Malattie infiammatorie croniche intestinali: in pochi usano i vaccini


Per le malattie infiammatorie croniche intestinali in pochi utilizzano i vaccini secondo un’indagine nazionale effettuata tra medici gastroenterologi e pediatri

Per le malattie infiammatorie croniche intestinali in pochi utilizzano i vaccini secondo un'indagine nazionale effettuata tra medici gastroenterologi e pediatri

E’ forte tra i medici specialisti la convinzione scientifica sull’importanza dei vaccini per i pazienti affetti da Malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici), ma la pratica non è ancora sufficientemente diffusa. Con un danno potenziale per questa tipologia di persone fragili.

E’ quanto emerge, riferisce l’Agenzia Dire (www.dire.it), da un’indagine nazionale effettuata tra medici gastroenterologi e pediatri presentata a Milano nel corso del congresso congiunto IG-IBD-SIMIT. A discuterne, all’Hotel dei Cavalieri, 120 specialisti gastroenterologi e infettivologi, che si sono confrontati sui rischi infettivi nelle Malattie infiammatorie croniche intestinali per promuovere un approccio multidisciplinare che possa offrire la miglior cura ai pazienti.

La survey italiana è stata condotta nel 2018 dalla Società scientifica IG-IBD, di cui Ambrogio Orlando è coordinatore del Comitato educazionale. Il sondaggio si è rivolto a gastroenterologi e pediatri che lavorano sulle Mici, perlopiù con esperienza maggiore di 15 anni. Il 41% dei gastroenterologi segue più di 500 pazienti affetti da questa malattia; tra i pediatri, il 19% segue più di 200 bambini affetti da Mici. Su 455 intervistati, hanno risposto in 198.

“Dalla survey è emerso che è ancora troppo bassa la sensibilità dei medici che si occupano di queste patologie ad eseguire le vaccinazioni- osserva sottolinea Orlando, responsabile di Unità semplice dipartimentale sulle Mici presso l’azienda ospedaliera ospedali riuniti Villa Sofia Cervello di Palermo, che ha condotto la survey- l’83% ritiene che sia molto importante seguire le vaccinazioni raccomandate dalle Linee Guida nell’ambito delle infezioni delle Mici. Tuttavia, restano molti punti su cui è necessario ottenere miglioramenti, come la loro esecuzione al momento della diagnosi, passaggio cruciale, sostenuta solo dal 66%: una maggioranza non schiacciante che desta apprensione”.

Il soggetto affetto da Mici è riconducibile alla categoria del paziente fragile, cioè quell’insieme di individui con un sistema immunitario compromesso. Le patologie cosiddette ‘Mici’, ovvero malattia di Crohn e colite ulcerosa, note anche come IBD (Inflammatory bowel diseases), implicano dunque maggiori rischi di incorrere in complicanze infettive.

I rischi infettivi possono essere di origine virale, batterica o fungina. Patologie senza particolari conseguenze per un paziente con un sistema immunitario efficiente, ma se contratte da un soggetto immunosoppresso, possono avere effetti anche molto gravi. La tubercolosi latente, l’epatite A, B e C, l’herpes zoster e le polmoniti batteriche, sono solo alcuni esempi di malattie che possono avere conseguenze molto gravi in un paziente. Da qui la necessità di prevenzione tramite profilassi vaccinale.

Per il professore Alessandro Armuzzi, segretario nazionale IG-IBD (Gruppo Italiano per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali) “queste vaccinazioni sono molto importanti per la prevenzione che possono garantire”. Oltre alla ovvia profilassi obbligatoria, continua Armuzzi, “la profilassi vaccinale annuale contro l’influenza o quella periodica contro lo pneumococco (il batterio che provoca la polmonite) sono particolarmente suggerite, specialmente se siano in corso terapie immunosoppressive”.

Uno dei casi al centro dell’attenzione del convegno milanese è anche quello dell’evoluzione delle infezioni in sepsi, una condizione che genera un incremento esponenziale dei rischi per la vita dei pazienti. Con il termine di ‘sepsi’ s’intende infatti la risposta sistemica a uno stimolo infettivo variamente localizzato, in grado di autoalimentarsi e prendere il sopravvento se non viene opportunamente e tempestivamente spento l’interruttore infettivo. Tale condizione di grave pericolo, caratterizzata da una sindrome in cui il paziente può rapidamente passare dalla sepsi allo shock settico trattabile e da qui allo shock settico refrattario, necessita di essere prontamente riconosciuta e trattata. A questo proposito la comunità scientifica internazionale si è dotata di veri propri pacchetti di intervento che riuniscono e coordinano le misure di diagnosi, supporto dei parametri vitali e di terapia antibiotica secondo uno schema temporale ben preciso.

“Nel caso delle sepsi che possono insorgere nell’ambito delle Mici- sottolinea Marcello Tavio, vice presidente SIMIT (Società Italiana di malattie infettive e tropicali)- il gastroenterologo, l’intensivista e l’infettivologo devono rapidamente coordinarsi per riconoscere la condizione, dare supporto all’organismo a seconda del livello di compromissione raggiunto (partendo dal livello di maggiore gravità, ovvero lo shock settico che rappresenta una condizione di emergenza assoluta), avviare le indagini diagnostiche preliminari indispensabili, iniziare il trattamento anti-infettivo e procedere al ‘source control’, ovvero la rimozione della causa scatenante”.

SEPSI RISCHIO LETALE, MA SI PUO’ EVITARE

“La sepsi è una grave complicanza delle infezioni che può essere letale ai pazienti affetti da Malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici), ma può essere evitata”. A parlare è Marcello Tavio, medico infettivologo e vice presidente SIMIT (Società Italiana di malattie infettive e tropicali), oggi a margine del congresso congiunto IG-IBD e SIMIT (Società Italiana di malattie infettive e tropicali) sui rischi delle infezioni per i pazienti affetti da Malattie infiammatorie croniche intestinali.

“Il ruolo dell’infettivologo è quello di coadiuvare il medico gastroenterologo nella prevenzione, diagnosi e trattamento di eventuali complicanze infettive che possono insorgere nel percorso di questi pazienti”, spiega Tavio, che al congresso è intervenuto nel panel ‘Sepsi e complicanze post-chirurgiche: la situazione italiana’.

“La sepsi- precisa- costituisce una risposta sistemica dell’organismo, non favorevole a quest’ultimo, che può complicare qualsiasi infezione: è quindi una situazione di emergenza che va precocemente riconosciuta da parte dei clinici e precocemente trattata, perché il rischio per la vita del paziente, quando raggiunge livelli estremi è molto alto”. Per Tavio eventi come il congresso odierno IG-IBD e SIMIT sono “fondamentali perchè in un’epoca in cui la medicina è diventata di altissima specializzazione, è prezioso confrontare le competenze e soprattutto di integrarle, in modo da coordinarci tra medici, nell’interesse dei pazienti”.

TEAM CENTRALE, CON INFETTIVOLOGO

Un team multidisciplinare, che includa un medico infettivologo, è fondamentale nella cura dei pazienti affetti da Malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici) come la malattia di Crohn e colite ulcerosa. Ne è convinto il professore Alessandro Armuzzi, segretario generale IG-IBD (Gruppo Italiano per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali), parlando oggi a margine del congresso congiunto IG-IBD e SIMIT (Società Italiana di malattie infettive e tropicali).

Nel team, spiega Armuzzi, è centrale l’ibidologo (medico specialista nella gestione delle Mici), che coordina una serie di figure, come il chirurgo, l’infermiere, lo psicologo, il nutrizionista, l’assistente sociale e una serie di medici specialisti a seconda dei casi.

Una squadra necessaria, spiega Armuzzi, perché i rischi per questi pazienti sono molteplici: “C’è un rischio intrinseco legato alla patologia, e, ad esempio all’avanzare dell’età o agli interventi chirugici e alla malnutrizione, che può essere frequente”. Si aggiungono “rischi estrinseci, in primis alcuni farmaci che vengono usati per gestire queste patologie”.

Quindi, conclude il professore, “è molto importante il concetto di gestione delle infezioni nei pazienti affetti da Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa”, che “salva” da rischi di turbercolosi latente e sepsi. Quest’ultimo termine si intende la risposta sistemica a uno stimolo infettivo variamente localizzato, in grado di autoalimentarsi e prendere il sopravvento se non viene opportunamente e tempestivamente curato il focolaio infettivo.