Leucemia linfatica cronica: tripletta AVO ben tollerata


Leucemia linfatica cronica: molto attiva e ben tollerata la tripletta con acalabrutinib, venetoclax e obinutuzumab (AVO) secondo uno studio di fase 2

Leucemia linfatica cronica, molto attiva e ben tollerata tripletta con acalabrutinib in prima linea

Una tripletta costituita da acalabrutinib, venetoclax e obinutuzumab (AVO) si è dimostrata molto promettente e altamente attiva come terapia di prima linea per i pazienti con leucemia linfatica cronica in uno studio di fase 2 presentato al congresso annuale della Società americana di ematologa (ASH).

Infatti, il 48% dei pazienti trattati con questa tripletta ha raggiunto la non rilevabilità della malattia minima residua (MRD) nel midollo osseo dopo soli 8 cicli mensili di terapia, percentuale che è salita al 75% dopo il ciclo 16.

Dopo il ciclo 8, ha spiegato l’autore principale dello studio, Benjamin L. Lampson, del Dana-Farber Cancer Institute di Boston, il 16,7% dei pazienti ha raggiunto una risposta completa con MRD non rilevabile nel midollo osseo e questa percentuale è rimasta relativamente invariata (12,5%) dopo il ciclo 16.

Dopo un follow-up mediano di 11 cicli, il tasso di risposta obiettiva (ORR) è risultato del 97,3% dopo il ciclo 4 e del 100% sia dopo il ciclo 8 sia dopo il ciclo 16.

La tripletta ha mostrato anche un buon profilo di sicurezza. In particolare, l’incidenza delle reazioni correlate all’infusione è risultata marcatamente più bassa con il regime AVO rispetto ai dati storici relativi a obinutuzumab da solo o in combinazione con la chemioterapia. Inoltre, il pretrattamento con acalabrutinib e obinutuzumab ha ridotto il rischio di sindrome da lisi tumorale (TLS) al momento della somministrazione di venetoclax.

Effetto sinergico della doppia inibizione di BTK e Bcl-2
Dato che questi tre agenti hanno meccanismi d’azione diversi e presentano tossicità non sovrapponibili i ricercatori si sono chiesti se avesse senso combinarli per ottenere remissioni ancora più profonde e durature nei pazienti con leucemia linfatica cronica, anche alla luce di dati preclinici che indicano come la combinazione dell’inibizione di BTK (bersaglio di acalabrutinib) e dell’inibizione della proteina anti-apoptotica Bcl-2 (bersaglio di venetoclax) determini una sinergia nell’eliminazione delle cellule leucemiche.

Lampson ha spiegato che si sta già studiando un’altra tripletta, costituita da ibrutinib, venetoclax e obinutuzumab (regime IVO), nei pazienti con leucemia linfatica cronica e che questa combinazione si è dimostrata altamente attiva in uno studio di fase 1 nel setting della malattia recidivata/refrattaria, consentendo a un numero elevato di pazienti di raggiungere la non rilevabilità della MRD. Tuttavia, il tasso di reazioni correlate all’infusione è risultato elevato, con un profilo di sicurezza e tollerabilità dominato dagli effetti collaterali notoriamente associati a ibrutinib, tra cui lividi, ipotensione e dolori articolari.

Il regime AVO, ha detto il professore, rappresenta un tentativo di ottenere il beneficio della terapia con una tripletta di farmaci, evitando al contempo alcuni degli effetti collaterali tipici di ibrutinib.

Lampson e i colleghi hanno ipotizzato che un trattamento di durata limitata con questo regime potesse essere efficace nel raggiungere un tasso elevato di non rilevabilità della MRD, con una buona tollerabilità.

Lo studio
Per testare quest’ipotesi, i ricercatori hanno avviato uno studio indipendente a braccio singolo, in aperto, nel quale hanno arruolato 37 pazienti con leucemia linfatica cronica confermata, non trattati in precedenza e senza restrizioni riguardo allo stato dei marker prognostici. I partecipanti dovevano, invece, presentare un’adeguata funzionalità epatica e renale, oltre che una conta assoluta dei neutrofili ≥ 500/mm3 e delle piastrine ≥ 30.000/mm3.

Acalabrutinib, venetoclax e obinutuzumab sono stati avviati in sequenza, con un ciclo di 28 giorni di acalabrutinib 100 mg due volte al giorno, per iniziare, dopodiché sono stati aggiunti 6 cicli di obinutuzumab a dosaggio standard. La somministrazione di venetoclax a dosi progressivamente crescenti è partita il giorno 1 del ciclo 4, e il trattamento con la tripletta è proseguito per un totale di 15 cicli, dopodiché si è valutato il tasso di risposta completa con MRD non rilevabile nel midollo osseo (l’endpoint primario dello studio).

I pazienti che ottenevano una risposta completa con MRD negativa non rilevabile nel midollo osseo dopo il ciclo 15 potevano interrompere la terapia ed essere monitorati per valutare se l’MRD tornava ad essere rilevabile nel sangue periferico; in caso di recidiva, potevano riprendere il trattamento con acalabrutinib e venetoclax. Tutti gli altri pazienti continuavano con acalabrutinib e venetoclax fino al completamento del ciclo 24, dopodiché veniva effettuata una ristadiazione completa della malattia e si arrivava a un altro punto decisionale. Se al ciclo 24 il paziente era in riposta completa con MRD non rilevabile nel midollo osseo, poteva nuovamente interrompere la terapia; altrimenti, continuava il trattamento con acalabrutinib e venetoclax fino alla progressione della malattia o allo sviluppo di una tossicità non tollerabile (figura 1).

I partecipanti avevano un’età mediana di 63 anni. Molti al basale presentavano caratteristiche prognostiche sfavorevoli: il 62,2% aveva IGHV non mutate, il 27% aveva la delezione (17p) e/o mutazioni di TP53, il 27% la delezione (11q) e il 19% un cariotipo complesso.

Rischio di TLS ridotto mediante il pretrattamento con acalabrutinib e obinutuzumab
La tossicità ematologica più frequente è stata la neutropenia; la neutropenia di grado ≥ 3 ha avuto un’incidenza del 32%, ma non sono stati registrati casi di neutropenia febbrile. Le tossicità non ematologiche più comuni sono state, invece, affaticamento (84%; nel 3% dei casi di grado ≥ 3), mal di testa (76%; nel 3% dei casi di grado ≥ 3) e lividi (46%; nessun caso di grado ≥ 3).

Tra gli eventi avversi seri, ci sono stati due casi di TLS di laboratorio, entrambi verificatisi dopo l’inizio di obinutuzumab e prima di quello di venetoclax, e un caso di aumento del livello della troponina cardiaca, forse legato a un’ischemia nell’ambito di una reazione correlata all’infusione di obinutuzumab severa.

Solo 8 pazienti, il 22%, hanno manifestato una reazione correlata all’infusione, una percentuale bassa se paragonata al 50-70% che di solito si associa a obinutuzumab somministrato da solo o in combinazione con la chemioterapia, ha spiegato Lampson. Due pazienti hanno sviluppato ipertensione e in uno si è registrata una fibrillazione atriale di grado 3.

Due pazienti hanno dovuto ridurre la dose di acalabrutinib a 100 mg al giorno a causa di una cefalea, ma uno dei due ha potuto poi tornare a 100 mg due volte al giorno. Inoltre, un paziente ha dovuto ridurre la dose di venetoclax perché ha sviluppato neutropenia di grado 4 nonostante il supporto con fattori di crescita, mentre un altro paziente con gastrite, duodenite e splenomegalia sintomatiche preesistenti ha sospeso tutti i farmaci in studio.

Il pretrattamento con acalabrutinib e obinutuzumab ha permesso di mitigare la TLS associata a venetoclax. «In effetti, il rischio di TLS è stato ridotto dai tre cicli di terapia iniziale» ha affermato Lampson. Al basale, il 98% dei pazienti era considerato a rischio medio o alto di TLS, ma dopo la rivalutazione del rischio di tale complicanza mediante tac ed emocromo completo prima della somministrazione di venetoclax, l’89% è stato considerato a basso rischio di TLS.

Risposte rapide, che si sono approfondite nel tempo
Il professore ha riferito che già dopo quattro cicli, immediatamente prima di iniziare l’assunzione di venetoclax, il 97% dei pazienti aveva già risposto al trattamento, in tutti i casi con risposte parziali. Al ciclo 8, dopo il completamento di obinutuzumab, si sono iniziate a vedere risposte complete: il 25% di tutte le riposte obiettive (il 100%) registrate al ciclo 8. Negli otto pazienti che erano stati trattati per 16 cicli al momento del cutoff dei dati (11 luglio 2019), l’ORR è risultata del 100%.

Dopo il ciclo 8, i pazienti che avevano l’MRD non rilevabile nel sangue erano il 68% e quelli in risposta completa con MRD non rilevabile nel midollo il 17%. «I pazienti con MRD non rilevabile sembrano aumentare nel tempo, ma servono dati più maturi per trarre conclusioni definitive» ha detto Lampson.

Un dato interessante è che non si sono riscontrate differenze nei tassi di risposta o di non rilevabilità dell’MRD nel sottogruppo con IGHV mutate e in quello con IGHV non mutate. La tripletta AVO si è rivelata molto attiva anche nei 10 pazienti portatori della delezione (17p) o di mutazioni di TP53, nei quali l’ORR è risultata del 90% al ciclo 4 e del 100% al ciclo 8, con il 78% e il 33% dei pazienti con MRD non rilevabile rispettivamente nel sangue periferico e nel midollo osseo.