Parkinson: risultati positivi per antileucemico nilotinib


Un antileucemico contro il Parkinson: in fase 2 nilotinib offre prime indicazioni incoraggianti secondo i risultati pubblicati su “JAMA Neurology”

Un antileucemico contro il Parkinson: in fase 2 nilotinib offre prime indicazioni incoraggianti secondo i risultati pubblicati su "JAMA Neurology"

Nilotinib, farmaco approvato per il trattamento della leucemia mieloide cronica con cromosoma Philadelphia positivo, può essere utilizzato come terapia modificante la malattia (DMT) nei pazienti affetti da malattia di Parkinson? È ancora presto per dirlo ma i risultati di uno studio di fase 2, pubblicato su “JAMA Neurology”, sembrano offrire favorevoli indicazioni in questo senso.

Lo studio in questione, più precisamente, aveva come obiettivo principale quello di valutare gli effetti di nilotinib sotto i profili della sicurezza, della tollerabilità e della farmacocinetica.

Un obiettivo secondario era quello di valutare gli effetti del farmaco su biomarcatori esplorativi del liquido cerebrospinale (CSF), inclusi i metaboliti della dopamina, l’acido omovanillico (HVA) e l’acido 3,4-diidrossifenilacetico (DOPAC), nonché l’α-sinucleina e la tau. Un obiettivo esplorativo, infine, consisteva nel valutare gli effetti sui sintomi motori e non motori del PD al basale e a 6, 12 e 15 mesi.

Il razionale della scelta del farmaco
«Il nilotinib cloridrato è un inibitore multichinasico che agisce preferibilmente sui recettori Abelson (Abl) e sui recettori per il dominio discoidina e riduce efficacemente le proteine malripiegate in vari modelli di neurodegenerazione» spiegano gli autori, guidati Fernando L. Pagan, del Translational Neurotherapeutics Program presso il Dipartimento di Neurologia del Georgetown University Medical Center di Washington.

Il farmaco è approvato per il trattamento della leucemia mieloide cronica con cromosoma Philadelphia positivo alla dose di 300 mg bid per os. «Diversi studi hanno riportato che basse dosi di nilotinib entrano nel cervello e degradano l’α-sinucleina e la proteina tau in modelli animali di neurodegenerazione» spiegano. Inoltre, «uno studio precedente ha suggerito che nilotinib può aumentare il metabolismo della dopamina e potenzialmente trattare i sintomi motori e non motori del PD».

Il disegno dello studio
Si è trattato di uno studio monocentrico, di fase 2, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, con 300 pazienti avvicinati in clinica; di questi, 200 hanno rifiutato di partecipare, 100 sono stati sottoposti a screening, 25 sono stati esclusi e 75 sono stati randomizzati in proporzione 1: 1: 1 a gruppi placebo nilotinib 150 mg o nilotinib 300 mg.
Le assunzioni del farmaco sono iniziate nel maggio 2017 e si sono concluse nell’aprile 2018 e il follow-up è terminato nell’agosto 2019.

Il PD è stato confermato secondo i criteri diagnostici della Brain Bank del Regno Unito e i sintomi sono stati stabilizzati con l’uso ottimale di levodopa e/o dopamino-agonisti e altri farmaci impiegati nel trattamento di questa patologia. L’intervento era costituito dal confronto della somministrazione di nilotinib (ai due dosaggi) vs placebo, con somministrazione per via orale una volta al giorno per 12 mesi seguita da un periodo di wash-out di 3 mesi.

L’ipotesi dei ricercatori era che nilotinib fosse sicuro e potesse essere rilevato nel liquido cerebrospinale, dove il farmaco altera i biomarcatori esplorativi attraverso l’inibizione della tirosina chinasi Abelson e potenzialmente migliora gli esiti clinici.

Raggiunti gli obiettivi principali e secondari, si passa alla fase 3
Dei 75 pazienti inclusi nello studio, 55 erano uomini (73,3%), mentre l’età media era di 68,4 anni. Le dosi di nilotinib da 150 o 300 mg sono apparse ragionevolmente sicure, sebbene nei gruppi nilotinib siano stati rilevati eventi avversi più gravi (150 mg: 6 [24%]; 300 mg: 12 [48%]) vs placebo (4 [16%]).

Il gruppo nilotinib da 150 mg ha mostrato un aumento nel CSF dei livelli di HVA (p=0,04) e DOPAC (p = 0,01), metaboliti della dopamina mentre il gruppo nilotinib 300 mg ha mostrato un aumento di DOPAC (p = 0,01). È stato dunque modificato il turnover cerebrale della dopamina.

Il gruppo nilotinib 150-mg ma non il gruppo nilotinib 300 mg ha mostrato una riduzione degli oligomeri della α-sinucleina (p = 0,03) mentre una riduzione significativa dei livelli di tau iperfosforilata è stata osservata sia nel gruppo nilotinib 150 mg (p = 0,01) sia in quello da 300-mg (p = 0,01).

Non sono state peraltro osservate differenze significative nei risultati motori e non motori tra i gruppi nilotinib e il gruppo placebo. «Lo studio era sottodimensionato per questa analisi, quindi è impossibile sapere se la mancanza di una differenza si riferisce alla dimensione del campione, alla mancanza di efficienza o a un altro fattore» spiegano gli autori.

«In questo studio, nilotinib è sembrato essere ragionevolmente sicuro e rilevabile nel CSF e i biomarcatori esplorativi sono stati modificati in risposta allo stesso nilotinib» commentano Pagan e colleghi.«Nel loro insieme» concludono «questi dati dimostrano il raggiungimento degli obiettivi fissati e guideranno lo sviluppo di uno studio di fase 3 per valutare gli effetti di nilotinib come DMT nei pazienti con PD».