Sacchetti biodegradabili a pagamento, il WWF: “Argine alla plastica”


L’associazione è favorevole ai nuovi sacchetti per alimenti sfusi: “Nei mari del pianeta navigano 150 milioni di tonnellate di rifiuti plastici”

Non si placa sui social la polemica per i nuovi sacchetti biodegradabili e compostabili a pagamento obbligatorio dal 1° Gennaio nei supermercati

Non si placa sui social la polemica per i nuovi sacchetti biodegradabili e compostabili a pagamento dal 1° Gennaio nei supermercati per l’acquisto di alimenti sfusi. Sulla vicenda è intervenuto anche il WWF che parla di “polemica che ha spostato il dibattito scatenatosi nei primi giorni dell’anno sulla questione economica piuttosto che ambientale”.

“Ricordare quanto il tema dell’invasione di plastiche sia centrale sia a livello mondiale, sia su scale regionali più limitate è fondamentale almeno quanto chiarire il malinteso che ha generato il dibattito stesso. Infatti secondo l’articolo 9-bis della legge di conversione 123/2017 – è previsto che ‘il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite’” aggiunge l’associazione sul proprio sito.

Si tratta di una spesa di massimo 15 euro all’anno per le famiglie, considerato il costo medio di un sacchetto dell’ortofrutta, le 139 spese effettuate ogni anno di media, secondo i dati Gfk-Eurisko (2017) e il fatto che ogni spesa comporti l’utilizzo di almeno tre sacchetti per frutta e verdura.

“Il fatto che i sacchetti di plastica per l’ortofrutta fossero gratuiti non significa che questi non fossero pagati dal consumatore attraverso la definizione del prezzo del prodotto che i sacchetti devono contenere. Si tratta dunque di un costo già comunque a carico del consumatore, inserito in maniera occulta nel totale del prodotto. L’obiettivo è quello della responsabilizzazione del consumatore” spiega il WWF.

A differenza del precedente, il nuovo bioshopper è riutilizzabile come sacchetto per la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti domestici. Dunque l’operazione potrebbe rivelarsi vantaggiosa, laddove attualmente molte famiglie pagano i sacchetti per la raccolta dell’umido da 5 a 15 centesimi.

Molto dev’essere fatto dalla Grande Distribuzione che deve provvedere ad esempio a favorire questo tipo di riutilizzo dei sacchetti dell’ortofrutta o la creazione di sporte riutilizzabili (come quelle realizzate in passato dal WWF con partner come Auchan e Simply) prevedendo ad esempio etichettature biodegradabili e compostabili. Utilizzare la gran parte delle etichette attuali sui nuovi bioshopper vuol dire renderli non più utilizzabili per la raccolta dell’umido a livello domestico, anche perché toglierle provoca la lacerazione del sacchetto.

“La produzione di bioplastiche costituisce un’importantissimo contributo alla soluzione dei danni prodotti dalle plastiche. Si tratta inoltre di un fronte dove fruiamo di un’eccellenza italiana, frutto di innovazione, ricerca e sviluppo tecnologico di cui dobbiamo essere fieri, in particolare per la figura di Catia Bastioli, straordinaria scienziata e imprenditrice chimica di notevoli capacità innovative, citata positivamente in tutto il mondo ed alla quale proprio per le sue qualità e i suoi meriti dedicati a concretizzare una nuova chimica che mira a rispettare l’economia circolare imitando i processi della natura il WWF ha conferito il Panda d’oro nel 2016” prosegue l’associazione.

“Lo sviluppo sostenibile si deve tradurre soprattutto nella sostituzione di beni e prodotti impattanti con altri capaci di operare nelle logiche di un’economia circolare che elimina o riduce al massimo il prodotto di un economia lineare che produce scarti, rifiuti e inquinamento” afferma ancora il WWF.

Donatella Bianchi, Presidente WWF Italia, ha dichiarato: “Il tema delle plastiche ha un impatto enorme sugli ecosistemi. La plastica è uno dei materiali che impiega più tempo a degradarsi: un sacchetto di plastica, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, resta nell’ambiente da un minimo di 15 anni a un massimo di 1.000 anni”.

“È un paradosso quello di utilizzare il materiale come la plastica, nato per durare nei secoli, per la creazione di oggetti usa e getta, dal ciclo vitale assai breve. Gli impatti più negativi di un uso e uno smaltimento sconsiderati della plastica si ripercuotono sull’ambiente terrestre e marino: nei mari del Pianeta navigano 150 milioni di tonnellate di materie plastiche, ogni anno se ne aggiungono 8 milioni cosicché la plastica arriva a rappresentare il 95% dei rifiuti marini” prosegue Bianchi.

“Il Mar Mediterraneo non fa eccezione: sono 1,25 milioni di frammenti di plastica per chilometro quadrato contro i 335 mila del Pacifico” conclude.

Sono oltre 700 le specie marine che a livello globale sono minacciate dai rifiuti plastici (per intrappolamento o ingestione), di cui 90 solo nel Mediterraneo secondo l’UNEP. Numeri analoghi anche nel Mare Nostrum dove l’80% delle tartarughe marine presenta plastica nello stomaco, in alcuni esemplari si arriva fino a 150 pezzi plastici e, come di dimostrato da un recente studio del WWF, nei tessuti dei cetacei che nuotano liberi nelle acque del Santuario Pelagos sono state trovate elevate tracce di ftalati, un additivo delle materie plastiche.

Uno dei manufatti di plastica più dannoso per l’ambiente è proprio il sacchetto monouso che spesso viene abbandonato incautamente e finisce per inquinare mari, laghi e fiumi. Sono sempre più numerose le ricerche che dimostrano la presenza di microscopiche fibre di plastica negli oceani, nelle acque dolci, nel suolo di tutto il mondo. Nel 2017 Orb Media ha pubblicato il primo lavoro che provava l’esistenza di una contaminazione da plastica nell’acqua potabile di tutto il mondo. Il 72% dei campioni raccolti nelle varie città dell’Europa è risultato inquinato dalla presenza di fibre di plastica.

Il largo consumo e i bassi tassi di riciclo dei sacchetti di plastica, spesso abbandonati nell’ambiente, hanno causato gravi problemi ambientali. Ogni anno nel mondo si utilizzano circa 1000 miliardi di sacchetti di plastica monouso. Ciò significa quasi 2 milioni ogni minuto (fonte Earth Policy Institute). La sostituzione dei sacchetti per alimenti porterà una riduzione di circa 10 miliardi di sacchetti in plastica monouso solo in Italia (fonte Assobioplastiche).

La proposta del WWF

Il Ministero della Salute dice di no alla possibilità di riutilizzare i sacchetti per la spesa di frutta e verdura (perché sussiste un rischio di eventuali contaminazioni) ma non è contrario al fatto che il cittadino possa portare i sacchetti da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti. Questa opinione apre uno spiraglio affinché possano essere trovate anche altre soluzioni che vengano incontro al consumatore e all’ambiente, prevedendo magari nel prossimo futuro la possibilità anche per lo sfuso dell’utilizzo di retine o imballi riutilizzabili, come avviene in molti altri Paesi dell’Unione Europea.

Alla luce della continua crescita dei consumi e gli allarmi sullo stato del Pianeta, il consiglio del WWF è sempre quello di puntare ad una riduzione del consumo e spreco di risorse naturali: in questa direzione è essenziale cercare il più possibile di limitare l’approccio “usa e getta” e valorizzare il “usa e riusa”. Ogni oggetto, anche se biodegradabile e compostabile, viene prodotto utilizzando materie prime, energia e acqua. Solo l’uso nel tempo può veramente ridurre e ammortizzare il suo costo ambientale.