Nel Mar Piccolo di Taranto nuovo impianto di bonifica


Nel Mar Piccolo di Taranto arriva Genelab, un innovativo impianto di bonifica dei sedimenti inquinati con tecnologia unica al mondo

È partita dalla Puglia la sperimentazione di una tecnologia di microfiltrazione che potrebbe fornire una soluzione efficace, rispettosa dell’ecosistema, a basso costo e di facile utilizzo per il problema dei sedimenti inquinati, che interessa migliaia di aree costiere del nostro Paese e di quelle europee.

La realizzazione dell’innovativo impianto è prevista nell’ambito del programma di finanziamento europeo LIFE, con capofila di progetto l’Enea insieme all’Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr (sede secondaria di Taranto) e altri partner di eccezione. Il Progetto, denominato ‘Life4MarPiccolo’ (LIFE14-ENV/IT/000461) prevede, infatti, la realizzazione di un impianto a tecnologia innovativa per la riqualificazione ambientale di una porzione di questo specchio di mare attraverso la realizzazione di un sistema innovativo di depurazione e un articolato programma di ricerca con applicazioni su scala internazionale.

L’impianto, situato in un’area del primo seno del Mar Piccolo, nei pressi del quartiere Tamburi, della città di Taranto, sfrutta la tecnologia della microfiltrazione a membrana per bonificare i sedimenti marini inquinati e conseguentemente le acque sovrastanti: una tecnologia, in fase di sperimentazione, che si caratterizza per essere selettiva, agile e a basso costo, meno impattante rispetto ad altre tecniche di bonifica. L’iniziativa apre, pertanto, prospettive di grande interesse ambientale, scientifico, economico e sociale.

Denominato Genelab, l’impianto è costituito da un’unità mobile di risospensione e captazione del sedimento che opera su una superficie marina di circa 3.000mq nei pressi della riva, convogliandolo all’interno di un sistema di trattamento tramite microfiltrazione a membrana che occupa un’area di circa 150 mq. Una volta rimossa in via selettiva la frazione particellare (cioè quella più fine), l’impianto restituisce acqua ‘decontaminata’, mentre una parte della frazione particellare dove sono presenti gli inquinanti viene avviata a trattamento di risanamento biologico attraverso microorganismi fungini. Un altro elemento innovativo è dato dal fatto che il Progetto permetterà di monitorare il comportamento di questi micro organismi nella loro capacità di ‘biodegradare’ alcuni inquinanti, trasformandoli in composti non dannosi o addirittura utili, e contribuendo a far avanzare la conoscenza scientifica per ottimizzare il processo in laboratorio per ulteriori applicazioni. Il Progetto propone un significativo cambio di paradigma: l’eliminazione quanto più possibile on site e definitiva del problema piuttosto che il suo spostamento altrove senza l’effettiva chiusura del ciclo.

L’impianto, inoltre, si caratterizza per una elevata flessibilità di utilizzo, essendo realizzabile praticamente ovunque con opportune modifiche, da piccole porzioni di battigia come nel caso di Taranto, a superfici più ampie, o anche in mare aperto, su natanti di grandi dimensioni. Quest’ultima soluzione consentirebbe di abbattere notevolmente i tempi di lavoro, potendo gestire tutte le operazioni di captazione e trattamento in modo integrato. La struttura è anche energeticamente autosufficiente grazie a un impianto fotovoltaico costruito nei pressi in modo da alimentarla con il minor dispendio di energia possibile.

In Italia, il problema dei sedimenti contaminati ha assunto una rilevanza crescente negli ultimi anni, innanzitutto a seguito dell’identificazione dei siti di interesse nazionale da sottoporre ad interventi di risanamento (Legge 9 dicembre 1998, n. 426). La perimetrazione di tali siti ha permesso di stimare quantitativi ingenti di sedimenti che necessitano di interventi: 3.595 ettari nel sito di Porto Marghera, 820 nella zona industriale e marina antistante il sito di Napoli Centrale, e circa altrettanti nella zona industriale e marina antistante i siti di Gela e Priolo. Proseguendo in questa mappa, circa 8,6 km quadrati di aree marine hanno il medesimo problema nel sito di Manfredonia, circa 11.500 ettari riguardano il sito di Brindisi, e ancora 4000 ettari nel sito di Taranto. Passando ad altre regioni, circa 850 ettari interessano il sito di Piombino, circa 3500 riguardano i siti di Massa e Carrara, a cui si aggiungono oltre 75 km di fascia costiera Caserta-Napoli, un’area marina di circa 1600 ettari nel sito di Pitelli e un tratto del fiume Bormida nel sito di Cengio/Saliceto. Altre aree riguardano 4.600 ettari di tipo fluviale e lagunare, tra cui il torrente Marmazza, il fiume Toce, il lago Mergozzo, parte del lago Maggiore e il conoide del torrente Anza nel sito di Pieve Vergonte.

Anche in Europa diverse aree portuali, lagune e fiumi presentano analoghe problematiche ambientali, ad esempio Ria Formosa in Portogallo, Mar Menor in Spagna, Étang de Thau in Francia, Golfo di Gera in Grecia. Si stima che circa il 5% delle aree costiere nei paesi industrializzati europei presentino sedimenti pericolosi sia per la salute umana che per l’ambiente.

Il progetto fungerà da laboratorio anche per l’attuazione di nuove strategie di risanamento su più ampia scala: a partire dal prossimo anno, sulla base delle evidenze riscontrate, si lavorerà alla messa a punto di un protocollo d’intervento per il risanamento ambientale di siti marini costieri sia italiani che europei.

‘Life4MarPiccolo’ è cofinanziato dal Programma Life dell’Unione Europea e realizzato sotto il coordinamento del Centro Ricerche Enea Trisaia. Gli altri partner che collaborano al progetto sono: Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irsa, sede secondaria di Taranto), Comune di Taranto, le società Genelab e Nova Consulting.

Altre informazioni sul progetto sono disponibili sul sito (www.lifemarpiccolo.it ) e sui canali social Facebook (Life4MarPiccolo) e twitter (@Life4MarPiccolo).