Epidemia di ebola: una testimonianza dal Congo


Gianfranco Rotigliano, rappresentante UNICEF, in missione nelle aree della Repubblica Democratica del Congo colpite dall’epidemia di ebola: il racconto

Gianfranco Rotigliano, rappresentante UNICEF, in missione nelle aree della Repubblica Democratica del Congo colpite dall'epidemia di ebola: il racconto

“A Mbandaka stiamo affrontando un’epidemia di ebola, dichiarata l’8 maggio. Questa epidemia ha una caratteristica preoccupante: quella di avere dei casi sia in ambiente urbano, in una città come Mbandaka che ha più di un milione di abitanti e che si trova sul fiume Congo, un’arteria che unisce tutte le grandi città del paese, sia in zone più remote, come nelle boscaglie. Purtroppo una di queste zone si trova su un lago, che ha poi una connessione col fiume: il rischio è che la malattia si propaghi al di fuori di questa zona”. È la testimonianza dalla Repubblica Democratica del Congo di Gianfranco Rotigliano, rappresentante UNICEF, sull’epidemia di ebola nel Paese.

“Attualmente abbiamo registrato 35 casi, più 2-3 alert da verificare, ma negli ultimi due giorni non ci sono stati nuovi casi. Di questi 35 casi – spiega Rotigliano -, 4 si sono verificati a Mbandaka, mentre gli altri fuori: se riusciamo a mettere sotto osservazione tutte le persone che sono state a contatto con questi malati, la prospettiva è di contenere la diffusione di ebola nelle prossime settimane, sperando che non escano dei casi da ceppi diversi rispetto a quelli sotto osservazione. La percentuale di decesso per i malati si assesta intorno al 50%”.

“Rispetto all’epidemia in Africa Occidentale del 2014-2015 – racconta -, questa volta la comunità internazionale si è mossa immediatamente: dopo il secondo caso siamo arrivati immediatamente sul posto e abbiamo cominciato le attività. Certo per mettere su tutta la logistica ci è voluto un po’. Per fortuna l’UNICEF aveva un ufficio a Mbandaka e quelle 18 persone lì sono state fondamentali perché proprio all’inizio c’eravamo solo noi. Raggiungere tutte le persone colpite è complicato. Per coloro che vivono in ambiente urbano la difficoltà è solo quella di identificarli e sapere dove sono, mentre è molto più complicato poter raggiungere coloro che vivono nelle boscaglie”.

“Lì interveniamo noi dell’UNICEF con l’OMS e il Governo: tutta l’equipe che si muove attorno a questa epidemia di ebola. È un intervento che funziona proprio perché lavoriamo tutti insieme. Per esempio, quando abbiamo saputo che si era verificato un caso, abbiamo mandato a Iboko, un piccolo villaggio non tanto lontano da Mbandaka, una macchina con un team di tre persone, che è rimasto lì 10 giorni. Ora stiamo portando motociclette o biciclette, perché le strade sono quasi inesistenti ed è difficile muoversi in macchina. Durante queste operazioni ci si muove come si può e si cercano i malati: si va dalle famiglie, si parla con loro e si offre assistenza. Questo è fondamentale, perché se non si guadagna la fiducia delle comunità, non si combatte l’ebola” afferma.

“L’ebola si trasmette attraverso il contatto, non è una malattia come il morbillo, il vaiolo o l’influenza: bisogna toccare i fluidi dei malati e poi una mucosa del proprio corpo, in questo modo il virus si trasmette. L’UNICEF sta mobilitando le comunità, attraverso persone di spicco che possano parlare con la gente, e sta lavorando con i bambini in tutte le scuole che si trovano nelle zone colpite, parlando con loro. I bambini sono bravissimi: imparano subito, sono pieni di entusiasmo e dopo la formazione seguono le indicazioni, non si toccano più, si salutano da lontano con la mano. Sono degli agenti di cambiamento, e poi tutto quello che hanno appreso lo portano a casa. Inoltre, in ogni scuola mettiamo acqua clorata per lavarsi le mani, termometri. Ogni mattina ogni bambino viene controllato, si deve lavare le mani e gli si misura la febbre. Perché se un bambino ha la febbre viene messo in osservazione in attesa dell’arrivo del personale medico che possa aiutarlo” prosegue Rotigliano.

“Come abbiamo visto nel 2014-2015, l’ebola è una malattia pericolosa. Abbiamo avuto tanti casi anche di persone espatriate, se non mettiamo la malattia sotto controllo ci possono essere dei rischi. Penso che sia fondamentale aiutare il lavoro che stiamo facendo. Spero che arrivi tutto il contributo possibile, perché se continuiamo con questa rapidità, collaborazione ed efficienza ce la possiamo fare”.