Mesotelioma, immunoterapia possibile alternativa a chemio


Mesotelioma, l’immunoterapia è una possibile alternativa alla chemioterapia standard. A suggerirlo sono i risultati dello studio PROMISE-meso

Mesotelioma, l'immunoterapia è una possibile alternativa alla chemioterapia standard. A suggerirlo sono i risultati dello studio PROMISE-meso

L’immunoterapia potrebbe avere la stessa efficacia della chemioterapia nei pazienti colpiti da mesotelioma. A suggerirlo sono i risultati dello studio PROMISE-meso, presentati a Barcellona in occasione del congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO).

Lo studio ha confrontato gli effetti dell’immunoterapia con l’inibitore dei checkpoint immunitari pembrolizumab con la chemioterapia standard, in pazienti con mesotelioma avanzato già sottoposti a una prima linea di trattamento.

Miglioramento della risposta, ma non della sopravvivenza 
Ne è emerso che in questa popolazione di pazienti, pembrolizumab, benché associato a una migliore risposta obiettiva, non aumenta la sopravvivenza libera da progressione (PFS) o la sopravvivenza globale (OS) rispetto alla chemioterapia standard. È necessario quindi comprendere i meccanismi per cui solo alcuni pazienti con mesotelioma rispondono all’immunoterapia. L’analisi di tali meccanismi di risposta potrebbe fornire informazioni importanti per il trattamento delle migliaia di nuovi casi di mesotelioma diagnosticati ogni anno.

«Nel trial la risposta all’immunoterapia è stata di circa quattro volte superiore a quella alla terapia standard; ma nel complesso i risultati sono insoddisfacenti in quanto la terapia non ha ritardato la progressione né migliorato la sopravvivenza» ha commentato Sanjay Popat, del Royal Marsden Hospital NHS Foundation Trust, di Londra.

«Tuttavia, come già messo in evidenza da precedenti ricerche, alcuni pazienti possono beneficiare dell’immunoterapia per lunghi periodi. Il nostro compito è scoprire come questo possa accadere; avremo così un’idea migliore di quali pazienti potrebbero ricevere questo trattamento al posto della chemioterapia. Nonostante ciò, anche se pembrolizumab non si è dimostrato superiore alla chemioterapia, la sopravvivenza con i due trattamenti è stata simile, per cui pembrolizumab potrebbe comunque rappresentare un’alternativa alla chemioterapia» ha aggiunto l’autore.

Popat ha spiegato, inoltre, che sono necessari studi sugli inibitori dei checkpoint immunitari in pazienti con mesotelioma in stadio più precoce rispetto a quelli valutato nello studio PROMISE-meso, nonché studi in cui si valutino le potenzialità di combinazioni di immunoterapici e altri farmaci antitumorali. «Dagli studi condotti sul tumore al polmone sappiamo che è possibile migliorare la risposta clinica associando immunoterapia e chemioterapia; lo stesso potrebbe valere per il mesotelioma. Consiglierei ai clinici di arruolare i loro pazienti in uno dei grandi studi clinici attualmente in corso nei quali si stanno valutando combinazioni in prima linea. Nel frattempo è necessario capire meglio quali pazienti possono beneficiare dell’immunoterapia».

Amianto principale colpevole
Il mesotelioma è un tumore toracico raro, ma fatale, diagnosticato in oltre 30.000 persone e responsabile di oltre 25.000 decessi ogni anno. I sintomi del mesotelioma, caratterizzato da una progressione rapida, includono mancanza di respiro, tosse, dolore toracico..
Circa l’80% dei casi di mesotelioma deriva dall’esposizione all’amianto, il quale provoca una infiammazione a lungo termine delle cellule mesoteliali del polmone che lentamente, nel corso di 20-50 anni, porta a lesioni cancerose: alla formazione di un unico grande tumore oppure molti piccoli tumori sparsi sulla membrana.

L’amianto è un insieme di minerali del gruppo degli inosilicati, ampiamente estratti dal suolo durante il ventesimo secolo per essere impiegati in edilizia. L’amianto è composto da fibre microscopiche che, se inalate, possono danneggiare il doppio strato di membrana che circonda i polmoni e depositarsi nella pleura.

In Australia, negli Stati Uniti e in Europa occidentale, l’incidenza del mesotelioma è diminuita grazie all’introduzione, negli anni ’70-’80, di regole severe sull’amianto. I decessi negli Usa sono diminuiti gradualmente rispetto a quelli registrati in Europa occidentale, dove, invece, la mortalità è tuttora relativamente stabile; diversa la situazione nell’Europa dell’est, dove la mortalità sembra essere in aumento, probabilmente a causa di un ritardo nell’introduzione del divieto di utilizzare questo materiale. I tassi di mortalità sono in crescita anche in Giappone, storico importatore di amianto.

Problema amianto ancora attuale
«Ci si aspetta che il numero di decessi in tutto il mondo aumenti, a causa di una esposizione al materiale prima che venisse proibito; in alcune aree a rischio, nuovi casi vengono diagnosticati anche dopo molti anni» ha sottolineato Federica Grosso, responsabile dell’Unità Mesotelioma e Tumori rari dell’Azienda Ospedaliera SS Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria.

«A Casale Monferrato in Italia, sorgeva il più grande stabilimento produttivo del mondo, chiuso nel 1987. Qui le diagnosi e i decessi per mesotelioma sono frequenti: in una popolazione di circa 35.000 persone si registrano circa 50 casi all’anno, con un’incidenza più di 20 volte superiore a quella del resto del Paese. Le polveri di amianto inquinano grandi aree del territorio e il rischio non riguarda solo le persone che lavorano negli impianti, ma anche i loro familiari, che si ammalano anche a soli 40 o 50 anni: un’età molto più bassa di quella in cui di solito compare il tumore».

«Una situazione simile, per l’esposizione ambientale, è stata recentemente riportata in Colombia, a Sibatè» ha spiegato l’oncologa italiana. «Qui un impianto è stato chiuso solo pochi anni fa e vengono oggi diagnosticati molti casi di mesotelioma. Ci attendiamo, per i prossimi anni, un aumento dell’incidenza di mesotelioma nei Paesi dove l’amianto è ancora utilizzato; questo materiale è stato totalmente o parzialmente proibito solo in 66 Paesi in tutto il mondo, la maggior parte dei quali ad alto reddito, mentre il grosso dell’attuale produzione e consumo è concentrato in quelli a basso e medio reddito».

«Sebbene lo studio PROMISE-meso non abbia mostrato tassi di sopravvivenza migliori nei pazienti trattati con l’immunoterapia» ha concluso Grosso «le percentuali di risposta osservate in questo gruppo sono incoraggianti e i risultati degli studi in corso sugli inibitori dei checkpoint immunitari su pazienti con mesotelioma in stadio più precoce della malattia saranno molto importanti, sia per i pazienti sia per i clinici».

Attualmente, infatti, il solo regime approvato è la combinazione di permetrexed e di derivati del platino. I pazienti generalmente decedono entro 2 anni dalla diagnosi, e non esiste una terapia efficace di seconda linea. Coloro che mostrano una buona risposta alla prima linea terapeutica possono fare un secondo ciclo della stessa terapia, mentre gli altri pazienti di solito sono sottoposti a monoterapie a base di gemcitabina o vinorelbina, con tassi di risposta approssimativamente del 10%.

Lo studio PROMISE-meso
PROMISE-meso è uno studio randomizzato in aperto di fase 3 nel quale si è confrontata l’efficacia di pembrolizumab con quella della monochemioterapia standard con gemcitabina o vinorlebina, a scelta del centro partecipante, in pazienti con mesotelioma recidivante che non avevano risposto a una precedente chemioterapia con platino.

Sono stati arruolati complessivamente 144 pazienti con mesotelioma avanzato, già trattati in precedenza, il 50% dei quali non aveva mai fumato. I pazienti sono stati assegnati al trattamento con pembrolizumab o con la chemioterapia standard secondo un rapporto di allocazione 1:1 ed era prevista sia la possibilità di passare dal braccio di controllo al braccio sperimentale dello studio in caso di progressione della malattia sia la continuazione di pembrolizumab anche dopo la progressione, se vi era un beneficio clinico.

I pazienti dovevano essere in buone condizioni generali (PS 0-1) e non sono stati selezionati in base all’espressione di PD-L1.
Il tasso di risposta obiettiva è risultato del 22% nei pazienti trattati con pembrolizumab contro il 6% del gruppo trattato con la chemioterapia (P = 0,004). Sul fronte della sopravvivenza, la PFS mediana è risultata rispettivamente di 2,5 mesi e 3,4 mesi (HR 1,06; IC al 95% 0,73–1,53), P = 0,76), mentre l’OS mediana pari rispettivamente a 10,7 mesi con l’immunoterapico contro 11,7 mesi con la chemioterapia (HR 1,05; IC al 95% 0,66-1,67; P = 0,85).
In totale, 45 pazienti sono passati dal braccio di controllo al braccio sperimentale; tenendo conto di tale crossover, i dati di OS sono sovrapponibili fra i due bracci, hanno riportato gli autori.

Per quanto riguarda la sicurezza, eventi avversi di grado ≥3 sono stati registrati nel 19% dei pazienti trattati con pembrolizumab e nel 24% dei controlli e in ciascun gruppo si è registrata una tossicità fatale.

Gli eventi avversi riscontrati più comunemente sono stati stanchezza (19%) nel gruppo sperimentale, verso nausea (27%) e stanchezza (31%) in quello di controllo.