Infertilità: in Italia problema per il 15% delle coppie


Allarme infertilità: in Italia il 15% delle coppie sono infertili, ma il crollo è mondiale. Sos in Giappone, Germania, Usa, Cina, Russia e Africa

Allarme infertilità: in Italia il 15% delle coppie sono infertili, ma il crollo è mondiale. Sos in Giappone, Germania, Usa, Cina, Russia e Africa

È boom di infertilità nel mondo intero. Negli ultimi anni, infatti, “il tasso di fertilità è calato ovunque, anche in Africa, dove – nonostante rimanga il più alto – è crollato dal 5,1 (2000-2005) al 4,7 (2010-2015)”. Il problema è che “sempre più Paesi hanno tassi di fertilità inferiori a quelli necessari per garantire il rimpiazzo delle generazioni passate”, e in questi gruppi rientrano “Cina, Usa, Brasile, Russia, Giappone, Vietnam, Germania, Iran e Regno Unito”. Così Eleonora Porcu, docente di Ginecologia e Ostetricia all’Università di Bologna (Unibo) e responsabile della struttura dipartimentale di Infertilità e Pma (Procreazione medicalmente assistita) dell’Ospedale Sant’Orsola, al 75esimo congresso italiano di pediatria. In Italia “il 15% delle coppie ha problemi di infertilità e siamo all’ottavo posto per il numero di trattamenti da Pma”. Al 2016 i dati parlano di 473mila nascite complessive, di cui sole 13mila con fecondazione assistita.

“Il registro dell’Istituto superiore di sanità, reso obbligatorio dalla legge 40/2014, riporta che sono stati dati alla luce circa 100mila bambini con Pma”, continua Porcu. Numeri alla mano, perciò, la procreazione medicalmente assistita “non è certamente la risposta alla denatalità italiana, che è la maggiore in Europa. Di fatto- spiega la dottoressa all’agenzia Dire- non possiamo sperare che i bambini da fecondazione assistita contribuiscano, in modo sostanziale, alla riduzione della denatalità”. Dal 1978 nel mondo sono nati più di 8 milioni di bambini con fecondazione assistita. Al primo posto il Giappone, con circa il 5% dei bambini nati da Pma nel 2015, l’Australia con un 3,7% nel 2011, l’1,7% negli Usa e tra il 2 e il 6% sono i tassi inerenti alle nascite europee.

I DATI SULLA PMA

In Europa, a livello generico, quindi, “si attuano molti più cicli di fecondazione assistita che in altri Paesi. Questo è probabilmente un costume, anche sociale, ed è legato al fatto che c’è una tendenza maggiore ad avere gravidanze in età più avanzata, e una speranza – devo dire mal riposta – che la fecondazione assistita possa dare una risposta ai problemi riproduttivi legati all’invecchiamento”. La dottoressa spiega, infatti, che “l’aumento dell’età materna è una problematica tanto sociale quanto mediatica” ed è riconducibile a diverse ragioni: “l’aumento degli anni scolari, il lavoro e la carriera, la diffusione di strategie contraccettive, lo scarso supporto dello Stato alla genitorialità e la diffusione del preconcetto che la Pma possa vincere l’avanzare dell’età materna”. Difatti, basta confrontare le curve di fertilità con riferimento alla percentuale di gravidanze ‘dopo 6 mesi di rapporti’ o ‘dopo 6 cicli di Pma’ per osservare che con l’invecchiamento materno, le possibilità di gravidanza rimangono, comunque, più alte per la fascia tra i 35 e i 45 anni, nel caso di ‘6 mesi di rapporto’ rispetto ai cicli di fecondazione assistita. Che la Pma risolva il problema dell’avanzare dell’età materno “è un falso mito”, ribadisce la dottoressa alla Dire. Tecniche come la fecondazione assistita non devono essere utilizzate come antidoto all’invecchiamento materno, bensì per affrontare sfide come “la preservazione della fertilità in pazienti con cancro o malattie rare”. I nuovi studi che interessano la Pma, parlano, infatti, di crioconservazione degli ovociti “per la tutela della fertilità femminile, mentre, per quella maschile” si parla di “crioconservazione del liquido seminale”.

Questo è “un tema che dà una risposta a problemi che finora non avevano soluzione, come quello della sterilità dopo la chemioterapia nelle donne”, spiega Porcu alla Dire (www.dire.it). Crioconservazione, dunque, sia “degli ovociti che degli spermatozoi. E il maggior utilizzo dell’uno o degli altri dipende fondamentalmente dal tipo di patologie che ci sono”, conclude l’esperta.