Rifiuti: 122 siti abbandonati nel quadrante Est di Roma


Quadrante Est di Roma come una nuova Terra dei Fuochi. Adesso i Gruppi di Ricerca Ecologica hanno provato a quantificare il fenomeno dei rifiuti, e i risultati sono inquietanti: nei Municipi III, IV, V, VI e VII sono stati infatti individuati ben 122 siti

Quadrante Est di Roma come una nuova Terra dei Fuochi. Adesso i Gruppi di Ricerca Ecologica hanno provato a quantificare il fenomeno dei rifiuti, e i risultati sono inquietanti: nei Municipi III, IV, V, VI e VII sono stati infatti individuati ben 122 siti

Da anni si parla del quadrante Est di Roma come una nuova Terra dei Fuochi. Adesso i Gruppi di Ricerca Ecologica hanno provato a quantificare il fenomeno, e i risultati sono inquietanti: neiMunicipi III, IV, V, VI e VIIsono stati infatti individuati ben 122 siti che rappresentano delle vere e proprie bombe ambientali. Si va dallo sversamento di calcinacci all’abbandono di elettrodomestici, dallo smaltimento abusivo di amianto all’abbandono di fusti di vernici, fino ad arrivare a vere e proprie discariche abusive. La mappa, in continuo aggiornamento, è stata elaborata sulla base delle segnalazioni dei cittadini nonché dei rilevamenti direttamente effettuati dai volontari del GRE LAZIO, e si riferisce esclusivamente a quanto presente fuori terra ed è visibile: «complessivamente si parla di oltre 19 ettari, ovvero 190.000mq – si legge nella nota dei GRE – ma riteniamo che i numeri reali siano ancora più drammatici dal momento che oltre a quanto nascondono la vegetazione o i cavalcavia, andrebbero censiti anche i rifiuti interrati, come nel caso dei terreni adiacenti all’ex pastificio di via Collatina andato a fuoco e su cui oggi pascolano liberamente dei cavalli».

Il Codice dell’Ambiente prevede all’art. 255 comma 1 che la condotta di abbandono di rifiuti o deposito incontrollato di rifiuti o di immissione degli stessi nelle acque superficiali o sotterranee costituisce un illecito amministrativo punito con sanzione pecuniaria, mentre all’art. 256 comma 2 stabilisce che le medesime condotte qualora compiute da titolari di imprese o da responsabili di enti integrano un reato contravvenzionale punito alternativamente con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o dell’ammenda da 2 600 a 26 000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi oppure congiuntamente con arresto e ammenda di uguale entità se si tratta di rifiuti pericolosi. Il comma 3 dell’art. 256 inoltre sanziona l’illecito della realizzazione o gestione della cd. “discarica abusiva”, ovvero della discarica effettuata e gestita in assenza dell’autorizzazione prescritta dalla legge.

Ma è la Cassazione ad aver chiarito in numerose sentenza la differenza tra discarica abusiva e illecito smaltimento è stato oggetto di ripetute interpretazioni: l’ultima sentenza della Suprema Corte è del 2018 (sez. III penale, sentenza del 31 gennaio 2018, n. 4573) ha tratteggiato in maniera piuttosto chiara gli elementi e le ragioni di fondo che connotano una discarica. In particolare “…l’abbandono differisca dalla discarica abusiva per la mera occasionalità, desumibile dall’unicità ed estemporanea della condotta – che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodromiche o successive – e dalla quantità dei rifiuti abbandonati, mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale – come nel caso dei plurimi conferimenti – o, per quando consiste in un’unica azione, è comunque finalizzata alla definitiva collocazione di una ingente quantità di rifiuti in loco”.

Sulla base di questa interpretazione, i GRE hanno individuato nella parte Est di Roma 106 tra micro-discariche o accampamenti dove i rifiuti vengono smaltiti tramite abbandono, più addirittura 16 aree in cui sembrerebbero configurarsi a tutti gli effetti – in base alla legislazione vigente ed alla giurisprudenza consolidata – delle discariche abusive. Gran parte delle aree è collocata a ridosso dei confini tra i Municipi o del fiume Aniene e dei fossi che vi si immettono (letteralmente in barba alla Direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE), ma la situazione è drammatica in particolare in alcune zone: «Nel Municipio IV abbiamo censito ben 54 siti di sversamento cui si aggiungono addirittura 6 potenziali discariche abusive estese complessivamente più di 8,5 ettari – affermano i GRE – si può quindi parlare di vera e propria emergenza in quanto oltre alle immissioni atmosferiche dei fumi prodotti dal continuo incendio dei rifiuti per differenti motivi, c’è anche un elevatissimo rischio di inquinamento dei suoli e della falda acquifera. Alcune zona sembrano letteralmente terra di nessuno, dove chiunque sversa quello che vuole: è il caso di via di Salone (da entrambi i lati della A24), di via di Tor Cervara (all’altezza di via Vannina, strada di collegamento con via Tivoli realizzata e mai aperta al traffico per diversi motivi), Ponte Mammolo o il tratto stretto tra la A24 e la TAV (dalla clamorosa situazione del campo nomadi di via Salviati che abbiamo portato finanche all’attenzione del Parlamento Europeo e dove finalmente sembrerebbe che qualcosa stia iniziando a muoversi, fino quasi alla stazione di via Prenestina)».

E la situazione è ai limiti dell’incredibile anche nel Municipio V, dove sono ben tre le aree in cui si può parlare di vere e proprie discariche abusive: «A ridosso delle attività di rottamazione di via Palmiro Togliatti – continuano i GRE – ci sono quasi 4 ettari in cui viene sversato di tutto: da anni i cittadini e i comitati di quartiere denunciano questa discarica in pieno Parco di Centocelle, ma a tutt’oggi la soluzione del problema e soprattutto la bonifica dell’area sono ancora lontane (sebbene confidiamo nella discussione approdata in Aula Giulio Cesare e calendarizzata per martedì 19 marzo). Come d’altronde nel caso degli immobili occupati e poi sgombrati di via Raffaele Costi e via Cesare Tallone, dove ci sono tutt’ora cumuli di rifiuti alti anche tre metri. Un’altra discarica l’abbiamo rinvenuta nel Municipio III, all’altezza dell’intersezione tra via Salaria e la Tangenziale Est, dove lungo le sponde dell’Aniene e a meno di 500 metri in linea d’area con la confluenza nel Tevere, c’è un’area di quasi mezzo ettaro in cui viene gettato di tutto, come anche in zona Val d’Ala. Nel Municipio VI i problemi sono principalmente legati al campo nomadi di via di Salone (dove, a ridosso del perimetro, sono accumulati rifiuti per un’area di oltre 1 ettaro e 20), ma tra via Ponte di Nona e via Massa di San Giuliano abbiamo rilevato numerosissimi punti di abbandono. Nel Municipio VII, oltre alla ben nota emergenza legata al campo nomadi La Barbuta (tra l’ippodromo di Capannelle e l’aeroporto di Ciampino) c’è un’intera zona a ridosso del capolinea Anagnina della Metro A in via Walter Procaccini in cui ci sono così tanti piccoli sversamenti da far apparire l’area quasi come una discarica».

La giurisprudenza ha precisato che una discarica può effettuarsi attraverso il ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanze oggettivamente destinate all’abbandono o anche mediante un unico conferimento di ingenti quantità di rifiuti che faccia assumere alla zona interessata l’inequivoca destinazione di ricettacolo di rifiuti:  «è evidente che queste attività trovano una criticità negli insediamenti nomadi, sia autorizzati che non, ma di frequente è il sintomo ultimo e più evidente di vere e proprie attività illecite a carattere imprenditoriale che si celano a monte e che conducono all’ultimo atto dell’abbandono dei rifiuti su suolo pubblico o privato: piccole imprese che operano nel sommerso e che, quindi, poi non conferiscono nelle discariche o nei centri di stoccaggio o di recupero autorizzati abbandonandoli a ridosso della strada o in terreni abbandonati in prossimità di aree già degradate per motivi connessi a problematiche sociali. Il colpevole dell’abbandono è “tenuto alla rimozione, all’avvio a recupero e allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dei luoghi”, ma lo stesso obbligo ricade sul proprietario o conduttore dell’area, che spesso risulta essere proprio Roma Capitale, che in realtà subisce questi atti criminali: è un controsenso, perché ogni Sindaco ha l’obbligo di disporre “con ordinanza le azioni a questo fine necessarie e il termine entro il quale provvedere” in base all’articolo 192, comma 3 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n.152. Oltre al danno per il territorio e il rischio per la salute dei cittadini, l’Amministrazione Capitolina deve accollarsi anche i costi per eliminare i rifiuti, dovere tra l’altro derivante dall’obbligo di custodia connesso alla proprietà e appartenenza di strade e fondi. È per questo che la mappatura dei siti che abbiamo operato è in primis una denuncia rivolta alle Autorità politiche che per troppi anni si sono voltate da un’altra parte, non ponendo al centro delle proprie priorità la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini».

I Gruppi Ricerca Ecologica Lazio hanno infatti indirizzato una nota di notifica della mappa anche al Ministro dell’Interno, al Ministro dell’Ambiente, al Prefetto di Roma ed al Sindaco di Roma Capitale: «poiché riteniamo che gli Open Data favoriscano la presa di coscienza dell’opinione pubblica e la consapevolezza dei cittadini, esattamente come la trasparenza delle informazioni stimola il cambiamento di atteggiamento della Pubblica Amministrazione – continuano i GRE: per questi motivi abbiamo deciso di rendere disponibile la mappa liberamente a chiunque, così da poter ricevere anche contributi correttivi o integrativi. Per consultarla è sufficiente cliccare sul link:

https://bit.ly/2F41J2Z

Riteniamo che sia dovere delle Istituzioni intervenire per garantire – attraverso il pieno esercizio delle funzioni di vigilanza sul territorio – il rispetto delle norme, la tutela dell’ambiente e la salvaguardia della salute dei cittadini: poiché infatti un numero così elevato di discariche clandestine, più o meno estese ma in un territorio tutto sommato limitato e in un’unica area amministrativa, non sbuca fiori dall’oggi al domani (e nemmeno in un paio di anni), sembrerebbe quasi che – esattamente come accaduto nella Terra dei Fuochi campana – negli anni sia stata permessa la devastazione del territorio consentendo impunemente lo sversamento di rifiuti pericolosi, speciali e tossici».