Malattie neurologiche: nuovo studio su ex calciatori


Tra ex calciatori sembra più elevata la mortalità per malattie neurodegenative e la prescrizione di farmaci per la demenza secondo un nuovo studio

Tra ex calciatori sembra più elevata la mortalità per malattie neurodegenative e la prescrizione di farmaci per la demenza secondo un nuovo studio

È stato pubblicato sul New England Journal of Medicine uno studio epidemiologico retrospettivo condotto da Mackay e colleghi su 7676 ex calciatori scozzesi professionisti, identificati in un database, che fornisce ‘buone e cattive notizie’ sulle potenziali conseguenze a lungo termine del giocare a calcio a livello professionale.

In confronto alla popolazione generale, gli ex calciatori scozzesi presentavano una mortalità più bassa per le malattie neurologiche e non neurologiche comuni (ictus cerebrale e tumori del polmone) – la buona notizia – ma risultavano più elevate la mortalità per malattie neurodegenative e la prescrizione di farmaci per la demenza – la cattiva notizia.

“In particolare, dallo studio emerge come tra le malattie neurodegenerative sia riportata una maggiore mortalità per la malattia di Alzheimer mentre sia registrata una minore mortalità per la malattia di Parkinson”, ha commentato il Prof. Gioacchino Tedeschi, Direttore I Clinica Neurologica e Neurofisiopatologia, A.O.U Università della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli, e nuovo Presidente della Società Italiana di Neurologia (SIN).

“I risultati di questo studio – prosegue Tedeschi – si sommano a un filone di ricerca già portato avanti da diversi anni: fermo restando che l’esercizio fisico moderato, l’attività fisica, nonché la pratica sportiva a livelli  più competitivi hanno importanti benefici per la salute, tra cui ridurre il declino cognitivo ed il rischio di manifestare demenza, alcuni sport di contatto che causano frequenti traumi o micro-traumatismi ripetuti possono aumentare il rischio di compromissione cognitiva e neuropsichiatrica, ad esordio tardivo, dopo anni dall’attività agonistica, nonché il rischio di malattie neurodegenerative e di encefalopatia traumatica cronica (CTE)”.

Particolarmente determinante – conclude il Prof. Tedeschi – è la durata dell’esposizione a traumatismi ripetuti, piuttosto che l’intensità di singoli, rari episodi traumatici. Quest’ultimo dato è tranquillizzante per i calciatori amatoriali, poiché i soggetti a rischio sono solo i professionisti che per anni hanno subito dei micro-traumatismi. Quindi, possiamo tutti continuare a giocare la ‘partitella serale’”.