Artrite psoriasica, apremilast più efficace su remissione


Artrite psoriasica, apremilast è più efficace sulla remissione quanto più l’attività di malattia di partenza è moderata: i risultati di un nuovo studio

Artrite psoriasica, apremilast è più efficace sulla remissione quanto più l'attività di malattia di partenza è moderata: i risultati di un nuovo studio

I pazienti affetti da artrite psoriasica (PsA) hanno maggiori probabilità di raggiungere i target di trattamento (remissione o ridotta attività di malattia) con apremilast, una “small molecule” orale che inibisce PDE4, se partono da un’attività di malattia moderata anziché elevata.

Questo il messaggio principale proveniente da uno studio di recente pubblicazione su Arthritis Care & Research.

Lo studio suffraga anche il ricorso all’indice cDAPSA (più semplificato rispetto all’indice originario DAPSA raccomandato dalle linee guida) per monitorare gli outome nei pazienti trattati con apremilast, in quanto i domini non intercettati da questo indice si muovono nella stessa direzione indicata dall’indice semplificato cDAPSA.

Lo studio

“Una domanda attualmente ancora senza risposta è quella relativa al modo migliore per identificare gli strumenti più appropriati per monitorare l’attività di malattia nei pazienti con PsA che potrebbero presentare diverse manifestazioni di malattia – scrivono i ricercatori nell’introduzione al lavoro – A tal riguardo, le raccomandazioni treat-to-target per la PsA suffragano l’impiego di un indice (DAPSA: the Disease Activity Index for Psoriatic Arthritis) come strumento valido per monitorare il raggiungimento dei target di trattamento”.

“Da questo indice – continuano i ricercatori – è derivata una misura correlata, indicata come “the Clinical DAPSA” (cDAPSA) che esclude la misurazione dei livelli di CRP, già utilizzata nella pratica clinica. Dal momento che cDAPSA di focalizza prevalentemente sulle manifestazioni articolari, resta da capire se i pazienti che raggiungono i target di malattia (remissione o ridotta attività di malattia) con apremilast sono in grado di arrivare ad un controllo complessivo della malattia, considerando un ampio spettro di manifestazioni di malattia non intercettate con l’indice in questione (coinvolgimento cutaneo, entesite o dattilite)”.

I ricercatori hanno fatto un’analisi post-hoc dei dati in pool provenienti dai tre studi registrativi PALACE sull’impiego di apremilast nella PsA allo scopo di esaminare la probabilità di raggiungere i target di trattamento identificati dal cDAPSA – remissione o ridotta attività di malattia.

Gli studi PALACE 1, 2 e 3 erano tre trial di fase 3 multicentrici, in doppio cieco, che prevedevano la randomizzazione di pazienti adulti con PsA, secondo lo schema 1:1:1, al trattamento bis die con apremilast 30 mg o 20 mg o a trattamento con placebo.

I pazienti del gruppo placebo che, a 16 settimane, non avevano sperimentato un miglioramento della conta delle articolazioni tumefatte o dolenti di almeno il 20% erano stati nuovamente randomizzati ad uno dei due dosaggi di apremilast previsti dal protocollo dei trial in questione. I pazienti rimanenti del gruppo placebo, invece, erano stati nuovamente randomizzati ad apremilast, continuando la terapia fino ad un anno.

L’analisi post-hoc pubblicata si è focalizzata su 494 partecipanti ad uno dei tre trial, per i quali erano disponibili informazioni sull’indice cDAPSA, prevedendo valutazioni longitudinali per i pazienti raggruppati per categoria cDAPSA ad un anno.

Risultati principali
Tra i pazienti analizzati, il 46,9% di quelli con attività di malattia iniziale moderata ha raggiunto la remissione o la ridotta attività di malattia ad un anno, rispetto al 24,9% di quelli con attività di malattia elevata iniziale.
Non solo: tra i pazienti con moderata attività di malattia iniziale, piccoli miglioramenti di questo parametro (riduzione di almeno il 30% dell’indice cDAPSA) a 16 settimane sono risultati predittivi di successo nel raggiungimento dei target di trattamento.

I partecipanti allo studio che hanno raggiunto la remissione o la ridotta attività di malattia a 16 settimane hanno mostrato probabilità maggiori di rimanere in questa condizione ad un anno.
Inoltre, su 375 pazienti analizzati per i quali erano disponibili i dati sul cDAPSA ad un anno, è emerso che il raggiungimento dei target di trattamento con apremilast era associato ad un miglioramento continuo dell’attività di malattia, indipendentemente dalla presenza o meno di artrite di grado lieve e di altra sintomatologia associata alla PsA.

Riassumendo
Presi nel complesso, i risultati di questa analisi forniscono una base di partenza per la selezione e il monitoraggio dei pazienti con maggiori probabilità di raggiungere risposte di trattamento ottimali con apremilast nella pratica clinica – scrivono i ricercatori nelle conclusioni del lavoro”.

“Un altro obiettivo importante di questa analisi – aggiungono – è stata la valutazione della rilevanza di cDAPSA come indicatore di risposta di trattamento complessiva ad apremilast. Dal momento che cDAPSA non intercetta il raggiungimento del controllo di tutte le manifestazioni di PsA, ci si è chiesti se l’impiego di questo indice  non fosse appropriato, a fronte di una maggiore praticità d’utilizzo. I risultati hanno mostrato che I pazienti trattati con apremilast che avevano raggiunto i target di trattamento ad un anno avevano sperimentato anche miglioramenti dei domini muscoloscheletrici e non che non vengono direttamente intercettati da cDAPSA”.

“Tale osservazione  – concludono – è di particolare rilevanza ai fini della validazione di cDAPSA come strumento per monitorare i pazienti trattati con apremilast nella pratica clinica di routine”.