Alzheimer: insulina intranasale rallenta perdita cognitiva


Alzheimer: secondo una nuova ricerca l’assunzione giornaliera di insulina intranasale può  essere efficace nel rallentare la progressione della patologia

Alzheimer: secondo una nuova ricerca l'assunzione giornaliera di insulina intranasale può  essere efficace nel rallentare la progressione della patologia

Una nuova ricerca – presentata a Los Angeles nel corso dell’ all’Alzheimer’s Association International Conference (AAIC) 2019 – suggerisce che l’insulina intranasale somministrata giornalmente possa essere efficace nel rallentare la progressione del decadimento cognitivo lieve (MCI) o della malattia di Alzheimer (AD).

I ricercatori hanno scoperto che l’insulina intranasale somministrata tramite un nuovo dispositivo di rilascio ha rallentato il tasso di declino cognitivo da 1 a 2 anni. «L’entità del vantaggio è sorprendente» ha dichiarato il primo autore dello studio, Suzanne Craft, docente di Gerontologia e Medicina Geriatrica alla Wake Forest School of Medicine di Winston-Salem, nella Carolina del Nord. «Questo è il primo studio in cui un farmaco è stato somministrato per via intranasale per curare l’AD».

Effetto protettivo rispetto a beta-amiloide e proteina tau alterata

L’insulina è essenziale per le normali funzioni del corpo e del cervello. Migliora la comunicazione tra i neuroni, aumenta il flusso sanguigno cerebrale e protegge dalla beta-amiloide (Aβ) e dalla tau anomala.

«Un aspetto molto importante per la memoria è che l’insulina protegge le sinapsi dall’amiloide e genera anche nuove sinapsi. Il modo in cui l’insulina funziona bene è il miglior fattore predittivo di quanto una persona invecchierà con successo» ha affermato Craft.

Sembra che i pazienti con AD abbiano bassi livelli di insulina nel cervello o che l’ormone non funzioni in modo efficace. Aumentare i livelli di insulina nel cervello potrebbe quindi essere d’aiuto. Tuttavia, l’iniezione di insulina non porta l’ormone direttamente nel cervello e potrebbe abbassare i livelli di zucchero nel sangue, ha detto Craft.

Per lo studio, i ricercatori hanno utilizzato una nuova modalità di rilascio: un dispositivo che facilita le applicazioni intranasali. La tecnologia prevede la creazione di piccolissime goccioline di insulina simili ad aerosol che vengono spinte verso l’alto, direttamente nel cervello e non nel flusso sanguigno o nei polmoni, ha specificato Craft. Vi è un crescente interesse per la somministrazione intranasale di insulina, in parte perché è in grado di penetrare nella barriera emato-encefalica, ha aggiunto.

Lo studio ha incluso 289 pazienti in 26 centri con punteggi al Mini-Mental State Examination (MMSE) superiori a 20. I partecipanti sono stati assegnati in modo randomizzato a ricevere 20 unità internazionali (UI) di insulina o placebo due volte al giorno per 12 mesi, dopo di che potevano scegliere di ricevere insulina per 6 mesi in una fase in aperto.

Utilizzati due diversi dispositivi di erogazione
Lo studio è iniziato in un primo tempo con il dispositivo “Kurve Vianase”, che i ricercatori avevano utilizzato in tutti i loro studi precedenti. Il produttore ha cercato di migliorare il dispositivo per questo trial «ma sfortunatamente quel miglioramento ha comportato l’inaffidabilità del dispositivo» ha detto Craft.

Il produttore, infatti – ha spiegato – aveva inserito un nuovo interruttore del timer sul dispositivo che «ha funzionato in modo irregolare» il che significa che i partecipanti allo studio «hanno continuato a sostituire» il dispositivo.

Lo studio è quindi passato a un secondo sistema di erogazione, il dispositivo olfattivo di precisione Impel. Ciò ha portato al fatto che 49 soggetti dello studio sono stati valutati con il primo dispositivo e 240 con il secondo. Non ci sono stati problemi di sicurezza con entrambi i dispositivi e vi è stata una «compliance rispettabile» per entrambi, ha affermato Craft.

Risultati clinicamente significativi con il primo device
L’outcome primario era l’ADAS-Cog (Alzheimer’s Disease Assessment Scale-Cognitive Subscale), con punteggi più alti che indicano risultati peggiori. I ricercatori hanno somministrato altri test cognitivi e comportamentali e misurato anomale proteine amiloidi e tau – in termini di rapporti Aβ42/Aβ40 e Aβ42/tau – in campioni di liquido cerebrospinale (CSF).

«Questi rapporti forniscono una misura integrata della patologia dell’Alzheimer e in alcuni studi sono risultati predittori migliori rispetto ai singoli biomarcatori» ha osservato Craft. Nell’analisi dei pazienti che hanno utilizzato il secondo dispositivo, entrambi i gruppi sono peggiorati sotto il profilo cognitivo. «Quindi non vi è stato alcun beneficio» dall’insulina intranasale né nello studio di 12 mesi né nella fase in aperto.

In questo gruppo, inoltre, non c’erano differenze tra coloro che assumevano placebo e quelli che assumevano insulina in qualsiasi altra misura che i ricercatori hanno incorporato nello studio.

Tuttavia, ha rilevato Craft, si è avuta «un’immagine diversa» con il primo dispositivo. Qui, il gruppo insulina ha mostrato un vantaggio nell’arco di 12 mesi e, entro 18 mesi, lo stesso gruppo aveva un vantaggio di 6 punti sull’ADAS-Cog rispetto a quelli che erano stati originariamente assegnati al placebo (P = 0,018).

«Questo è un effetto clinicamente significativo» ha detto Craft. «Stimiamo che si tratti di un rallentamento da 1 a 2 anni nel tasso di progressione della malattia». Gli adulti con AD in genere peggiorano di circa 3 punti ADAS-Cog all’anno, ha osservato.

Beneficio maggiore quanto più precoce è la somministrazione

Inoltre, i rapporti dei biomarcatori CSF sono migliorati nel gruppo insulina che ha utilizzato il primo dispositivo, suggerendo un rallentamento delle lesioni cerebrali associate all’AD. «Questo ci ha mostrato che stavamo influenzando le proteine e i meccanismi patologici che fanno parte dell’AD, oltre ai sintomi cognitivi» ha riportato Craft. È possibile che i benefici cognitivi aumentino con il passare del tempo, ha aggiunto.

I ricercatori hanno testato la capacità del primo dispositivo di fornire insulina nel cervello. Lo hanno fatto somministrando soluzione salina e insulina in momenti diversi, ciascuno seguito da una puntura lombare per valutare i livelli nel CSF. «I dati mostrano che i livelli di insulina sono stati elevati con il trattamento insulinico da quel dispositivo in ogni occasione. Ciò è stato significativo; ha dimostrato che il dispositivo stava immettendo insulina nel cervello» ha detto Craft.

I ricercatori stanno conducendo ulteriori analisi per determinare se il peggioramento cognitivo dei soggetti con punteggi MMSE più alti al basale ha rallentato più che nei partecipanti con punteggi al basale più bassi. «Non possiamo ancora affermare che sia così, ma è quello che pensiamo stia succedendo: prima si somministra l’insulina, meglio è» ha riferito.

Non è chiaro invece perché i due dispositivi abbiano prodotto risultati diversi. Craft ha notato che i dispositivi possono differire nella loro capacità di fornire insulina al cervello. Tutti i dispositivi non sono costruiti in modo perfettamente uguale, ha osservato.

È in programma uno studio di fase 3 per confermare gli effetti benefici dell’insulina intranasale in pazienti con MCI e AD. Non è ancora chiaro quale dispositivo sarà selezionato per questo prossimo studio sebbene «convalideremo il dispositivo prima dell’inizio dello studio» ha concluso Craft.