Nefrite Lupica: nuovi riscontri per obinutuzumab


Nefrite Lupica: obinutuzumab, insieme allo standard terapeutico, centra gli obiettivi  secondo il trial di fase 2 NOBILITY presentato negli Stati Uniti

Nefrite Lupica: obinutuzumab, insieme allo standard terapeutico, centra gli obiettivi  secondo il trial di fase 2 NOBILITY presentato negli Stati Uniti

Sono stati presentati, nel corso del congresso annuale dell’American College of Rheumatology, i risultati del trial di fase 2 NOBILITY, che hanno dimostrato la superiore efficacia di obinutuzumab, combinato con mofetil micofenolato o acido micofenolico e corticosteroidi, rispetto a placebo (e standard terapeutico), in pazienti adulti con nefrite lupica proliferativa di classe 3 o 4 (ISN/RPS 2003).

I risultati di questo studio, presentati in forma estesa a questo Congresso, sono stati alla base della concessione a questa molecola, da parte dell’ente registrativo statunitense, dello status di “Breakthough Therapy” per il trattamento di pazienti adulti affetti da nefrite lupica.

Ad oggi, non esistono ancora farmaci approvati dall’ente regolatorio statunitense per la nefrite lupica. I farmaci che ricevono la designazione di “Breakthrough Therapy” sono candidabili ad un’altra designazione da parte di Fda (“Fast Track Designation”), che prevede uno scambio di comunicazioni più frequente con l’ente regolatorio in merito al piano di sviluppo del farmaco, compresa la possibile inclusione al processo accelerato di Approvazione del farmaco, in caso di soddisfacimento di alcuni criteri considerati rilevanti.

Informazioni sulla nefrite lupica
La nefrite lupica è una manifestazione del lupus eritematoso sistemico (LES) potenzialmente letale che deriva dall’infiammazione dei reni e si associa ad un rischio elevato di nefropatia allo stadio finale o di evento fatale.

Si stima che il 60% dei pazienti con LES sviluppi nefrite lupica e, che di questi, il 25% vada incontro a nefropatia allo stadio finale.

Il lupus, come è noto, colpisce prevalentemente il sesso femminile (90% sul totale dei pazienti). In particolare, il rischio di lupus è da 2 a 3 volte più probabile nelle donne di etnia Afro-Americana, Ispanica e Asiatica rispetto alle donne di etnia Causasica.

Informazioni su obinutuzumab e i presupposti alla base dello studio NOBILITY
Obinutuzumab è un anticorpo monoclonale ingegnerizzato, avente come bersaglio terapeutico la proteina CD20, presente solo in alcuni tipi di cellule B. Si ritiene che il farmaco esplichi la sua efficacia attaccando le cellule target sia direttamente che insieme al sistema immunitario dell’ospite.

Fino ad ora, i trial randomizzati sulla nefrite lupica condotti con anticorpi monoclonali anti-CD20 di tipo 1 non erano stati in grado di dimostrare la superiorità del trattamento rispetto al solo standard of care.

Di qui il nuovo studio di fase 2 NOBILITY, randomizzato e controllato vs. placebo, in doppio cieco, che si è proposto di vagliare l’ipotesi di un vantaggio terapeutico derivante da un’aumentata deplezione delle cellule B (resa possibile dall’anticorpo monoclonale anti-CD20 di tipo 2 obinutuzumab) in pazienti con nefrite lupica proliferativa.

Lo studio NOBILITY, in sintesi
Lo studio NOBILITY ha messo a confronto la sicurezza e l’efficacia di obinutuzumab, combinato con mofetil micofenolato o acido micofenolico e corticosteroidi, rispetto a placebo (e standard terapeutico), in pazienti adulti con nefrite lupica proliferativa di classe 3 o 4 (ISN/RPS 2003).

A tal scopo, sono stati reclutati 125 pazienti, randomizzati a trattamento con infusioni di obinutuzumab 1000 mg o placebo (giorni di trattamento= 1, 15, 168, 182 giorno). L’endpoint primario era rappresentato dalla proporzione di partecipanti allo studio che aveva raggiunto una risposta renale completa (definita dal protocollo) a 52 settimane. Il protocollo dello studio prevedeva, tuttavia, anche valutazioni di efficacia e di sicurezza del trattamento fino a 2 anni.

La risposta renale completa (CRR) era definita dal raggiungimento di un rapporto “proteine urinarie/creatinina” <0,5, livelli sierici di creatinina nella norma (non aumentati oltre il 15% rispetto ai valori iniziali) e conta di globuli rossi (RBC) nelle urine < 10/hpf (campi a forte ingrandimento). Tra gli endpoint secondari di rilievo valutati nello studio vi erano il raggiungimento della risposta renale complessiva (ORR) – completa o parziale – la CRR modificata senza sedimento urinario e il miglioramento di alcuni marker sierologici di attività. Le cellule B periferiche sono state misurate mediante esame citometrico a flusso ad elevata sensitività (HFSC).

Dai risultati è emerso che l’endpoint primario, ad un anno, era stato raggiunto dal 34,9% dei pazienti trattati con obinutuzumab e dal 22,6% dei pazienti del gruppo placebo.
Il 55,6% dei pazienti trattati con il farmaco sperimentale e il 35,5% di quelli del gruppo placebo hanno raggiunto la ORR ad un anno.

I ricercatori hanno anche documentato l’assenza di cellule B periferiche individuabili mediante HSFC a 28 giorni, come pure la presenza di miglioramenti significativi del titolo di anti-dsDNA e dei livelli delle proteine C3 e C4 del complemento nei pazienti trattati con obinutuzumab.

Non sono stati rilevati, invece, nuovi segnali di safety rispetto al profilo di sicurezza noto per il farmaco in studio. Nello specifico, il trattamento con obinutuzumab non è risultato associato ad un innalzamento dei tassi di eventi avversi seri (14,3% vs. 21%) o di infezioni gravi (1,6% vs. 12,9%) rispetto al placebo.

Le reazioni legate alla pratica dell’infusione sono state maggiormente presenti tra i pazienti trattati con obinutuzumab (15,9% vs. 9,7%) ma sono risultate tutte di entità lieve.

Le implicazioni dello studio
Lo studio NOBILITY ha centrato sia l’endpoint primario che gli endpoint secondari più rilevanti. Ad un anno, il trattamento con obinutuzumab ha aumentato sia la CRR che la risposta renale parziale rispetto al placebo, in aggiunta a mofetil micofenolato e ai corticosteroidi nel trattamento della nefrite lupica proliferativa, senza essere associato ad un incremento del tasso di eventi avversi o di infezioni serie.

I dati a 2 anni, attesi prossimamente, permetteranno di effettuare una valutazione più approfondita della sicurezza e dell’efficacia del farmaco in questa condizione clinica.