Diabete: test urine può identificare malattia renale


Diabete, un test urinario può rilevare la futura malattia renale secondo uno studio presentato al congresso della European Association for the Study of Diabetes (EASD)

Diabete, un test urinario può rilevare la futura malattia renale secondo uno studio presentato al congresso della European Association for the Study of Diabetes (EASD)

Utilizzando il test urinario di classificazione proteomica CDK273, i ricercatori hanno identificato i pazienti con diabete di tipo 2 e albumina urinaria normale che erano ad alto rischio di sviluppare microalbuminuria, segno di uno stadio precoce della nefropatia diabetica, nello studio europeo PRIORITY presentato al congresso della European Association for the Study of Diabetes (EASD) 2019 che si è tenuto a Barcellona.

Il trattamento di questi soggetti con spironolattone, un bloccante del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), non è stato tuttavia migliore del placebo nel prevenire la progressione della malattia renale in questi pazienti ad alto rischio, ha riferito Peter Rossing dello Steno Diabetes Center di Copenhagen, in Danimarca.

In quasi 2000 soggetti con diabete di tipo 2 e albumina urinaria normale, il test proteomico ha identificato 1 paziente ad alto rischio ogni 10 analizzati. Dopo l’aggiustamento per i fattori di rischio comunemente misurati al basale, questi soggetti risultavano avere un 2,5 volte più probabilità di progredire verso la microalbuminuria rispetto ai non diabetici.

Uno dei principali ricercatori dello studio, Christian Delles dell’Università di Glasgow nel Regno Unito, ha affermato che «il test identifica la malattia renale nelle primissime fasi, prima che un paziente presenti una microalbuminuria rilevabile, una condizione in cui il danno ai reni si è ormai già verificato. La diagnosi precoce consentirebbe approcci preventivi mirati e precoci».

E ha osservato che, anche se la terapia con spironolattone non ha fermato la progressione verso la malattia renale precoce nei pazienti ad alto rischio, la ricerca futura potrebbe identificare farmaci nuovi o già esistenti che potrebbero essere efficaci in tal senso. Aggiungendo che lo screening dei potenziali partecipanti alla sperimentazione clinica con il test CKD273 potrebbe risparmiare ai pazienti che è improbabile che sviluppino malattie renali, una inutile esposizione a un farmaco in studio.

Identificazione del rischio di malattia renale
La malattia renale diabetica ha un grande impatto sul benessere e sulla mortalità dei pazienti, come anche sui costi sanitari. Tuttavia i trattamenti attuali «utilizzano l’albuminuria come marker in un momento in cui il danno ai reni si è già verificato e quindi tentano di ritardare l’insorgenza dell’insufficienza d’organo e la necessità di ricorrere alla dialisi» ha commentato Rossing.

Lo studio PRIORITY (Proteomic Prediction e Renin Angiotensin Aldosterone System Inhibition Prevention of Early Diabetic Nephropathy in Type 2 Diabetic Patients with Normoalbuminuria) mirava a identificare precocemente i pazienti ad alto rischio e a valutare se lo spironolattone – un diuretico con noti benefici antiipertensivi – fosse in grado di ridurre il rischio di progressione verso la malattia renale diabetica.

I ricercatori hanno arruolato 1775 adulti (età 18-75 anni) con diabete di tipo 2 e un rapporto normale albumina urinaria/creatinina (UACR <30 mg/g) provenienti da 15 siti in 10 paesi europei e hanno misurato il modello proteomico CKD273 dei pazienti. Il test utilizza l’elettroforesi capillare accoppiata alla spettrometria di massa per rilevare 273 peptidi nelle urine, principalmente alfa-1-antitripsina e frammenti di ​​fibrinogeno, che sono marker di fibrosi renale e infiammazione.

Il test ha identificato 216 pazienti ad alto rischio di sviluppare microalbuminuria e 1559 a basso rischio. Durante una media di 4,5 anni di follow-up, i pazienti ad alto rischio sono risultati avere tre volte più probabilità di sviluppare microalbuminuria rispetto ai pazienti a basso rischio (28% vs 9%).

«Dopo l’aggiustamento tutti i fattori di rischio convenzionali che già misuriamo nella pratica clinica, inclusi GFR e albuminuria, nonché età, sesso, HbA1c, pressione sistolica, retinopatia e UACR, abbiamo registrato un tasso di eventi 2,5 volte superiore nei soggetti con un modello proteomico ad alto rischio (HR 2,48, p<0,0001)» ha precisato Rossing.

Nel gruppo ad alto rischio, l’eGFR è diminuito in modo significativo durante il follow-up e il 25,5% e il 3,2% dei soggetti hanno sviluppato malattia renale cronica di stadio rispettivamente 3 e 4, rispetto all’8,1% e allo 0,2% del gruppo a basso rischio (p<0,0001).

Spironolattone inefficace
Dei pazienti ad alto rischio, 209 hanno accettato di essere randomizzati a ricevere spironolattone (102 pazienti) o placebo (107 pazienti) per 2,5 anni. L’incidenza di nuova malattia renale non è però risultata differente in misura significativa nei due gruppi (26% nei trattati e 35% con placebo, HR 0,81, p=0,41).

Un numero superiore di pazienti che assumevano spironolattone rispetto al placebo hanno avuto iperkaliemia, con 13 eventi contro 4, e nove partecipanti nel gruppo spironolattone hanno interrotto il trattamento a causa di questo effetto collaterale.

Rossing ha ipotizzato che forse la mancanza di protezione renale con lo spironolattone è legata al fatto che il farmaco riduce l’albuminuria solo negli stadi più avanzati della malattia renale o forse perché lo studio aveva una durata troppo breve oppure il campione non era sufficientemente ampio.

Tuttavia, ha osservato Delles, «esistono nuovi farmaci che mirano specificamente all’infiammazione e alla fibrosi renale attualmente in fase di sviluppo o in valutazione in studi clinici. Dei farmaci attualmente utilizzati, alcuni dei nuovi antidiabetici come gli inibitori SGLT-2 potrebbero essere molto promettenti per la prevenzione della microalbuminuria e, in definitiva, della malattia renale diabetica».