Maculopatia senile, in arrivo nuove terapie


Maculopatia senile, in arrivo nuove terapie per facilitare la cura e migliorare la vita dei pazienti. Efficaci molecole come il brolucizumab

Il nostro occhio, che spesso non viene considerato un organo fragile e a rischio di ammalarsi alla stregua di cuore e polmoni, è esposto a malattie croniche, degenerative ed invalidanti quali la degenerazione maculare senile, il glaucoma e le retinopatie. La sua salute va quindi sempre preservata.

“La salute dell’occhio è sottovalutata così come lo sono le patologie oculari croniche, degenerative e che portano a cecità e il peso sociale ad esse correlato, che comporta riduzione della mobilità e dell’autonomia individuale, il rischio di incidenti e l’aumento di casi di depressione – dichiara Tiziano Melchiorre segretario Generale IAPB Italia Onlus – È necessario informare le persone, accelerare l’iter diagnostico e favorire l’accesso alle terapie al fine di prevenire la cecità e limitare quanto possibile il dramma della disabilità visiva. Inoltre, è importante aumentare la consapevolezza tra i pazienti e i loro familiari sulla progressione di malattie come la degenerazione maculare senile, l’importanza dell’aderenza e persistenza ai trattamenti prescritti dagli specialisti e favorire l’accesso ai servizi della riabilitazione visiva”.

Nell’ambito delle patologie oculari, la maculopatia senile umida (o essudativa) è la principale causa prevedibile di grave perdita della vista e cecità1 negli adulti over 65 con un impatto stimato in 20-25 milioni di persone in tutto il mondo2,3, un numero che, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è destinato a crescere sia per la condizione degli attuali pazienti, che per l’allungamento dell’aspettativa di vita.

La fisiopatologia è legata all’aumento di una proteina, chiamata VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), che stimola la formazione anomala di vasi sanguigni nell’occhio. Questi, a loro volta, perdono liquido che si accumula e modifica la naturale struttura della retina danneggiando e minacciando la sopravvivenza dei fotorecettori. I fotorecettori sono neuroni specializzati che catturano la luce e la trasformano in segnali elettrici per il cervello, permettendo la visione.

“La diagnosi della maculopatia deve essere precoce perché da questa patologia purtroppo non si guarisce. Le strategie terapeutiche tempestive comprendono il controllo del fluido patologico in modo da impedire il danneggiamento di altri fotorecettori oltre a quelli già compromessi, mantenendo quindi lo status quo in termini di vista. In caso di successo parliamo quindi di “controllo” della malattia e al paziente deve essere spiegato con attenzione il rischio di progressione della malattia per sensibilizzarlo sull’importanza del mantenimento nel tempo della terapia – commenta il dottor Matteo Piovella presidente SOI Società Oftalmologica Italiana –In Italia ben il 70% della popolazione non riceve o riceve in maniera parziale la terapia, vanificandone il risultato curativo. Le cause sono molteplici, alcune sociali come la scarsa consapevolezza della malattia da parte del paziente; altre sono strutturali e organizzative come la troppa burocrazia e le poche risorse a disposizione delle strutture sanitarie.”

Poiché si tratta di una patologia degenerativa cronica dell’occhio, la maculopatia senile umida ha spesso un impatto rapido e devastante sulla vita di pazienti e caregiver. Il gold standard terapeutico per la malattia nella sua forma umida è rappresentato da un trattamento continuativo a base di iniezioni intravitreali di farmaci anti-VEGF, una classe di molecole che agisce inibendo la proliferazione dei nuovi vasi sanguigni all’interno della retina e arginando la perdita di fluido retinico.

“È importante trattare non solo i sintomi, ma anche la causa sottostante della malattia, caratterizzata da danni alla retina dovuti alla presenza di fluidi retinici che fuoriescono da vasi sanguigni anomali nella parte posteriore dell’occhio– dice il professor Federico Ricci Direttore dell’Unità patologie croniche degenerative oftalmiche dell’Università di Roma Tor Vergata –Nell’armamentario terapeutico dell’oculista ci sono diverse classi e generazioni di farmaci, alcuni sono stati sintetizzati oltre 10 anni fa e altre sono molecole sviluppate in tempi recenti che, rispetto a quelle di prima generazione, hanno una superiore capacità di controllare il fluido retinico, richiedendo di conseguenza una minore frequenza iniettiva per mantenere la retina asciutta. È il caso di brolucizumab un frammento di anticorpo umanizzato a singola catena, di piccole dimensioni caratterizzato da un’ottima penetrazione tissutale e da un’elevata capacità di eliminare il liquido dalla retina, quindi il tessuto in condizioni di funzionamento ottimali. Brolucizumab è l’unico anti VEGF ad aver dimostrato la sua efficacia in studi registrativi, per i pazienti eleggibili, con un intervallo di trattamento di tre mesi immediatamente dopo le tre dosi mensili di carico iniziali in circa il 50% dei casi. Il farmaco è stato infatti recentemente approvato dall’FDA con tale posologia definito regime fisso che permette inoltre una precisa programmazione della terapia nel tempo.”