Angina pectoris: arriva la nuova terapia “a diamante”


Il sintomo ha colpito il 36% di uomini in più in Italia: ora un nuovo approccio personalizzato

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L’ angina pectoris ha cause multiple: l’aterosclerosi, lo spasmo coronarico o le alterazioni del microcircolo

ROMA – Intenso dolore al petto ogni volta che si salgono le scale o si percorre a piedi un breve tragitto e, in generale, quando il cuore deve sopportare uno sforzo. L’ angina pectoris è in costante crescita: in dieci anni (2002-2012) in Italia è aumentata del 36% fra gli uomini (dall’1,9 al 2,6% nella fascia d’età 35-74 anni) e del 16% fra le donne (dal 3,7 al 4,3%).

La terapia farmacologica per controllare e ridurre questo sintomo per decenni è stata classificata dalle linee guida internazionali in due grandi categorie distinte: farmaci di prima scelta (beta-bloccanti, bloccanti dei canali del calcio, nitrati) e di seconda scelta (ivabradina, ranolazina, trimetazidina, nicorandil).

Ma i più importanti esperti al mondo oggi suggeriscono un approccio personalizzato, “a diamante”, che superi quella distinzione e guardi alle caratteristiche del singolo paziente e della patogenesi.

L’ angina pectoris infatti ha cause multiple: l’aterosclerosi, lo spasmo coronarico o le alterazioni del microcircolo. A seconda delle cause e della tipologia del paziente, la cura cambia. La nuova “via” è descritta in un articolo (A ‘diamond’ approach to personalized treatment of angina) pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Reviews e l’Italia ha offerto un contribuito decisivo alla ricerca, presentata in un incontro con i giornalisti all’Ospedale San Carlo di Nancy. “

Proponiamo una rivoluzione del trattamento dell’angina stabile, per questo abbiamo stilato un documento di consenso che suggerisce un approccio diverso rispetto a quello contenuto nelle linee guida, identiche da decenni” spiega il prof. Roberto Ferrari, Direttore Cardiologia e Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Ferrara e primo autore dell’articolo.

“La demarcazione fra le due categorie risponde solo alla tradizione, non è sostenuta da alcuna evidenza scientifica ed è contraria al principio di innovazione. I farmaci di prima scelta sono ancora efficaci ma sono stati introdotti più di 50 anni fa, i beta-bloccanti nel 1965, gli antagonisti del calcio nel 1974, i nitrati addirittura nel 1867. I farmaci considerati di seconda scelta sono innovativi e presentano meno effetti collaterali. Inoltre sono stati approvati dalle autorità regolatorie pochi anni fa in base a regole più stringenti rispetto a quelle in vigore in passato” prosegue.

“Ad esempio gli studi clinici che hanno condotto all’approvazione dell’ivabradina hanno coinvolto più di 14mila pazienti, per i beta-bloccanti invece meno di 1.000 anche se, ovviamente, i beta-bloccanti sono stati utilizzati in milioni di pazienti, ma non in studi controllati. E non vi sono studi di confronto che ad esempio dimostrino che un beta-bloccante funziona meglio dell’ivabradina o della ranolazina” continua il prof. Ferrari.

“Le più recenti evidenze dimostrano anzi come risulti più efficace la strategia di associare più molecole con meccanismi d’azione sinergici (quali ad esempio beta-bloccanti, ivabradina, ranolazina e trimetazidina) piuttosto che l’aumento del dosaggio del solo beta-bloccante che spesso si associa ad effetti collaterali significativi e ad eventi avversi severi soprattutto nella popolazione anziana. L’uso di farmaci quali i nitrati a lunga durata di azione (cerotti o formulazioni orali) che rappresentano circa il 70% dei trattamenti anti-anginosi in Italia è poco o nulla efficace e può essere dannoso per i pazienti come sottolineato dallo Società Europea di Cardiologia” prosegue.

“La distinzione rigida sostenuta dalle linee guida ha spesso determinato un uso acritico delle terapie di prima scelta da parte dei clinici senza considerare il paziente e la patologia di base che si trova dietro l’angina. Il nuovo approccio può essere particolarmente utile ai medici di famiglia e richiede un maggior sforzo da parte del clinico che è così indotto a considerare nel merito le condizioni del paziente, che potrebbe ad esempio presentare angina con tachicardia o bradicardia, ipertensione o ipotensione, fibrillazione atriale, diabete, malattia renale cronica o ipertiroidismo” conclude.

Come dimostrato dallo studio START che ha coinvolto più di 1.400 pazienti, esiste una netta differenza nell’impiego di queste terapie per angina pectoris: ad esempio da un lato i beta-bloccanti sono utilizzati nel 77% dei casi, dall’altro la ranolazina solo nel 12% e l’ivabradina nel 7%. L’angina stabile è la più frequente manifestazione della malattia coronarica di cui costituisce la fase iniziale in circa la metà dei casi.

“Questi pazienti – sottolinea il prof. Giuseppe Rosano, Professore di Cardiologia al St George’s Hospital University of London e Direttore della ricerca cardiovascolare all’IRCCS San Raffaele di Roma e uno degli autori dell’articolo – presentano un restringimento delle arterie coronarie che si manifesta in maniera evidente quando il cuore è sotto sforzo. Il dolore nell’angina stabile si ripete in maniera costante in relazione a un determinato livello di affaticamento e dura poco tempo, qualche minuto, altrimenti saremmo di fronte a un infarto”.

“La qualità di vita di queste persone è molto bassa: il dolore toracico è fonte di grande preoccupazione che determina a sua volta un aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa che causano un peggioramento dei sintomi, dando origine così a un vero e proprio circolo vizioso. La riduzione del dolore può essere ottenuta anche attraverso la rivascolarizzazione, cioè l’angioplastica, che però è indicata solo in casi di emergenza quali le sindromi coronariche acute (infarto) od in presenza di una percentuale di ischemia miocardica molto importante. Altrimenti l’opzione efficace è costituita dalla terapia medica” spiega ancora.

“Fino ad oggi, nessuno studio è mai riuscito a dimostrare la superiorità della angioplastica da sola o con l’utilizzo di stents rispetto alla terapia medica. Pertanto la terapia medica riveste un ruolo di primaria importanza nel trattamento dei pazienti con angina pectoris o con malattia coronarica. Utilizziamo da un lato i farmaci (aspirina, statina o ace-inibitori) che permettono di migliorare la sopravvivenza, obiettivo che non può essere raggiunto con l’intervento di rivascolarizzazione, dall’altro farmaci in grado di ridurre il dolore, che abbiamo analizzato nel documento di consenso”. Se un paziente con angina presenta tachicardia, devono essere somministrate molecole che riducano il numero dei battiti, se ha ipertensione quelli che riducono la pressione, ecc: scelte ragionate a cui conduce proprio l’approccio a diamante.

“Abbiamo posto il paziente, la patologia e le sue comorbidità al centro – conclude il prof. Ferrari -. E abbiamo considerato sullo stesso piano tutti i farmaci a disposizione per il controllo del dolore, li abbiamo inseriti in un ipotetico cerchio e li abbiamo uniti con linee che formano una specie di diamante (da qui il ‘diamond approach’): abbiamo individuato le molecole che non devono essere usate insieme, quelle da impiegare in associazione, i farmaci ‘neutrali’, che non presentano cioè controindicazioni, infine quelli con un meccanismo d’azione simile. Siamo convinti che questa nuova prospettiva si tradurrà in un netto miglioramento delle cure per i malati”.