Leucemia mieloide acuta FLT3+: nuova scoperta


Leucemia mieloide acuta FLT3+, scoperte mutazioni frequenti nei pazienti con ricadute trattati con l’inibitore di FLT3 gilteritinib

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I pazienti con leucemia mieloide acuta che hanno avuto una ricaduta dopo essere stati trattati con l’inibitore di FLT3 gilteritinib mostrano comunemente la presenza di mutazioni dei geni del pathway Ras/MAPK e della mutazione F691L del gene FLT3, ma la presenza di mutazioni dei geni del pathway Ras/MAPK al basale non sembra pregiudicare l’efficacia del farmaco.

Lo rivela un’analisi dello studio registrativo ADMIRAL presentata da Catherine C. Smith, della Division of Hematology and Blood and Marrow Transplantation della University of California San Francisco, al 61° congresso dell’American Society of Hematology, a Orlando.

Lo sviluppo di farmaci mirati contro specifiche alterazioni molecolari, tra cui vi è anche gilteritinib, ha cambiato il paradigma di trattamento dei pazienti con leucemia mieloide acuta.

Da cosa dipende la resistenza a gilteritinib?
Nello studio ADMIRAL, un trial multicentrico internazionale di fase 3 pubblicato lo scorso ottobre sul New England Journal of Medicine, il trattamento con gilteritinib ha mostrato di migliorare in modo significativo sia la sopravvivenza globale (OS) sia i tassi di remissione completa rispetto alla chemioterapia di salvataggio nei pazienti con leucemia mieloide acuta recidivante o refrattaria, con mutazioni del gene FLT3 (FLT3-positiva o FLT3+), anche in presenza di mutazioni spesso concomitanti, come quelle dei geni DNMT3A, NPM1 e WT1.
Tuttavia, come accade anche con altri inibitori di FLT3, i pazienti, dopo aver inizialmente risposto a gilteritinib, spesso sviluppano resistenza al farmaco, ha spiegato l’autrice.

Poiché varie evidenze suggeriscono che l’espansione di cloni leucemici contenenti mutazioni nei geni NRAS e KRAS coinvolti nel pathway Ras/MAPK possa mediare la resistenza secondaria a gilteritinib nei pazienti con leucemia mieloide acuta recidivante o refrattaria FLT3+, la Smith e i colleghi sono andati ad analizzare le mutazioni emerse durante il trattamento in coloro che avevano recidivato mentre assumevano gilteritinib all’interno dello studio ADMIRAL.

Per la ricerca presentata a Orlando, i ricercatori hanno utilizzato campioni di sangue o midollo osseo di 361 pazienti al basale e di 40 pazienti che hanno avuto una ricaduta mentre erano in trattamento con l’inibitore di FLT3, analizzando i campioni mediante sequenziamento di ultima generazione (NGS).

Dei 371 pazienti coinvolti nello studio, 247 sono stati assegnati al trattamento con gilteritinib 120 mg al giorno; di questi, 75 (il 30,5%) hanno recidivato durante lo studio. La maggior parte delle recidive si è verificata entro 4 settimane dall’ultima somministrazione dell’inibitore.

Nella maggior parte dei pazienti ricaduti presente più di una mutazione
Le analisi hanno evidenziato che, al momento della ricaduta, 27 pazienti su 40 (il 67,5%) presentavano nuove mutazioni, comprese mutazioni nei geni del pathway Ras/MAPK e nei geni FLT3, WT1, IDH1 e GATA2, mentre 13 pazienti (il 32,5%) non presentavano nuove mutazioni.

Dei 18 pazienti con mutazioni del pathway Ras/MAPK, il 61,1% aveva una più di una nuova mutazione al momento della recidiva e il gene più frequentemente mutato di questo pathway era NRAS (11 pazienti).

I ricercatori hanno anche valutato se i pazienti presentassero mutazioni del pathway Ras/MAPK anche prima del trattamento con gilteritinib. Tra tutti i pazienti FLT3+ nei quali si è analizzata la compresenza di mutazioni di altri geni al basale, si è visto che il 6,9% presentava già mutazioni del pathway Ras/MAPK (18 pazienti trattati con gilteritinib e sette con la chemioterapia di salvataggio).
Al basale, il 12% dei pazienti presentava più di una mutazione nei geni del pathway Ras/MAPK, ma al momento della recidiva questa percentuale era salita al 61,1%.

Mutazioni del pathway Ras/MAPK al basale non pregiudicano l’efficacia
Da notare che un numero considerevole di pazienti assegnati al trattamento con gilteritinib che avevano mutazioni nei geni del pathway Ras/MAPK al basale ha raggiunto la remissione, segno del fatto che la presenza di queste alterazioni genetiche all’inizio del trattamento non ne ha inficiato l’efficacia. Infatti, tra i pazienti trattati con l’inibitore che presentavano queste mutazioni, il tasso di remissione completa con recupero ematologico/piastrinico incompleto è risultato del 38,9% e quello di remissione completa/remissione completa con recupero ematologico parziale era del 27,8%.

Si è anche visto che sei pazienti avevano acquisito nuove mutazioni di FLT3 al momento della ricaduta; di questi cinque avevano acquisito la mutazione ‘gatekeeper’ F691L e uno di essi anche una mutazione puntiforme del dominio juxtamembrana di FLT3. Dei tre pazienti che avevano una mutazione del gene WT1 al momento della recidiva, uno presentava anche la mutazione F691L di FLT3.
L’acquisizione delle mutazioni dei geni del pathway Ras/MAPK e della mutazione F691L di FLT3 al momento della recidiva si escludono a vicenda, ha sottolineato la Smith.

Il fatto che la presenza di mutazioni dei geni del pathway Ras/MAPK al basale non abbia precluso la risposta alla terapia con gilteritinib, ha detto l’autrice, è legato, probabilmente, alla presenza di un minor numero di mutazioni per paziente al basale rispetto al momento della ricaduta.

Un altro riscontro interessante è che la frequenza della mutazione F691L di FLT3 al momento della recidiva nei pazienti trattati con gilteritinib 120 mg/die nello studio ADMIRAL è risultata simile a quella osservata nei pazienti ricaduti dopo il trattamento col farmaco a dosaggi compresi fra 20 e 450 mg al giorno.