Carceri, Don Agresti: così rieduco i detenuti con il lavoro


Don Riccardo Agresti racconta il progetto “Senza sbarre” della diocesi di Andria: come il lavoro offre una opportunità concreta di rieducazione e di reinserimento nella società di un condannato

Don Riccardo Agresti racconta il progetto “Senza sbarre” della diocesi di Andria: come il lavoro offre una opportunità concreta di rieducazione e di reinserimento nella società di un condannato

Il lavoro può rappresentare lo strumento più potente per offrire una opportunità concreta di rieducazione e di reinserimento nella società di un condannato. Il progetto “Senza sbarre” della diocesi di Andria si spinge oltre. A raccontarlo all’Agenzia Dire (www.dire.it) è don Riccardo Agresti, nell’ambito della IV conferenza nazionale dell’associazione italiana giovani avvocati (Aiga) dedicata alla “Difesa dei non difesi”.

Agresti, parroco da 26 anni, da 12 è impegnato a stretto contatto coi detenuti. È partito da una riflessione: nell’esecuzione penale in Italia l’aspetto rieducativo è spesso assente. Per questo insieme alla diocesi e alla Caritas ha dato vita a “Senza sbarre”, creando una comunità alle pendici del Castel del monte, luogo riconosciuto come patrimonio Unesco.

“Le statistiche ci stanno dimostrando che sono sempre di meno le persone che avendo diritto alla misura alternativa al carcere non rimangono dentro – rileva don Agresti -. Ostinatamente stiamo proponendo un modello di comunità. All’interno del carcere i detenuti passano tante ore senza far niente. Noi diciamo: fateli uscire, fateli inserire nelle comunità e quindi nel nostro progetto, perché vogliamo proporre loro anche il lavoro”.

Gli imprenditori si sono messi a disposizione, spiega, “così abbiamo creato anche un pastificio, dove sono i detenuti che producono la pasta che inizieremo a commercializzare”. La strada che intende seguire il progetto ha un duplice ancoraggio: al Vangelo e alla Costituzione. “Il Vangelo buono ingloba tutti – ricorda -, mentre la Carta costituzionale proietta tutto sulla rieducazione della pena”.

L’idea di fondo è di contrapporre un’alternativa alla mentalità che sembra comunemente condivisa in Italia della sanzione penale intransigente quale unica cura alla devianza criminale. E in proposito don Agresti chiede: “A chi sta giovando il fatto di abbandonare questi uomini che hanno rubato galline o hanno commessi microreati anziché dare loro un’altra opportunità? È una cattiveria, una politica che ci porterà alla deriva. Mentre la politica dell’amore, basata sullo stare accanto a un fratello per spiegargli che nella società dobbiamo donarci e non appropriarci dei doni altrui, è la mentalità vincente”.