Insufficienza cardiaca: conferme per nuovo farmaco


Insufficienza cardiaca: dapagliflozin, farmaco antidiabetico, ha mostrato un miglioramento della sintomatologia e della qualità di vita nei pazienti in terapia standard

Insufficienza cardiaca: dapagliflozin, farmaco antidiabetico, ha mostrato un miglioramento della sintomatologia e della qualità di vita nei pazienti in terapia standard

Definirlo un farmaco antidiabetico oramai sembra riduttivo delle sue possibilità cliniche. Parliamo di dapagliflozin che nello studio randomizzato DEFINE-HF, condotto su pazienti con insufficienza cardiaca con ridotta frazione di eiezione (HFrEF), con o senza diabete di tipo 2, ha mostrato un miglioramento della sintomatologia e della qualità di vita in quanti hanno lo hanno assunto insieme alla terapia standard per l’insufficienza cardiaca.

I risultati del trial sono stati presentati al congresso della European Association for the Study of Diabetes (EASD) 2019 che si è tenuto a Barcellona e pubblicati sulla rivista Circulation.

«Dapagliflozin ha prodotto ciò che penso siano miglioramenti clinicamente significativi nel ridurre i sintomi, migliorare lo stato funzionale e la qualità della vita in sole 12 settimane di trattamento», ha affermato Mikhail Kosiborod del Saint Luke’s Mid America Heart Institute di Kansas City, Missouri. «Perdipiù in pazienti già sottoposti a un’eccellente terapia medica orientata alle linee guida per la HFrEF».

Pazienti con un quadro clinico simile trattati con il farmaco in uno studio presentato solo poche settimane fa, chiamato DAPA-HF, hanno beneficiato di una riduzione del rischio di morte per causa cardiovascolare o di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca per circa 18 mesi. Anche se DEFINE-HF non ha esaminato gli stessi esiti clinici, i suoi risultati contribuiscono al profilo complessivo dei potenziali benefici di dapagliflozin nei pazienti con HFrEF.

Praticamente tutti i soggetti coinvolti nella sperimentazione assumevano beta-bloccanti e vari inibitori del sistema renina-angiotensina (RAS). I pazienti trattati con dapagliflozin hanno avuto dei benefici indipendentemente dal RAS inibitore che utilizzavano e soprattutto, se avevano il diabete, rispecchiando anche i risultati del trial DAPA-HF. «Nel complesso i risultati supportano l’uso di dapagliflozin come nuova opzione terapeutica nei pazienti con HFrEF indipendentemente dallo stato del diabete», ha aggiunto Kosiborod.

Non avendo ridotto in misura significativa rispetto al placebo i livelli del peptide NT-proBNP (il frammento amminoterminale del pro peptide natriuretico di tipo B, normalmente prodotto nel cuore e rilasciato in caso di sollecitazioni cardiache. Quando il ventricolo sinistro è dilatato per via di un eccessivo carico di lavoro, la concentrazione ematica di NT-proBNP può aumentare notevolmente e quindi ha funzione di indicatore di una diminuita capacità del cuore di soddisfare le richieste di sangue da parte dell’organismo), non è questo il modo con cui dapagliflozin aiuta nell’insufficienza cardiaca e il meccanismo esatto deve essere ancora chiarito.

Miglioramenti clinicamente significativi con dapagliflozin
In DEFINE-HF (Dapagliflozin Effects on Biomarkers, Symptoms and Functional Status in Patients with HF with Reduced Ejection Fraction) i ricercatori hanno assegnato in modo casuale 263 pazienti con insufficienza cardiaca gestita in modo ottimale a ricevere in aggiunta dapagliflozin 10 mg al giorno o placebo per 12 settimane. Dovevano essere in classe funzionale NYHA classe 2-3, avere frazione di eiezione inferiore al 40%, peptidi natriuretici elevati, tasso stimato di filtrazione glomerulare di almeno 30 ml/min/1,73m2, senza ricovero per insufficienza cardiaca o rivascolarizzazione coronarica nell’ultimo mese. I pazienti con diabete di tipo 1 sono stati esclusi.

Quasi tutti assumevano beta-bloccanti e inibitori della RAS, inclusi gli ACE-inibitori o bloccanti dei recettori dell’angiotensina (ARB) nel 59% dei casi e sacubitril/valsartan nel 33%, mentre il 60% era trattato con inibitori dell’aldosterone. Circa il 35% era in stimolazione biventricolare per insufficienza cardiaca.

I due gruppi non differivano significativamente nella media dei livelli rettificati di NT-proBNP a 6 e 12 settimane, il primo di due endpoint primari. L’odds ratio (OR) per l’effetto di dapagliflozin sull’endpoint è stato di 0,95 (p= 0,43).

Per il secondo endpoint primario, un dato composito di miglioramento dello stato di salute specifico per insufficienza cardiaca di almeno 5 punti nel punteggio del Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire (KCCQ) o una riduzione di almeno il 20% nei livelli di NT-proBNP, l’OR per l’effetto di dapagliflozin è stato di 1,8 (p nominale =0,039).

I risultati sono stati coerenti in tutte le analisi di sottogruppi prespecificate, incluso la presenza o meno di diabete. I gruppi di trattamento non differivano significativamente nella variazione di peso né nella walk distance di 6 minuti a 6 o 12 settimane.

Gli eventi avversi gravi sono stati pochi nei due gruppi. Gli effetti collaterali correlati ai farmaci si sono verificati nel 2,3% in entrambi e i più comuni sono stati “eventi di deplezione del volume” nel 9,2% con dapagliflozin e nel 5,3% con il placebo.

«I benefici di dapagliflozin rappresentano molto chiaramente un effetto della classe degli SGLT-2 inibitori nell’arena della prevenzione dell’insufficienza cardiaca per le persone con diabete. L’abbiamo visto costantemente in tutti gli studi, con agenti diversi e diverse popolazioni di pazienti», ha affermato Kosiborod. «Penso che sia più probabile che non sia un effetto di classe anche nel trattamento dell’insufficienza cardiaca. Per ora abbiamo i dati relativi a dapagliflozin. Sarà importante vedere come si comporteranno gli altri agenti».