Renzi lascia il Pd: ecco i motivi della scissione


Matteo Renzi lascia il Pd: “Nel partito manca una visione del futuro, con me 30 parlamentari”. Tutti i perché dietro la scissione del Partito Democratico

Pd, la scissione in due fasi: i sottosegretari renziani vogliono restare dem. Intanto i vertici del partito attendono che Matteo Renzi riveli le sue intenzioni: fari puntati domani su "Porta a Porta"

“Ho deciso di lasciare il Pd e di costruire insieme ad altri una Casa nuova per fare politica in modo diverso”. Lo scrive su facebook Matteo Renzi che ufficializza così la scissione. “Dopo sette anni di fuoco amico- aggiunge- penso si debba prendere atto che i nostri valori, le nostre idee, i nostri sogni non possono essere tutti i giorni oggetto di litigi interni. La vittoria che abbiamo ottenuto in Parlamento contro il populismo e Salvini è stata importante per salvare l’Italia, ma non basta”.

Adesso, continua, “si tratta di costruire una Casa giovane, innovativa, femminista, dove si lancino idee e proposte per l’Italia e per la nostra Europa. C’è uno spazio enorme per una politica diversa. Per una politica viva, fatta di passioni e di partecipazione. Questo spazio attende solo il nostro impegno”.

LE MOTIVAZIONI

“Quello che mi spinge a lasciare e’ la mancanza di una visione sul futuro. I parlamentari che mi seguiranno saranno una trentina, piu’ o meno. Non dico che c’e’ un numero chiuso, ma quasi”. In un’intervista a Repubblica, come riferisce la Dire (www.dire.it), Matteo Renzi torna sulla scissione dal Pd. “I gruppi autonomi – annuncia – nasceranno gia’ questa settimana. E saranno un bene per tutti: Zingaretti non avra’ piu’ l’alibi di dire che non controlla i gruppi Pd perche’ saranno ‘derenzizzati’ e per il governo probabilmente si allarghera’ la base del consenso parlamentare, l’ho detto anche a Conte. Dunque l’operazione e’ un bene per tutti, come osservato da Goffredo Bettini. Ma questa e’ solo la punta dell’iceberg. Il ragionamento e’ piu’ ampio e sara’ nel Paese, non solo nei palazzi”.

Renzi spiega di voler “passare i prossimi mesi a combattere contro Salvini. Abbiamo fatto un capolavoro tattico mettendo in minoranza Salvini con gli strumenti della democrazia parlamentare”, ha osservato, “ma il populismo cattivo che esprime non e’ battuto e va sconfitto nella societa’. E credo che le liturgie di un Pd organizzato scientificamente in correnti e impegnato in una faticosa e autoreferenziale ricerca dell’unita’ come bene supremo non funzionino piu’”.

PIENO SOSTEGNO AL GOVERNO

Matteo Renzi lascia il Partito democratico ma continua a sostenere il governo. Lo avrebbe detto lui stesso, a quanto si apprende, in una telefonata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Renzi ha poi informato della decisione di costituire gruppi autonomi alla Camera e al Senato i presidenti dei due rami del Parlamento.

NEL PD TUTTI CONTRO MATTEO: UN ERRORE

“Ci dispiace. Un errore. Ma ora pensiamo al futuro degli italiani, lavoro, ambiente, imprese, scuola, investimenti. Una nuova agenda e il bisogno di ricostruire una speranza con il buon governo e un nuovo Pd”, dice il segretario del Pd Nicola Zingaretti.

“Uscire dal Pd è un grave errore. Non ho mai visto il centrosinistra rafforzarsi con le divisioni. E poi, adesso che siamo al governo, le nuove responsabilità verso il Paese richiedono più unità, non meno”. Così commenta l’ex segretario del Partito democratico Maurizio Martina intervistato dal Corriere della sera.

“Le motivazioni sentite fin qui- aggiunge Martina- sono fragili e per tanti davvero incomprensibili. Non sono argomentazioni convincenti. Ci troviamo tutti di fronte a una sfida superiore, quella di dimostrare che siamo in grado di caricarci insieme di nuove responsabilità. Se guardo alle esperienze vissute, dividere la coalizione che sta al governo non ha mai aiutato il governo stesso. C’è il rischio di conseguenze non positive”.

“Un errore enorme la scissione di Renzi. Non credo nei partiti personali e le divisioni portano sempre male. I sindaci popolari aggregano, non dividono. Per questo credo rimarremo tutti nel Partito Democratico che, a maggior ragione, vogliamo riformista e maggioritario (non il PDS)”. Lo ha scritto su twitter e su facebook Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, rilanciando l’hashtag “io sto nel Pd”.

“Un milione e seicentomila persone sono venute ai gazebo pochi mesi fa anche per chiedere unità al Pd. Per archiviare la stagione dell’egocrazia e dell’uomo solo al comando. Nessuno di loro capirà mai questa scelta personale di Renzi. Un errore madornale”. Così il responsabile organizzazione Pd Stefano Vaccari su Twitter.

Non brindo e non piango, di scissioni purtroppo ne abbiamo viste tante. Chi compie una scelta forte come quella che fa Renzi di andar via dal partito di cui è stato segretario, stessa scelta compiuta da Bersani, va rispettata perché sofferta. Però è un errore, dividere è sempre un errore, la storia della sinistra è contrassegnata da divisioni che hanno cercato ogni volta legittimazione con la ragione di allargare. Invece oggi le ragioni unitarie del grande soggetto riformista che è il PD sono ancora più forti. Auguri a chi se ne va consapevoli che non saremo mai nemici, ma auguri anche a noi che rimaniamo”, scrive su facebook l’assessore alla Casa e ai Rifiuti della Regione Lazio, Massimiliano Valeriani.

“Colpisce la leggerezza con cui si teorizza la scissione consensuale rispetto alla sfida che attende la sinistra italiana. E la scissione è un grave errore, che rischia di indebolire (insieme alla svolta verso il proporzionale) quell’agenda riformista e innovatrice che il Pd deve realizzare oggi dentro l’alleanza forzata con M5s”. Lo scrive Andrea Romano, deputato del Pd, in un lungo articolo pubblicato oggi sul Foglio. “Affinché la convivenza tra Pd e M5s sia utile al futuro dell’Italia- aggiunge-, e non solo a rispondere all’emergenza Salvini, serve che l’agenda liberale e riformista non sia ‘privatizzata’ e ricondotta alla condizione orgogliosamente minoritaria nella quale si è quasi sempre trovata nella storia della sinistra italiana. E serve dunque che il PD conservi quella pluralità di culture, sensibilità e radicamenti che ne hanno permesso la sopravvivenza dentro la crisi più grave della sinistra europea: perché chi rinuncia alla ricchezza della propria cultura politica, e agli strumenti che le danno forza, prima o poi ne paga il prezzo. Insieme a questo va respinta la tentazione a rinchiudersi dentro una rappresentazione angusta e sostanzialmente corporativa della sinistra, consegnando stabilmente ai Cinque Stelle e al loro disinvolto uso delle alleanze il controllo della strategia politica di lungo periodo. Così com’è facile immaginare che un quadro proporzionale ma privo dei partiti forti della Prima Repubblica aprirebbe la strada a dinamiche interne dominate dalla tattica e a navigazioni parlamentari ispirate al più corsaro degli stili, con l’effetto di indebolire ancora di più le istituzioni della democrazia rappresentativa di fronte ad una narrazione antipolitica che si avvia ad essere potenziata dal nuovo quadro di governo. Anche per questo il Partito Democratico dovrebbe riflettere con molta attenzione – e senza dare niente per scontato – sull’opportunità, i tempi e le modalità di una svolta in senso proporzionale mentre la destra rilancia sul campo la propria vocazione maggioritaria. E dovrebbe farlo proprio ora che ha l’urgenza di legittimare una nuova maggioranza politica di fronte all’opinione pubblica, con tutta la cautela e la credibilità necessarie. Mentre il paese rischia di conoscere una recrudescenza dell’identitarismo settario e una crescita dell’astensionismo”.