Nella luna di Saturno l’acqua è “rinforzata”


La luna di Saturno presenta un tipo di acqua differente da quello riscontrato nelle sue “colleghe” e negli anelli del pianeta. Lo studio, basato sui dati di Cassini, pubblicato su Icarus

La luna di Saturno presenta un tipo di acqua differente da quello riscontrato nelle sue "colleghe" e negli anelli del pianeta. Lo studio, basato sui dati di Cassini, pubblicato su Icarus

Ha una forma irregolare, il suo volto è profondamente segnato da crateri e misura poco più di 200 chilometri di diametro, ma detiene il record di primo satellite naturale individuato analizzando delle fotografie. È questo l’identikit di Febe, luna di Saturno scoperta nel 1899 dall’astronomo statunitense William Henry Pickering, che recentemente è stata al centro di uno studio sull’acqua presente negli anelli del pianeta e negli oggetti celesti del suo vasto entourage.

L’indagine, condotta da un team di ricercatori americani e coordinata dal Planetary Science Institute di Tucson, si è basata sui dati raccolti dalla sonda Cassini, missione congiunta Nasa-Esa-Asi terminata il 15 settembre 2017 dopo quasi vent’anni nello spazio. I risultati dell’analisi sono stati illustrati nell’articolo “Isotopic Ratios of Saturn’s Rings and Satellites: Implications for the Origin of Water and Phoebe”, pubblicato su Icarus.

Gli astronomi hanno utilizzato soprattutto i dati dellospettrometro Vims (Visual and Infrared Mapping Spectrometer), uno degli strumenti sviluppati dall’Asi nell’ambito dell’accordo di collaborazione con la Nasa per la missione. Il gruppo di lavoro, utilizzando una nuova metodologia per studiare le proporzioni degli isotopi dell’acqua e del biossido di carbonio, ha riscontrato che l’acqua presente negli anelli e nei satelliti naturali di Saturno è inaspettatamente come quella della Terra. Fa eccezione la luna Febe, la cui acqua appare di una tipologia differentee, secondo gli esperti, è la più insolita rispetto a quella studiata su qualsiasi altro oggetto nel Sistema Solare.

Gli isotopi sono atomi appartenenti allo stesso elemento, ma caratterizzati da un differente numero di neutroni ed hanno quindi una massa diversa; proprio quest’ultimo fattore può incidere sui processi all’origine di pianeti, lune ed altri oggetti celesti. Nel caso dell’acqua, l’aggiunta di un neutrone all’idrogeno porta alla formazione dell’isotopo denominato deuterio e ad un incremento di massa di circa il 5%: un piccolo cambiamento che però si fa sentire soprattutto nel rapporto deuterio/idrogeno (D/H) che è una sorta di ‘impronta digitale’ delle condizioni in cui è nato un corpo celeste.

I modelli relativi all’origine del Sistema Solare indicano che il rapporto D/H dovrebbe essere maggiormente elevato nel più freddo Sistema Solare esterno, rispetto alla più calda controparte dove si è formata la Terra.

Nello specifico, alcuni modelli prospettano per Saturno e la sua ‘famiglia’ di satelliti un rapporto D/H 10 volte più elevato rispetto alla Terra; tuttavia, le misurazioni effettuate dal team della ricerca mettono in rilievo che questo vale solo per la luna Febe.

Gli studiosi quindi hanno ipotizzato che l’oggetto celeste si sia formato in un’area remota del Sistema Solare, ben oltre Saturno.

Il team ha misurato anche il rapporto degli isotopi carbonio-13 e 12 (13C/12C) su Giapeto – altra luna di Saturno –  e Febe: per la prima luna la proporzione è simile a quella della Terra (così come lo è anche per il D/H), mentre per la seconda è almeno 5 volte più elevata. Anche in questo caso gli studiosi ritengono cheFebe abbia avuto origine ai confini del Sistema Solare e che sia stata ‘catturata’ da Saturno in una fase successiva della sua vita millenaria.

Non è stato ancora possibile stabilire un luogo di nascita per questa luna, dato che al momento non sono disponibili misurazioni dei rapporti D/H e 13C/12C per Plutone e altri corpi ghiacciati della Fascia di Kuiper. La somiglianza tra il rapporto D/H del sistema di Saturno e della Terra, infine, induce a pensare che vi sia stata un’origine simile per l’acqua sia nella parte interna che in quella esterna del Sistema Solare. Questo studio, secondo gli autori, schiude nuove prospettive di ricerca soprattutto sui modelli relativi alla formazione del nostro sistema planetario.