Tumore del colon-retto: biopsia liquida ha ruolo chiave


La biopsia liquida, secondo un nuovo studio, potrebbe giocare un ruolo chiave nell’identificare i pazienti con tumore del colon-retto a rischio recidiva

La biopsia liquida, secondo un nuovo studio, potrebbe giocare un ruolo chiave nell'identificare i pazienti con tumore del colon-retto a rischio recidiva

La biopsia liquida potrebbe giocare un ruolo crescente nell’identificare i pazienti con tumore del colon retto che, dopo l’intervento chirurgico, hanno maggiori probabilità di recidiva, nella prospettiva di un trattamento personalizzato. A suggerirlo sono risultati dello studio di fase 3 IDEA-FRANCE, presentati a Barcellona al congresso annuale della European Society for Medical Oncology (ESMO).

Sopravvivenza senza malattia inferiore nei pazienti con DNA tumorale circolante
Degli 805 pazienti arruolati nello studio e sottoposti a una biopsia liquida prima della chemioterapia adiuvante per un tumore del colon-retto in stadio 3, il 13,5% aveva DNA tumorale circolante (ctDNA) nel sangue. La sopravvivenza libera da malattia (DFS) a 2 anni in questo gruppo è risultata pari al 64%, contro l’82% nei pazienti ctDNA-negativi.

«Questo grande studio prospettico conferma il ruolo del DNA tumorale circolante come fattore prognostico indipendente nel tumore del colon retto: tra i pazienti ctDNA-positivi, circa 6 su 10 sono risultati, a 2 anni dalla terapia adiuvante standard (nel 90% dei casi con regime FOLFOX), liberi da malattia, mentre tra i pazienti ctDNA-negativi quelli liberi da malattia sono risultati 8 su 10» ha commentato il primo autore della ricerca, Julien Taieb, dell’Ospedale Europeo Georges Pompidou di Parigi.

Lo studio IDEA-FRANCE ha anche dimostrato che un trattamento adiuvante di 6 mesi è più efficace di uno di 3 mesi, sia nel gruppo ctDNA+ sia in quello ctDNA-, e che i pazienti ctDNA+ trattati per 6 mesi hanno una prognosi simile a quelli ctDNA- trattati per 3 mesi.

«La ricerca del ctDNA non predice quale paziente debba essere sottoposto alla chemioterapia adiuvante per 3 mesi e quale per 6 mesi; il dibattito rispetto al tipo e alla durata ottimale del trattamento per pazienti ctDNA+ è aperto. Ma ora sappiamo che la presenza di ctDNA è un fattore prognostico rilevante, che sarà molto utile nella stratificazione dei pazienti e sarà un driver per futuri studi sul tumore del colon retto. In tutti i sottogruppi di pazienti ctDNA+ che hanno fatto la chemioterapia adiuvante per soli 3 mesi la prognosi è risultata peggiore» ha spiegato l’autore.

Presenza di ctDNA post-intervento predice la recidiva metastatica, prima che la evidenzi l’imaging
Una percentuale variabile tra il 30% e il 50% dei pazienti con tumore del colon retto localizzato, anche se trattati in modo ottimale, va incontro a recidiva e un secondo studio presentato al congresso ESMO ha valutato se la presenza di ctDNA possa essere utilizzato per rilevare la presenza di malattia minima residua e identificare i soggetti a maggior rischio di ricadere.

Il lavoro evidenzia che la presenza di ctDNA plasmatico dopo l’intervento chirurgico predice la recidiva metastatica con una mediana di 10 mesi prima che questa sia visibile attraverso le indagini radiologiche. Gli autori concludono pertanto che l’analisi del ctDNA apre una nuova strada per la medicina di precisione in questo tipo di pazienti.

«Questi nuovi dati sono molto entusiasmanti e se confermati da futuri studi penso che cambieranno la pratica clinica» ha commentato Alberto Bardelli, dell’Università di Torino. «Dopo ogni intervento chirurgico per un tumore del colon-retto in stadio iniziale resta il dubbio se sia stato eradicato in modo completo e, di conseguenza, pazienti vengono spesso sottoposti a una chemioterapia adiuvante. Tuttavia, i risultati dello studio IDEA-FRANCE hanno dimostrato che ora possiamo utilizzare un semplice esame del sangue per dire se il paziente è libero da malattia oppure no».

«Lo studio è anche uno dei primi a mostrare che nel futuro potrebbe essere possibile utilizzare la biopsia liquida per orientarsi nella scelta della terapia e identificare quali pazienti potrebbero evitare la chemioterapia post-operatoria e quali, invece, dovrebbero farla» ha aggiunto l’esperto italiano.

L’analisi dello studio IDEA-FRANCE
Nel lavoro presentato a Barcellona si è analizzato il valore prognostico e il valore predittivo dell’analisi del ctDNA rispetto alla durata e intensità della terapia adiuvante (3 o 6 mesi) nei pazienti arruolati nello studio IDEA-FRANCE.

Il test è stato eseguito per mezzo dei marcatori WIF1 e NPY secondo una metodologia sviluppata e validata per il tumore del colon-retto.

Il confronto delle caratteristiche del tumore e della DFS è stato effettuato tra i pazienti sottoposti all’analisi del ctDNA e l’intera popolazione arruolata nello studio e tra i pazienti ctDNA+ e quelli ctDNA-. La DFS è stata analizzata nei gruppi sottoposti a 3 mesi di trattamento e in quelli trattati per  6 mesi, in base alla positività o meno al ctDNA. Sono state inoltre pianificate analisi per sottogruppo per pazienti a basso ed alto rischio.

Sul totale di 2010 pazienti arruolati, 1345 hanno dato il consenso per il progetto di ricerca traslazionale IDEA, di questi, 805 sono stati sottoposti alla biopsia liquida per ricercare la presenza di ctDNA prima dell’inizio della chemioterapia.

In questo gruppo era presenta una quota maggiore di pazienti con PS=0 (77% contro il 71% dei rimanenti 1205) e di pazienti in stadio T4 e/o N2 (28% contro 23%).

Il 13,5% dei pazienti sottoposti alla biospia liquida (109) è risultato ctDNA+. In questo sottogruppo è stata riscontrata una maggior presenza di pazienti in stadio T4, scarsamente differenziati e con perforazione tumorale. La DFS a 2 anni è risultata pari al 64% nei pazienti ctDNA+, contro l’82% di quelli ctDNA- (HR 1,75; IC al 95% 1,25-2,45; P = 0,001).

L’analisi multivariata aggiustata ha confermato il ruolo di ctDNA come fattore prognostico indipendente (HR aggiustato 1,85; IC al 95% 1,31-2,61; P < 0,001).

Il trattamento adiuvante di 6 mesi è risultato superiore a quello di 3 mesi sia nel gruppo di pazienti ctDNA+ (HR 0,50; IC al 95% 0,27-0,95; P = 0,033). Da  notare che i pazienti ctDNA+ trattati per 6 mesi hanno mostrato una prognosi simile a quella dei ctDNA- trattati per 3 mesi.