Svezzamento, i pediatri: “Non medicalizzare situazioni normali”


Il tema dello svezzamento fa parte della campagna “Pediatra sentinella educativa”, lanciata dalla Società italiana di pediatria (Sip) insieme all’Istituto di Ortofonologia (IdO)

Il tema dello svezzamento fa parte della campagna "Pediatra sentinella educativa", lanciata dalla Società italiana di pediatria (Sip) insieme all'Istituto di Ortofonologia (IdO)

L’alimentazione è uno dei campi di maggiore interesse del pediatra, essendo un nutrizionista. Per questo motivo il tema alimentare non poteva non occupare un capitolo importante nella campagna ‘Pediatra sentinella educativa’, lanciata dalla Società italiana di pediatria (Sip) insieme all’Istituto di Ortofonologia (IdO). In uno dei due opuscoli informativi a disposizione dei pediatri si parla anche di svezzamento, fase complicata per le mamme e i papà. “Svezzamento, divezzamento e alimentazione complementare indicano il passaggio dall’allattamento al seno esclusivo – scelta principale da favorire e far durare il più a lungo possibile – con l’introduzione di altri alimenti. Su questo bisogna lavorare molto, prima ancora che si inizi a parlare di svezzamento con la famiglia- ricorda Alberto Villani, presidente della Sip- perché l’alimentazione è un momento cruciale. Deve essere vissuta con serenità ed equilibrio, soprattutto deve essere offerta al bambino come momento di gioiosità interattiva”.

Nella pratica quotidiana, invece, i pediatri osservano “che l’alimentazione è diventata un momento estremamente critico- sottolinea Villani- che spesso dà origine a tutta una serie di situazioni che nel tempo possono diventare anomale, fino a quasi patologiche, se non gestite bene”. Il pediatra sentinella deve essere, allora, attento a rilevare i segni che “non vanno nella direzione di un fisiologico adattamento della madre e del bambino nei comportamenti alimentari, quando appunto questi iniziano a deviare. Bisogna intervenire precocemente per evitare che situazioni di normalità non diventino patologie”, ricorda il presidente della Sip.

Un esempio è rappresentato dalla confusione tra “reflusso gastroesofageo e normali rigurgiti del bambino. Una non medicalizzazione delle situazioni contribuisce a far sì che un bambino si alimenti serenamente. Se, invece, ci si carica di ansia e si medicalizza una situazione normale- avverte- questo può generale nel tempo non tanto e solo problemi organici, ma soprattutto di rapporto con il cibo. Come per tutte le situazioni se non si imposta bene il rapporto con il cibo nei primissimi mesi di vita, questo avrà poi ripercussioni per tutta la vita“.

Il rischio è reale, a confermarlo all’agenzia Dire (www.dire.it) è lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell’IdO, che aggiunge: “Molte volte ai bambini non vengono date cose da masticare, ma frullate, perché le mamme hanno paura che si strozzino. Non solo c’è il problema dei gusti ristretti, ma anche il famoso pezzo di pane secco che prima il bambino ciancicava per i denti e le gengive, ormai non si dà più. Così troviamo sempre più bambini che hanno una difficoltà nella masticazione, non sono proprio abituati. Questo non è una questione banale”.

Al cibo bisogna essere abituati progressivamente. Il passaggio va dai cibi omogeneizzati, sminuzzati al massimo, ai pezzetti più grandi per poi separare i sapori. A livello sociale è come se “il mondo dei genitori individuasse due aree problematiche: l’alimentazione quando i bambini sono piccoli e la scuola quando sono grandi. L’alimentazione deve essere gioiosa- termina lo psicoterapeuta- non un baratto. Deve essere un piacere per tutti a partire dal bambino”. Dal pediatra, infine, un ultimo consiglio: “Evitare le ritualità“.