Illegittimo licenziamento dipendente che denuncia furto senza impedirlo


Il dipendente deve vigilare sulla diligenza dei suoi sottoposti ma non ha doveri di “polizia”. Lo ha stabilito la Sezione lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 8407 del 5 aprile 2018, che viene approfondita nella nota giurisprudenziale della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro

Il dipendente deve vigilare sulla diligenza dei suoi sottoposti ma non ha doveri di “polizia”. Lo ha stabilito la Sezione lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 8407 del 5 aprile 2018, che viene approfondita nella nota giurisprudenziale della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro  È illegittimo il licenziamento del dipendente che non è riuscito ad impedire un furto in azienda da parte di un suo sottoposto ma ha segnalato il fatto ai propri superiori. La Corte di Cassazione (Sez. lav., 5 aprile 2018, n. 8407) ha ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa di una responsabile di reparto che, appreso di un furto da parte di una collega a lei gerarchicamente sottoposta e non avendolo potuto impedire, ha comunque tempestivamente segnalato il fatto ai propri superiori.  Nella fattispecie realizzatasi la Corte, confermando la sentenza di appello che aveva riformato quella di primo grado, che invece aveva ritenuto la legittimità del licenziamento, ha ritenuto insussistente il preteso comportamento accondiscendente della dipendente, la quale, avendo segnalato ai propri superiori il fatto, aveva diligentemente adempiuto all’onere che le incombeva ex art. 2104 c.c..  Secondo il principio affermato dalla Cassazione, dalla tempestività della segnalazione deriva l’impossibilità di individuare un comportamento omissivo o accondiscendente da parte della lavoratrice, alla quale perciò non possono essere addebitati impropri poteri di polizia o responsabilità conseguenti.  Con l’occasione la sentenza, richiamando precedenti conformi, ha riaffermato il principio per il quale - evidentemente con riferimento ai rapporti di lavoro precedenti al regime delle c.d. “tutele crescenti” - “in materia di licenziamento per ragioni disciplinari, anche se la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento come giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso, il giudice investito dell’impugnativa della legittimità del licenziamento deve comunque verificare l’effettiva gravità della condotta addebitata al lavoratore”, confermando che “l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto”.

È illegittimo il licenziamento del dipendente che non è riuscito ad impedire un furto in azienda da parte di un suo sottoposto ma ha segnalato il fatto ai propri superiori. La Corte di Cassazione (Sez. lav., 5 aprile 2018, n. 8407) ha ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa di una responsabile di reparto che, appreso di un furto da parte di una collega a lei gerarchicamente sottoposta e non avendolo potuto impedire, ha comunque tempestivamente segnalato il fatto ai propri superiori.

Nella fattispecie realizzatasi la Corte, confermando la sentenza di appello che aveva riformato quella di primo grado, che invece aveva ritenuto la legittimità del licenziamento, ha ritenuto insussistente il preteso comportamento accondiscendente della dipendente, la quale, avendo segnalato ai propri superiori il fatto, aveva diligentemente adempiuto all’onere che le incombeva ex art. 2104 c.c..

Secondo il principio affermato dalla Cassazione, dalla tempestività della segnalazione deriva l’impossibilità di individuare un comportamento omissivo o accondiscendente da parte della lavoratrice, alla quale perciò non possono essere addebitati impropri poteri di polizia o responsabilità conseguenti.

Con l’occasione la sentenza, richiamando precedenti conformi, ha riaffermato il principio per il quale – evidentemente con riferimento ai rapporti di lavoro precedenti al regime delle c.d. “tutele crescenti” – “in materia di licenziamento per ragioni disciplinari, anche se la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento come giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso, il giudice investito dell’impugnativa della legittimità del licenziamento deve comunque verificare l’effettiva gravità della condotta addebitata al lavoratore”, confermando che “l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto”.