Tumore del polmone: nuovo test per immunoterapia


Tumore del polmone: un test che analizza il respiro è stato in grado di identificare i pazienti sensibili all’immunoterapia di precisione

Secondo i risultati di uno studio pubblicati su Annals of Oncologyl’alito rappresenta una preziosa fonte di informazioni per capire in anticipo quali pazienti con tumore al polmone risponderanno all’immunoterapia e quali invece non trarranno beneficio da questo trattamento. Lo spiegano i ricercatori coordinati da Michel van den Heuvel, del Radboud University Medical Centre di Nijmegen, in Olanda.

“A oggi solo un paziente su cinque con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) in stadio avanzato risponde all’immunoterapia” spiega l’esperto, ricordando che per decidere se utilizzare o meno questo trattamento i medici si basano al momento su analisi immunoistochimiche che valutano la presenza nei tessuti della proteina PD-L1, il bersaglio di alcune immunoterapie. “Questo esame però è invasivo e richiede tempo” aggiunge.

eNose al lavoro

Per trovare un’alternativa valida, i ricercatori hanno analizzato le performance di un “naso elettronico” (eNose) in grado di identificare le sostanze volatili organiche contenute nel respiro. “Queste sostanze variano da persona a persona e dipendono dai processi metabolici che avvengono nell’organismo” afferma l’autrice principale dell’articolo Rianne de Vries, ricercatrice dell’Amsterdam University Medical Center, in Olanda. Nello studio sono stati coinvolti 143 pazienti con malattia in stadio avanzato e per tutti loro è stato utilizzato il naso elettronico per un’analisi del respiro prima dell’inizio dell’immunoterapia.

“Dopo tre mesi, analizzando i dati raccolti sul respiro, è stato possibile verificare che il naso elettronico è in grado di predire quali pazienti rispondono alla immunoterapia” spiegano gli autori. In effetti il test sul respiro è risultato più accurato degli attuali metodi di laboratorio e di conseguenza permetterebbe di evitare un trattamento inutile a un numero maggiore di persone. I dati ottenuti nei primi 92 pazienti sono stati poi confermati nei rimanenti 51 pazienti.

Se confermati anche in studi più ampi questi risultati offrirebbero un’alternativa veloce e per nulla invasiva per capire a chi somministrare l’immunoterapia, evitando inutili effetti collaterali a molti pazienti” concludono i ricercatori.