o arteriopatia periferica, benefici assoluti con rivaroxaban più evidenti nelle persone con diabete secondo lo studio COMPASS

Nell’ambito dello studio COMPASS, condotto su pazienti con malattia coronarica stabile o malattia arteriosa periferica (PAD), la combinazione di aspirina più rivaroxaban, alla dose di 2,5 mg due volte al giorno, ha fornito un beneficio assoluto maggiore in termini di endpoint cardiovascolari – inclusa una tripla riduzione della mortalità per tutte le cause – nelle persone con diabete rispetto alla popolazione complessiva. I risultati del sottoinsieme ‘diabete’ dello studio COMPASS sono stati presentati nel corso della sessione scientifica “virtuale” dell’American College of Cardiology 2020 (ACC.20 )/World Congress of Cardiology (WCC) e pubblicati simultaneamente online su “Circulation”.

«L’uso della doppia via di inibizione con rivaroxaban a basso dosaggio e aspirina è particolarmente interessante nei pazienti ad alto rischio come quelli con diabete» ha sottolineato il ricercatore principale Deepak Bhatt, del Brigham and Women’s Hospital Heart & Vascular Center, Boston, Massachusetts.

I risultati dello studio COMPASS sono stati riportati per la prima volta nel 2017 e hanno che mostrato una nuova dose bassa di rivaroxaban (2,5 mg due volte al giorno) più aspirina, al dosaggio di 100 mg una volta al giorno, era associata a una riduzione degli eventi ischemici e della mortalità e a un beneficio clinico netto superiore, bilanciando il beneficio ischemico rispetto al sanguinamento grave, in confronto alla sola aspirina per la prevenzione secondaria nei pazienti con malattia vascolare aterosclerotica stabile. I clinici però sono stati lenti a recepire il dato e a prescrivere rivaroxaban in questa nuova e molto ampia popolazione.

I risultati dello studio COMPASS e dell’attuale sottoanalisi
Nello studio COMPASS un totale di 18.278 pazienti sono stati assegnati in modo casuale alla combinazione di rivaroxaban e aspirina o aspirina da sola. Di questi, 6.922 avevano diabete mellito al basale e 11.356 non avevano diabete.

I risultati dell’analisi attuale mostrano una riduzione coerente e simile del rischio relativo in favore di rivaroxaban più aspirina rispetto a placebo più aspirina nei pazienti con e senza diabete per l’endpoint primario di efficacia, un composito di morte cardiovascolare, infarto del miocardio (IM) o ictus, con un rapporto di rischio (hazard ratio, HR) di 0,74 per le persone con diabete e 0,77 per quelle senza diabete, ha riportato Bhatt.

A causa del rischio basale più elevato nel sottogruppo con diabete, questi pazienti presentavano una riduzione del rischio assoluto numericamente maggiore con rivaroxaban rispetto a quelli senza diabete per l’endpoint primario di efficacia a 3 anni (2,3% vs 1,4%) e per la mortalità per tutte le cause (1,9% vs 0,6%).

Questi risultati si traducono in un numero necessario per il trattamento (NNT, number-needed-to-treat) con rivaroxaban per 3 anni per prevenire una morte CV, un IM o un ictus di 44 per il gruppo con diabete contro 73 per il gruppo dei non diabetici; l’NNT per prevenire una morte per qualsiasi causa era 54 per il gruppo con diabete contro 167 per il gruppo dei non diabetici, ha riferito Bhatt.

Poiché i rischi di sanguinamento erano simili nei pazienti con e senza diabete, il beneficio clinico netto assoluto (IM, ictus, morte cardiovascolare o sanguinamento fatale/sintomatico in un organo critico) per rivaroxaban è stato «particolarmente favorevole» nel gruppo con diabete (2,7% in meno di eventi nel gruppo del diabete contro 1,0% in meno di eventi nel gruppo dei non diabetici), ha aggiunto.

Un’impostazione di trattamento più praticabile nei pazienti ad alto rischio ischemico
«Sono passati più di 2 anni dai risultati principali dello studio COMPASS, e non ha senso che questa terapia non si sia ancora diffusa», presidente dell’attuale sessione ACC in cui sono stati presentati i risultati del sottogruppo del diabete, ha commentato Hadley Wilson, del Sanger Heart and Vascular Institute,  di Charlotte (North Carolina), presidente della sessione in cui sono stati presentati i dati di Bhatt e colleghi.

Per questo motivo Wilson ha chiesto a Bhatt se il sottogruppo delle persone con diabete potesse essere «il punto di svolta che renderà i clinici consapevoli delle potenzialità di rivaroxaban e che potrebbe poi riversarsi su altri pazienti».

«Come comitato direttivo di questo studio possiamo dire che i risultati sono positivi e che quindi rivaroxaban dovrebbe ora essere usato in chiunque abbia una coronaropatia stabile o un’arteriopatia periferica ma ciò è impraticabile e, difatti, non è successo» ha risposto Bhatt.

«In medicina vascolare abbiamo abbracciato questa nuova terapia. Nel più ampio mondo della cardiologia ci sono molti pazienti con coronaropatia stabile ad alto rischio ischemico che potrebbero assumere rivaroxaban, ma il suo uso è limitato dal fatto che esiste un rischio di sanguinamento » ha spiegato Bhatt.

«Penso che si debbano identificare i pazienti con il più alto rischio ischemico e concentrare farmaci come questo, con un certo rischio emorragico, su coloro che molto probabilmente trarranno la massima riduzione assoluta del rischio» ha aggiunto.

«Il sottogruppo con arteriopatia periferica è un gruppo di questo tipo e ora abbiamo dimostrato come anche il sottogruppo con diabete sia un altro gruppo con le stesse caratteristiche. E non vi è alcun rischio di sanguinamento incrementale in questo gruppo su tutta la popolazione, quindi i pazienti ottengono un beneficio molto maggiore senza un rischio maggiore. Spero che questo aiuti la prescrizione più frequente di rivaroxaban con la nuova dose più bassa» ha proseguito Bhatt.

Quali criteri adottare per la scelta del primo farmaco da prescrivere?
A Bhatt è stato poi chiesto quali fossero, a suo avviso, i criteri per prescrivere per primo uno dei tanti nuovi agenti ora disponibili per i pazienti con malattia coronarica stabile. «Quando un paziente ha diversi fattori di rischio che non sono ben controllati, tutto può essere importante. Attraverso una check-list si deve cercare di capire cosa come ridurli ulteriormente» ha risposto.

«Nello studio COMPASS c’è stato un risultato complessivamente positivo con rivaroxaban in tutta la popolazione. E ora abbiamo dimostrato che i pazienti con diabete avevano una riduzione del rischio assoluto ancora maggiore. Questo schema è stato osservato anche con altre classi di agenti tra cui le statine, gli inibitori del PCSK9 e l’icosapent etile» ha osservato Bhatt.

«Nei pazienti con diabete, di solito occorre concentrarsi su ciò che è più evidente in quel momento. Se il controllo glicemico fosse completamente fuori controllo, mi bisognerebbe concentrarsi innanzitutto  su un inibitore SGLT2 o un GLP-1 agonista» ha spiegato.

«Se fossero fuori controllo le LDL, si può aggiungere ezetimibe o un inibitore del PCSK9. Se i trigliceridi fossero alti, si può aggiungerei l’icosapent etile. Se più fattori fossero fuori controllo, occorrerebbe concentrarsi per prima cosa sul valore più alterato e cercare di non dimenticare il resto» ha precisato.

«Se i pazienti fossero a basso rischio di sanguinamento e se ancora ad alto rischio ischemico nonostante avessero sotto controllo altri fattori di rischio , in tal caso si potrebbe aggiungere questo bassa dose di rivaroxaban» ha concluso Bhatt.