Addio studi di settore: “Fine di un incubo per imprese e autonomi”


Arrivano gli indicatori di affidabilità fiscale: l’analisi della CGIA di Mestre

studi di settore fisco imprese
Tra i 3,5 milioni di contribuenti soggetti agli studi, a livello territoriale è Roma la provincia che ne conta di più

VENEZIA – Dal prossimo anno scatterà la rottamazione degli studi di settore, che saranno sostituiti dagli indicatori di affidabilità fiscale. Secondo le disposizioni previste nel decreto che contiene la manovra correttiva attualmente in via di approvazione in Parlamento, gli studi di settore spariranno. Per le piccole imprese e i lavoratori autonomi sarà un momento solenne, secondo la CGIA di Mestre.

“Per molti sarà la fine di un incubo – esordisce il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo – anche se sarà necessario monitorare questo periodo di transizione con grande attenzione”.

“I nuovi indicatori di affidabilità fiscale che sostituiranno gli studi di settore dovranno garantire una riduzione delle tasse e una maggiore semplificazione nei rapporti con il fisco. Altrimenti, questa novità servirà a poco” aggiunge.

“Per questo è determinante che nella fase di gestazione di questi indicatori siano coinvolte le associazioni di categoria dei lavoratori autonomi, che meglio di chiunque altro conoscono le specificità e le caratteristiche fiscali di queste attività imprenditoriali” conclude Zabeo.

I numeri degli studi di settore

Dopo 18 anni di vita, sono poco più di 3,5 milioni le partite Iva sottoposte ai 193 studi di settore attivati dall’Amministrazione finanziaria. E oltre il 73% dei contribuenti (pari a 2,6 milioni di attività) è congruo, ovvero rispetta le richieste in materia di ricavi. Questi contribuenti, tuttavia, rimangono ancora nel mirino del fisco visto che ogni anno rischiano di subire un accertamento fiscale, sebbene per gli studi di settore risultino soggetti ‘fedeli’ al fisco.

Nel 2016, infatti, sono stati poco meno di 368.500 gli accertamenti in materia di Iva, Irap e imposte dirette che hanno interessato le imprese potenzialmente soggette agli studi di settore.

“Chi nel prossimo futuro rispetterà le disposizioni previste dagli indici di affidabilità fiscale non dovrà più essere sottoposto ad alcuna attività accertativa” spiega il segretario della CGIA, Renato Mason.

“Inoltre, bisognerà limitare al massimo il numero di controversie per togliere quell’ansia da fisco che, purtroppo, continua a investire molti piccoli imprenditori. Per questo sarà necessario introdurre un regime premiale a beneficio di coloro che sono in regola con le richieste dell’Amministrazione, così come era stato annunciato verso la seconda metà degli anni ’90 in sede di presentazione degli studi di settore che, in seguito, è stato clamorosamente disatteso” aggiunge Mason.

Con gli studi di settore più tasse per 19,6 miliardi di euro

Negli anni gli studi di settore hanno garantito un grosso apporto di gettito alle casse del Stato. Dal 1998, anno della loro introduzione, al 2015 (ultimo dato disponibile), a fronte di 49,2 miliardi di euro di maggiori ricavi ottenuti attraverso l’adeguamento spontaneo in sede di dichiarazione dei redditi, questi si sono tradotti, secondo una stima elaborata dall’Ufficio studi della CGIA, in 19,6 miliardi di euro di tasse in più versate all’erario.

“Certo – conclude Zabeo – è difficile stabilire quanti di questi soldi siano il frutto di una graduale emersione della base imponibile e quanti, invece, siano riconducibili a tasse aggiuntive che i contribuenti hanno pagato perché l’asticella dei ricavi imposta dagli studi di settore era troppo elevata. Molto probabilmente la verità sta nel mezzo. Per questo è necessario che i nuovi indicatori di affidabilità non ricalchino queste vecchie abitudini”.

A Roma il più alto numero di contribuenti nel mirino del fisco

Tra i 3,5 milioni di contribuenti soggetti agli studi di settore, a livello territoriale è Roma la provincia che ne conta di più: 244.000. Seguono le province di Milano (221.480), Napoli (133.237), Torino (129.527), Brescia (80.652), Firenze (71.295), Bologna (68.150), Bergamo (67.124), Padova (65.505) e Bari (65.461). In coda alla classifica, invece, troviamo Enna (6.642), Gorizia (6.541), Carbonia-Iglesias (4.950), Isernia (4.775), Medio Campidano (3.949) e Ogliastra (2.926) (vedi Tab. 2).