Ipoglicemia grave aumenta rischio cardiovascolare


Ipoglicemia grave: secondo un nuovo studio i pazienti presentano un rischio più elevato di andare incontro a problemi cardiovascolari e a declino cognitivo

Ipoglicemia grave: secondo un nuovo studio i pazienti presentano un rischio più elevato di andare incontro a problemi cardiovascolari e a declino cognitivo

I pazienti che incorrono in episodi di ipoglicemia grave presentano un rischio più elevato di andare incontro a problemi cardiovascolari e a declino cognitivo, secondo i risultati di una analisi dello studio ARIC presentata al congresso Heart in Diabetes, che si è tenuto a Filadelfia dal 26 al 28 giugno 2019.

Per i ricercatori, il personale sanitario dovrebbe proteggere di più questi pazienti e analizzare meglio gli eventi ipoglicemici per rivalutare i fattori di rischio. Negli adulti con compromissione cognitiva suggeriscono che la terapia venga adattata in modo da prevenire l’ipoglicemia.

«L’ipoglicemia grave è rara ma incredibilmente importante», ha detto la relatrice Elizabeth Selvin, della Johnson Hopkins Bloomberg School of Public Health e ricercatrice principale dello studio Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC). «Un episodio acuto di ipoglicemia può essere un’emergenza medica, ma la questione delle conseguenze a lungo termine degli episodi di ipoglicemia grave è molto dibattuta».

Utilizzando i dati della quarta visita di follow-up dello studio ARIC che aveva arruolato oltre 15mila soggetti di età compresa tra 45 e 64 anni nel 1987, Selvin e colleghi hanno identificato 195 casi di ipoglicemia grave (età media, 65 anni, 58% donne) tra 1209 partecipanti con diabete che avevano completato una visita di follow-up tra il 1996 e il 1998.

I partecipanti con un evento ipoglicemico grave presentavano una maggior prevalenza di malattie cardiovascolari, cardiopatia coronarica, insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale, malattia arteriosa periferica e mortalità per tutte le cause. In effetti, Selvin ha fatto presente che nei 3 anni successivi a un episodio di grave ipoglicemia, il 30% di quanti avevano avuto un simile evento era deceduto.

I ricercatori hanno riscontrato aumenti significativi del rischio di mortalità per tutte le cause (HR=1,73), mortalità cardiovascolare (HR=1,64) e cardiopatia ischemica (HR=2,02) tra coloro che avevano sperimentato un’ipoglicemia grave almeno una volta, in modelli completamente aggiustati. Rischi che, secondo Selvin, erano particolarmente alti nei 12 mesi successivi a un grave evento ipoglicemico. Invece il rischio di insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale e malattia arteriosa periferica, pur restando numericamente più elevato, non ha raggiunto la significatività.

«Indipendentemente dal fatto che queste associazioni siano causali, l’ipoglicemia grave è un potente indicatore della futura mortalità a breve termine e del rischio cardiovascolare», ha commentato Selvin. «È necessario indagare più a fondo per comprenderne i meccanismi».

Troponina T cardiaca associata a ipoglicemia
Lo studio ha anche valutato la troponina T cardiaca, un biomarcatore per il danno miocardico, in relazione al diabete in una coorte di 2148 partecipanti allo studio ARIC che sono stati visitati dal 2011 al 2013. Tra questi, in 72 hanno avuto un evento di grave ipoglicemia (età 78 anni, 61% donne).

Selvin ha osservato che circa il 50% di coloro che avevano avuto una grave ipoglicemia in passato presentava alte percentuali di troponina T cardiaca rispetto al 18% di quelli che non avevano subito un tale evento. Una discrepanza che in gran parte permaneva anche dopo aver separato i soggetti senza pregresse cardiopatia e insufficienza cardiaca (29% vs 13%) da quelli con una storia di queste complicanze (70% vs 31%).

I ricercatori hanno fatto presente che si trattava di valori di prevalenza grezzi e che, anche se era più probabile che qualcuno con ipoglicemia grave avesse la troponina T cardiaca alta rispetto ai non iperglicemici, una volta effettuati gli aggiustamenti per età, sesso e razza, si perdeva la significatività dopo aver incluso i livelli di HbA1c, la durata del diabete e il tasso di filtrazione glomerulare stimato.

«Il campione è sottodimensionato per rilevare un’associazione indipendente con il danno del miocardio, quindi servono studi più ampi per valutare ulteriormente questo problema», ha detto Selvin.

Maggior declino cognitivo e demenza
La ricerca ha anche valutato gli effetti dell’ipoglicemia grave sulla funzione cognitiva. Tra quanti hanno effettuato visite tra il 2011 e il 2013, chi è andato incontro a ipoglicemia grave ha mostrato una probabilità 1,51 volte maggiore di avere un declino cognitivo lieve e 2,35 volte di avere demenza.

Inoltre, nei modelli completamente aggiustati, la demenza era 2,44 volte più probabile che si sviluppasse tra i partecipanti alle visite dal 1996 al 1998 che avevano una grave ipoglicemia.

«I meccanismi non sono ancora chiari. È possibile che l’ipoglicemia contribuisca direttamente alla fisiopatologia di questi esiti, come è anche possibile che sia semplicemente un indicatore di rischio. Inoltre, potrebbe esserci qualche causalità inversa in cui altre condizioni, come il deterioramento cognitivo, potrebbero esse stesse portare all’ipoglicemia», ha commentato Selvin.

«Il cervello dipende strettamente dal glucosio che, se basso, causa certamente problemi acuti. Non è ancora chiaro come gli attacchi di ipoglicemia potrebbero contribuire ai danni a lungo termine. Esistono anche evidenze del fatto che una scarsa cognizione può influire sull’aderenza e sul trattamento e contribuire direttamente al rischio di ipoglicemia» ha aggiunto.

Per proteggere meglio i pazienti che potrebbero aver avuto ipoglicemia in passato o per prevenirla nei soggetti a più alto rischio di esiti avversi «i fornitori dovrebbero esaminare la cronologia dell’ipoglicemia e questa dovrebbe innescare una nuova valutazione della gestione dei fattori di rischio nei pazienti. Negli adulti con compromissione cognitiva la terapia deve essere adattata in modo da prevenire l’ipoglicemia» ha concluso.