Leucemia mieloide acuta: nuovi dati su venetoclax più chemio


Leucemia mieloide acuta: con venetoclax più chemioterapia primi dati incoraggianti nei pazienti pediatrici. I dati pubblicati su The Lancet Oncology

Leucemia mieloide acuta: con venetoclax più chemioterapia primi dati incoraggianti nei pazienti pediatrici. I dati pubblicati su The Lancet Oncology

L’aggiunta dell’inibitore della proteina anti-apoptotica Bcl-2 venetoclax alla chemioterapia ad alte dosi ha mostrato un’attività incoraggiante e un profilo di sicurezza accettabile in uno studio di fase 1 che ha coinvolto pazienti pediatrici con leucemia mieloide acuta recidivata o refrattaria. Il trial è stato pubblicato da poco su The Lancet Oncology.

Ventoclax rappresenta un «passo avanti» per i pazienti pediatrici con leucemia mieloide acuta recidivata o refrattaria. Titola così l’editoriale di commento allo studio, firmato da Richard Aplenc, del Children’s Hospital of Philadelphia della University of Pennsylvania.

«La sicurezza e l’attività di questa terapia nella malattia recidivata o refrattaria suggeriscono che dovrebbe essere testata anche in pazienti pediatrici con leucemia mieloide acuta di nuova diagnosi ad alto rischio» scrivono, inoltre, nelle loro conclusioni gli autori dello studio, guidati da Seth E. Karol, del St Jude Children’s Research Hospital di Memphis.

Nel suo editoriale, Aplenc va oltre e afferma che i risultati sono «entusiasmanti» e «lo studio è rilevante per diversi motivi». Innanzitutto, scrive l’esperto, «non solo è la prima pubblicazione su una rivista peer-reviewed nella quale si è valutata l’efficacia di venetoclax in una popolazione pediatrica, ma è anche la prima valutazione della combinazione di venetoclax con la chemioterapia intensiva per la leucemia mieloide acuta. Pertanto, oltre alle loro implicazioni per i bambini, questi risultati sono rilevanti anche per il gruppo, molto più ampio, di pazienti adulti con leucemia mieloide acuta che sono idonei per la terapia intensiva».

«Questo studio, pertanto, continua la tradizione della rigorosa ricerca oncologica pediatrica, con un effetto che supera quello sui bambini malati di tumore, che sono in numero proporzionalmente limitato» aggiunge Aplenc.

Venetoclax è attualmente approvato come trattamento per la leucemia linfatica cronica, pertanto uno suo impiego nei pazienti con leucemia mieloide acuta rappresenta una potenziale nuova indicazione.

Lo studio
Lo studio pubblicato su Lancet è un trial di dose-escalation, condotto in tre centri statunitensi ed è apparentemente il primo a impiegare venetoclax in bambini e giovani adulti con leucemia mieloide acuta ricaduta, osservano gli autori nella discussione.
«Abbiamo scoperto che la combinazione di venetoclax e citarabina ad alte dosi, con o senza idarubicina, è stata attiva e ben tollerata» scrivono Karol e i colleghi.

Infatti, il 70% dei 20 pazienti valutati trattati con la dose raccomandata per la fase 2 ha mostrato una risposta completa con o senza recupero ematologico completo dopo un ciclo di terapia.

Lo studio ha arruolato fra l’1 luglio 2017 e il 2 luglio 2019 un totale di 38 pazienti di età compresa tra 3 e 22 anni (mediana: 10 anni), di cui quattro con leucemia mieloide acuta refrattaria, 33 con leucemia mieloide acuta recidivata e uno con leucemia mieloide acuta recidivata con fenotipo misto; di questi, due non sono stati trattati con la combinazione venetoclax più chemioterapia a causa della progressione rapida della malattia o di un’infezione e sono stati quindi esclusi da ulteriori analisi.

Tutti i pazienti presentavano una funzione d’organo e un performance status adeguati.

Durante la dose-escalation, i pazienti sono stati trattati con venetoclax per via orale una volta al giorno in cicli di 28 giorni alla dose di 240 oppure 360 mg/m², in combinazione con citarabina 100 mg/m² per 20 somministrazioni o 1000 mg/m² per otto somministrazioni per via endovenosa ogni 12 ore, con o senza idarubicina (12 mg/m² in singola dose endovenosa).

L’endpoint primario era l’identificazione della dose raccomandata per la fase 2 della combinazione venetoclax più chemioterapia (definita come la dose più alta con la quale venivano trattati sei partecipanti e al massimo uno presentava una tossicità dose-limitante), mentre l’endpoint secondario era la percentuale di pazienti trattati con la dose raccomandata per la fase 2 che raggiugevano la remissione completa o la remissione completa con recupero ematologico incompleto.

Risposta quasi del 70%
Dopo un follow-up mediano di 7,1 mesi, la risposta alla fase 1 della terapia, determinata mediante l’analisi del midollo osseo tra i giorni 35 e 49, è risultata valutabile in 35 pazienti, 24 dei quali (69%) hanno mostrato una risposta al trattamento. Più specificamente, 16 (46%) hanno ottenuto una risposta completa, quattro (11%) una risposta completa con recupero ematologico incompleto, quattro (11%) una risposta parziale e 11 (31%) non hanno risposto.

«I nostri dati suggeriscono che le risposte complete potrebbero essere più frequenti quando venetoclax è combinato con la chemioterapia ad alte dosi rispetto alla citarabina a dosi intermedie» osservano gli autori.

Pertanto, la dose raccomandata per la fase 2 della combinazione è stata fissata in venetoclax 360 mg/m² (massimo 600 mg) in combinazione con citarabina 1000 mg/m² per dose per otto dosi, con o senza idarubicina 12 mg/m² in dose singola.

Utilizzando questo dosaggio, i tassi di risposta sono risultati superiori. Infatti, dei 20 pazienti valutabili trattati con la dose raccomandata per la fase 2, 14 (70%) hanno mostrato una risposta completa con o senza recupero ematologico completo e due (10%) hanno mostrato una risposta parziale.

Gli eventi avversi più comuni di grado 3/4 sono stati neutropenia febbrile (66%), infezioni del circolo ematico (16%) e infezioni fungine invasive (16%). In un paziente, riferiscono gli autori, si è registrato un decesso correlato al trattamento causato da colite e sepsi.

Mancata risposta nei pazienti con mutazioni di FLT3
Nonostante le risposte siano state «nel complesso incoraggianti, alcuni sottogruppi di pazienti hanno risposto poco» osservano Karol e i colleghi. L’analisi delle lesioni genetiche ricorrenti in questa popolazione ha rivelato che nessuno dei cinque pazienti con mutazioni attivanti di FLT3 ha risposto al trattamento. «Questo risultato è coerente con dati precedenti secondo i quali campioni con mutazioni attivanti da FLT3 hanno mostrato di essere resistenti a venetoclax». Pertanto, aggiungono, «la combinazione di venetoclax con inibitori di FLT3 rappresenta un approccio terapeutico attraente per questi pazienti».

Nel suo editoriale, Aplenc scrive, inoltre, che «anche la possibilità che venetoclax possa migliorare l’efficacia dei regimi di induzione non contenenti un’antraciclina è interessante», sottolineando che «il tasso di risposta a venetoclax combinato con la chemioterapia intensiva non sembra essere modificato dall’inclusione di un’antraciclina nel regime chemioterapico».

In particolare, sette pazienti su 11 (il 64%) non trattati con idarubicina e sei su 9 (il 67%) trattati con idarubicina hanno ottenuto una risposta completa a parità di dose di venetoclax. «La sostituzione di un’antraciclina con venetoclax avrebbe un impatto immediato perché il protocollo di chemioterapia standard del Children’s Oncology Group per i bambini affetti da leucemia mieloide acuta sottopone i pazienti a un’esposizione cumulativa elevata di antraciclina, che provoca morbilità e mortalità cardiaca sia a breve sia a lungo termine» conclude l’editorialista.