Lavoro: analisti e progettisti di software sono le figure più richieste


Dove si concentra la domanda secondo l’analisi dell’Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro

progettisti software lavoro offerte
Quasi la metà (10 mila su 23 mila) degli analisti e progettisti software sono richiesti in Lombardia

ROMA – Il futuro delle professioni e, più in generale, del lavoro passa dalla formazione e dalla specializzazione. Solo così si potrà fronteggiare la minaccia della “disoccupazione tecnologica”, ovvero la perdita di posti di lavoro dovuta all’informatizzazione dei processi produttivi. Non è un caso se, negli ultimi anni, i profili più richiesti dal “lavoro 4.0” sono stati quelli di analista e progettista di software nonché i tecnici del made in Italy per valorizzare sui mercati esteri tutta la filiera produttiva dei prodotti di qualità (dal manifatturiero all’enogastronomia).

È la dimostrazione di come la sfida del lavoro non è tanto nella “difesa” dei posti di lavoro, ma nella “trasformazione” delle competenze. Risultano in calo, infatti, professioni semiqualificate come quelle degli addetti a macchine utensili automatiche e più in generale gli addetti alle mansioni standardizzate.

È l’Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro a fornire in anteprima un’attenta analisi sugli effetti della tecnologia su lavoro e società. In occasione del Festival del Lavoro, la manifestazione organizzata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e dalla Fondazione Studi e che si terrà a Torino dal 28 al 30 settembre 2017, infatti, la Categoria si interrogherà su “L’impatto della Quarta rivoluzione industriale sulla domanda di professioni” per individuare quali professionalità possono rispondere alle nuove esigenze del mercato del lavoro. Numerosi gli spunti di riflessione forniti con questa indagine come, ad esempio, la distinzione tra professioni “vincenti” – in grado di produrre variazioni positive in termini occupazionali – e professioni “perdenti” con posti di lavoro in diminuzione.

L’Osservatorio, utilizzando il sistema informativo realizzato dall’Inapp e dall’Istat integrato con i dati sulle assunzioni e cessazioni dei rapporti di lavoro (CICO) del Ministero del Lavoro, si sofferma anche sul livello di automazione del lavoro, la ripetitività di un’attività, i contenuti di innovazione, autonomia e creatività e il grado di competizione dell’ambiente lavorativo per individuare tutte le competenze indispensabili in un momento di grande trasformazione dei processi produttivi.

La digitalizzazione del lavoro e l’impatto sull’occupazione

Analizzando, in particolare, il saldo tra le unità di lavoro attivate a tempo pieno e le unità di lavoro cessate tra alcune professioni nel periodo compreso tra il 2012 e il 2016 emerge che la digitalizzazione del lavoro in Italia ha generato una forte crescita delle professioni informatiche (+68 mila) a discapito, ad esempio, degli operatori di catene di montaggio. Aumentano, infatti, di circa 23 mila unità di lavoro gli analisti e progettisti di software (spesso esterni all’impresa o alle dipendenze dell’azienda fornitrice), seguiti dai tecnici programmatori (+14 mila unità di lavoro), esperti in applicazioni (+13,8 mila unità), attrezzisti di macchine utensili impiegati nel settore manifatturiero (+9 mila unità), progettisti e amministratori di sistemi (+6,7 mila unità), ricercatori e tecnici laureati in scienze matematiche e dell’informazione, fisiche, chimiche e della terra (+6,5 mila), operai addetti a macchine confezionatrici di prodotti industriali (+3 mila unità) e all’ultimo posto i manutentori e riparatori di apparati elettronici industriali (+1,9 unità).

Il rapporto sarà accompagnato da un sistema di navigazione web che permetterà di analizzare i profili vincenti e perdenti a livello regionale. Si scopre ad esempio che quasi la metà (10 mila su 23 mila) degli analisti e progettisti software sono richiesti in Lombardia, mentre nel Lazio si concentra la maggiore domanda di progettisti e amministratori di sistemi (2 mila cinquecento su circa 7 mila). “Anche se il tessuto economico del nostro Paese è costituito principalmente da piccole e medie imprese che investono in ricerca e innovazione solo lo 0,70% del PIL – ha commentato il Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca – è necessario mettere in atto un adeguato piano nazionale di investimenti tecnologici per rendere le nostre aziende più competitive in termini di produttività ed efficienza”.

La resilienza e la ripresa del lavoro nel nuovo assetto dei mercati globali richiedono, inoltre, competenze trasversali e formazione continua. Per i Consulenti del Lavoro, dunque, l’investimento in capitale umano è il migliore antidoto alla disoccupazione tecnologica. Le soluzioni per rimettere in moto la crescita dell’Italia saranno discusse nei numerosi momenti di confronto ed approfondimento che animeranno il Festival del Lavoro di Torino.