Terapia ormonale sostitutiva: si riaccende il dibattito


Terapia ormonale sostitutiva e rischio di tumore al seno: nuovo studio pubblicato su Lancet mostra legami e riaccende il dibattito

tumore del seno breast units
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La terapia ormonale sostitutiva (TOS) per le donne in menopausa aumenta il rischio di tumore al seno? Se ne è parlato moltissimo in passato, poi un periodo di relativo silenzio sull’argomento, ma ora una nuova metanalisi appena uscita su Lancet riaccende il dibattito. Il lavoro, infatti, fornisce robuste evidenze a supporto di un legame tra questo trattamento e incremento del rischio di carcinoma mammario, anche se le implicazioni per le singole pazienti sono meno chiare.

Nella metanalisi, che ha preso in esame ben 58 studi, su un totale di oltre 100.000 donne, coloro che hanno riferito di aver fatto uso della TOS hanno mostrato di avere un rischio relativo superiore del 26% di sviluppare un cancro al seno rispetto a coloro che non l’avevano mai assunta (RR 1,26; IC al 95% 1,24-1,28).

Nello studio, coordinato dal Collaborative Group on Hormonal Factors in Breast Cancer del Nuffield Department of Population Health dell’Università di Oxford, sia i prodotti a base di estrogeni e progestinici sia quelli a base di soli estrogeni sono risultati associati a un eccesso di rischio significativo di sviluppare una neoplasia mammaria, seppure più alto per le combinazioni estrogeno-progestinico. I preparati a base di soli estrogeni contenevano estradiolo ed estrogeno equino, mentre quelli a base di estrogeni e progestinici levonorgestrel, noretisterone acetato e medrossiprogesterone acetato.

L’entità del rischio è risultata associata alla durata d’uso. Inoltre, l’aumento del rischio è risultato più elevato tra le donne che stavano assumendo la TOS al momento dello studio che non tra quelle che l’avevano fatta in passato.

Per le donne che stavano prendendo gli ormoni al momento dello studio e che erano in terapia da 1-4 anni, quelle che assumevano preparati a base di estrogeni e progestinici hanno mostrato un rischio relativo più alto rispetto a quelle trattate con soli estrogeni (RR 1,60 e IC al 95% 1,52-1,69 contro RR 1,17 e IC al 95% 1,10-1,26). L’entità di questo aumento del rischio è risultata ancora più elevata tra coloro che stavano facendo la terapia al momento dello studio e la assumevano da 5-14 anni, in particolare per le combinazioni ormonali (solo estrogeno: RR 1,33, IC al 95% 1,28-1,37; estrogeno-progestinico: RR 2,08, IC al 95% 2,02-2,15).

Dall’analisi si evince anche che a far salire il rischio non è solo la durata d’uso della TOS, ma anche la sua frequenza. Infatti, le donne che avevano assunto quotidianamente la terapia per 5-14 anni hanno mostrato un rischio significativamente più alto di tumore al seno rispetto a quelle nelle quali l’assunzione era stata meno frequente (RR 2,30 e IC al 95% 2,21-2,40 contro RR 1,93 e IC 95% 1,84-2,01).

Si è visto, inoltre, che il rischio aumenta a prescindere dalla via di somministrazione: orale o transdermica. Infatti, nelle donne che assumevano la TOS da 5-14 anni al momento dello studio l’RR è risultato pari a 1,33 in caso di assunzione per bocca (IC al 95% 1,27-1,38) e 1,35 per la via transdermica (IC al 95% 1,25-1,46). I preparati di estrogeni vaginali, tuttavia, non sembrano avere lo stesso effetto, probabilmente, suggeriscono gli autori, perché con questa modalità di assunzione l’esposizione sistemica è limitata (per 5-14 anni di utilizzo RR 1,09; IC 95% 0,97-1,23).

Nelle donne che avevano interrotto la TOS più di 15 anni prima dello studio, scrivono i ricercatori, non è stato possibile quantificare il rischio di cancro al seno.

In termini di caratteristiche specifiche del tumore, coloro che assumevano una TOS estroprogestinica da 5-14 anni al momento dello studio, hanno mostrato un rischio più alto rispetto alle utilizzatrici di soli estrogeni, indipendentemente dallo stato del recettore degli estrogeni, dall’istologia del tumore e dalla diffusione del tumore.

Infatti, nel sottogruppo con tumore ER positivo l’RR è risultato rispettivamente pari a 2,44 (IC al 95% 2,35-2,54) contro 1,45 (IC 95% al 1,38-1,53), mentre in quello con tumore ER negativo rispettivamente pari a 1,42 (IC al 95% 1,30-1,55) contro 1,25 (IC 95% al 1,13-1,38); nel sottogruppo con tumore lobulare l’RR è risultato rispettivamente pari a 2,72 (IC al 95% 2,51-2,95) contro 1,58 (IC al 95% 1,43-1,75), mentre in quello con tumore duttale rispettivamente pari a 1,89 (IC al 95% 1,82-1,97) contro 1,25 (IC al 95% 1,20-1,31); infine, in quello con tumore localizzato al seno l’RR è risultato rispettivamente pari a RR 2,07 (IC al 95% 1,97-2,17) contro 1,31 (IC al 95% 1,23-1,39), mentre in quello diffuso quello con tumore al di là del seno rispettivamente pari a 1,89 (IC al 95% 1,78-2,02) contro 1,35 (IC al 95% 1,25-1,46).

Si è visto anche che nelle donne obese che assumevano solo estrogeni, stratificando i risultati in base all’indice di massa corporea non vi era alcun rischio aggiuntivo di carcinoma mammario al di là di quello già elevato di questa popolazione; si è registrato solo un lieve aumento del rischio per le donne obese che facevano una TOS combinata.

“La rilevanza clinica dei risultati principali risiede nell’entità dei rischi assoluti durante e dopo l’uso della TOS per le donne che la iniziano tra i 40 e i 59 anni, ma la rilevanza per la salute pubblica dipende anche dal numero di donne precedentemente e attualmente esposte alla terapia” osservano i ricercatori nella discussione.

Anche se “l’uso di entrambi i tipi di TOS per meno di un anno è risultato associato a un basso rischio successivo, per le donne di peso medio risiedenti in Paesi sviluppati, 5 anni di utilizzo, a partire dai 50 anni di età, causerebbero un aumento apprezzabile della probabilità di sviluppare un carcinoma mammario tra i 50 e i 69 anni” aggiungono gli autori.

In un editoriale di commento, tuttavia, Joanne Kotsopoulos, dell’Università di Toronto, in Canada, afferma che quando si interpreta questo studio, è importante tenere presente che nell’analisi sono stati inclusi solo studi prospettici, molti dei quali contenevano inevitabili bias. L’esperta fa notare anche che l’uso della TOS spesso non è continuativo e le donne possono cambiare il tipo di preparazione utilizzata in corso di trattamento.

Ma i risultati sono sicuramente preoccupanti, avverte Kotsopoulos: “I clinici devono tenere conto del messaggio che emerge da questo studio, ma anche adottare un approccio razionale e globale alla gestione dei sintomi della menopausa, considerando attentamente rischi e benefici derivanti dall’avvio della terapia ormonale sostitutiva per ogni donna”.

L’approccio “potrebbe dipendere dalla gravità dei sintomi, dalle controindicazioni alla terapia ormonale sostitutiva (per esempio, cancro al seno, malattie cardiovascolari e ictus) e dal BMI, e potrebbe tenere conto delle preferenze della paziente” continua la specialista. “Per le possibili candidate, la TOS (preferibilmente con il solo estrogeno) dovrebbe essere avviata durante il periodo della menopausa naturale e idealmente limitata a non più di 5 anni di assunzione” conclude l’editorialista.