Mieloma multiplo recidivante, belantamab efficace


Mieloma multiplo recidivante o refrattario: belantamab mafodotin si dimostra efficace per i pazienti secondo lo studio di fase 2 DREAMM-2

Mieloma multiplo recidivante o refrattario: belantamab mafodotin si dimostra efficace per i pazienti secondo lo studio di fase 2 DREAMM-2

Belantamab mafodotin, un nuovo coniugato anticorpo-farmaco (ADC) diretto contro l’antigene di maturazione delle cellule B (BCMA), rappresenta un trattamento promettente, con un profilo di sicurezza gestibile, per i pazienti con mieloma multiplo recidivante o refrattario, una popolazione per la quale vi è tuttora un forte bisogno terapeutico insoddisfatto. Lo dimostrano i risultati dello studio di fase 2 DREAMM-2, pubblicato di recente su The Lancet Oncology.

Il tasso di risposta obiettiva (OOR), che era l’endpoint primario del trial, è risultato di circa il 30%, una percentuale simile a quelle che si ottengono con gli altri farmaci approvati nel setting del mieloma refrattario.

Sulla base risultati di questo studio, nel gennaio 2020 la Food and Drug Administration ha concesso la priority review, cioè un esame accelerato del dossier registrativo, a belantamab mafodotin come trattamento per i pazienti con mieloma multiplo recidivante/refrattario già trattati con un farmaco immunomodulante, un inibitore del proteasoma e un agente anti-CD38.

I presupposti
Gli approcci più nuovi allo studio per la cura del mieloma multiplo hanno una caratteristica in comune: hanno tutti come bersaglio il BCMA. Tra questi, oltre agli ADC come belantamab mafodotin, ci sono gli anticorpi bispecifici e le cellule CAR T.

Rispetto agli altri due tipi di terapia anti-BCMA, gli ADC presentano alcuni vantaggi. «In primis, a differenza delle CAR T, sono prodotti ‘off the shelf’, già pronti e disponibili sugli scaffali al momento del bisogno. In secondo luogo, non richiedono necessariamente l’ospedalizzazione che può rendersi necessaria nel caso degli anticorpi bispecifici e delle CAR T per la gestione di possibili complicanze come la sindrome da rilascio di citochine (CRS) o altre» ha spiegato in un’intervista l’autore principale dello studio, Sagar Lonial, del Winship Cancer Institute della Emory University di Atlanta.

I primi dati pubblicati su belantamab mafodotin sono quelli dello studio DREAMM-1, un trial di fase 1 volto a definire sicurezza, farmacocinetica, farmacodinamica, attività clinica e dose da utilizzare negli studi successivi in pazienti con mieloma recidivante/refrattario e altri tumori ematologici maligni in stadio avanzato che esprimono BCMA.

In questo studio, l’ORR è risultato del 60%, con tre risposte complete e due risposte complete stringenti. La sopravvivenza mediana libera da progressione (PFS) è risultata compresa fra gli 11 e i 12 mesi, mentre la durata mediana della risposta è stata di 14,3 mesi. Nella popolazione di pazienti penta-refrattari, tuttavia, i numeri sono molto risultati più piccoli rispetto alla popolazione complessiva, con un ORR del 35-40% e una PFS mediana era di circa 4 mesi.

Lo studio DREAMM-2
Nello studio DREAMM-2, un trial multicentrico internazionale, in aperto, a due bracci, Lonial e i colleghi hanno ha testato due dosi di diverse di belantamab mafodotin in 196 pazienti con mieloma multiplo recidivante/refrattario, la cui malattia aveva progredito dopo tre o più linee di terapia e che erano refrattari agli immunomodulatori e agli inibitori del proteasoma e refrattari o intolleranti (o entrambe le cose) a un anticorpo anti-CD38.

Complessivamente, 97 pazienti sono stati trattati con 2,5 mg/kg e 99 con 3,4 mg/kg di belantamab mafodotin, somministrato mediante infusione endovenosa ogni 3 settimane, il giorno 1 di ogni ciclo, fino alla progressione della malattia o alla comparsa di una tossicità non tollerabile dal paziente.

Tasso di risposta del 30% circa
L’ORR, ha riferito Lonial, è risultato abbastanza simile nelle due coorti: 31% con la dose più bassa e 34% con quella più alta.
La PFS mediana è risultata di circa 3 mesi e la durata della risposta sembra essere molto superiore, ha sottolineato il professore, a suggerire che le risposte ottenute sembrano essere durature.

Eventi avversi oculari sorvegliati speciali, ma gestibili
Sul fronte degli eventi avversi, ne sono emersi di due grandi categorie. Una è quella della tossicità oculare, che può essere trattata con desametasone e gestita con modifiche e aggiustamenti della dose di belantamab mafodotin, che permettono ai pazienti di continuare il trattamento, a volte con una breve pausa.
La seconda è quella della tossicità ematologica, che non era inattesa, dato che belantamab mafodotin è un ADC, e che è facilmente gestibile dalla maggior parte degli ematologi, ha spiegato Lonial.

L’autore ha sottolineato anche la necessità, nella gestione dei pazienti trattati con l’ADC, di collaborare con un oculista per un pronto riconoscimento e la gestione dei sintomi oculari, che rappresentano il problema principale dal punto di vista della sicurezza.

Le altre tossicità sono state per lo più quelle correlate all’infusione, come è la regola per la maggior parte degli ematologi.

I prossimi passi

Guardando al futuro, Lonial ha detto che i prossimi passi da compiere con belantamab mafodotin riguarderanno la ricerca di altri agenti da combinare con questo ADC e ci sono già studi in corso in cui si stanno valutando varie combinazioni.

In particolare, nei prossimi trial si valuterà la combinazione con farmaci standard, come bortezomib, lenalidomide, pomalidomide e carfilzomib, ma anche con gli inibitori del checkpoint immunitari, per vedere se è possibile sfruttare la morte cellulare immunogenica per stimolare una risposta immunitaria che può durare più a lungo del tempo in cui viene somministrato il farmaco.