Tumore del rene: è italiano il primo studio al mondo sulle cure integrate


Chirurgia e farmaci per impedire le recidive del tumore del rene: presentati all’ASCO i risultati di una ricerca che ha coinvolto 76 pazienti di 12 centri del nostro Paese

È italiano il primo studio al mondo che fornisce informazioni decisive sull’approccio multidisciplinare integrato, cioè sull’utilizzo della chirurgia e della terapia medica nel tumore del rene avanzato.

È italiano il primo studio al mondo che fornisce informazioni decisive sull’approccio multidisciplinare integrato, cioè sull’utilizzo della chirurgia e della terapia medica nel tumore del rene avanzato.

Viene presentato in una sessione orale al 54° Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) in corso a Chicago dal prof. Giuseppe Procopio, responsabile dell’Oncologia Medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

Nel 2017 in Italia sono stati stimati 13.600 nuovi casi di tumore del rene (9.000 uomini e 4.600 donne), circa l’80% è costituto dal carcinoma a cellule renali. Lo studio RESORT, di fase II, ha coinvolto 76 pazienti di 12 centri italiani, colpiti da questa neoplasia precedentemente operati al rene (nefrectomia). Questi pazienti presentavano non più di 3 metastasi.

“La chirurgia radicale delle metastasi seguita da un periodo di osservazione è la strategia comunemente utilizzata nei pazienti colpiti da carcinoma a cellule renali avanzato – spiega il prof. Procopio -. Nello studio, coordinato dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, abbiamo confrontato questo approccio con quello costituito da chirurgia delle metastasi seguita dal trattamento con un farmaco mirato anti-angiogenico. L’obiettivo era valutare se questa seconda opzione potesse offrire benefici in termini di sopravvivenza libera da recidiva. La ricerca non ha evidenziato differenze statisticamente significative nei due approcci”.

La sopravvivenza libera da recidiva a 1 e 2 anni era pari al 62% e 52% nei pazienti trattati con l’approccio integrato e al 74% e 59% in quelli nel braccio di osservazione. “Però, in un sottogruppo di pazienti con specifici tipi di metastasi resecate – continua il prof. Procopio -, si è evidenziato un decorso favorevole grazie all’integrazione della chirurgia e della terapia farmacologica. È il primo studio che analizza questo specifico contesto clinico. Quindi vanno selezionati i pazienti candidabili ai diversi approcci in base alle sedi e della numerosità delle metastasi. Senza dimenticare che la collaborazione multidisciplinare tra urologi, chirurghi, oncologi medici, radioterapisti, anatomopatologi e medici nucleari rappresenta oggi un percorso necessario”.

Nel trattamento del tumore del rene si sta affermando con forza anche l’immunoterapia, a cui è riservato ampio spazio al Congresso di Chicago.

“L’alto profilo di tollerabilità dell’immunoterapia – conclude il prof. Procopio – porta questa opzione a prevalere su altri tipi di cura. In particolare, nivolumab è la prima molecola immuno-oncologica a dimostrare un beneficio di sopravvivenza in pazienti precedentemente trattati: il 39% è vivo a 3 anni rispetto al 30% di quelli che hanno ricevuto everolimus (terapia target). Oltre all’incremento della sopravvivenza globale va considerato il miglioramento della qualità di vita garantito dall’immuno-oncologia, già evidenziato dallo studio che ha condotto all’approvazione di nivolumab in monoterapia nel trattamento del carcinoma a cellule renali avanzato pretrattato. E un altro studio che sarà presentato all’ASCO pone in piano il beneficio in termini di qualità di vita che emerge anche con la combinazione di due molecole immunoterapiche, nivolumab e ipilimumab, in prima linea”.