Per i pazienti oncologici attesa infinita: servono 806 giorni per i farmaci innovativi


La denuncia nel IX° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici presentato al Senato

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La presentazione del IX° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici

ROMA – I pazienti oncologici italiani attendono in media 806 giorni, cioè 2,2 anni, per accedere a un farmaco anti-cancro innovativo. È il tempo che trascorre fra il deposito del dossier di autorizzazione e valutazione presso l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e l’effettiva disponibilità di una nuova terapia nella prima Regione italiana.

Un termine che può dilatarsi fino a tre anni (1.074 giorni) se si considera l’ultima Regione in cui il farmaco viene messo a disposizione. Non solo.

Ai lunghi tempi di attesa talvolta si accompagna la cosiddetta “tossicità finanziaria”, cioè la crisi economica individuale conseguente al cancro e alle sue cure, problema noto da diversi anni negli Stati Uniti e che comincia a interessare anche i malati nel nostro Paese.

Questa condizione tocca infatti il 22,5% dei pazienti italiani, che presentano anche un rischio di morte del 20% più alto rispetto alle persone colpite dal cancro ma senza problemi economici.

Pazienti, l’anello debole del sistema

La denuncia è contenuta nel IX° Rapporto sulla condizione assistenziale dei pazienti oncologici, presentato oggi al Senato nel corso della XIIª Giornata del malato oncologico, organizzata da FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia).

“La spesa per i farmaci oncologici è passata da poco più di un miliardo di euro nel 2007 a oltre tre miliardi nel 2014 – spiega il prof. Francesco De Lorenzo, presidente FAVO -. Nel suo complesso, l’oncologia rappresenta una delle voci più rilevanti per il Servizio Sanitario Nazionale: per la prima volta, nel 2014, la spesa per i farmaci antineoplastici si è, infatti, collocata al primo posto”.

“I dati rappresentano una realtà che mal si concilia con le attuali politiche sanitarie di vero e proprio ‘definanziamento’ del Sistema Sanitario Nazionale. Pur crescendo in valori assoluti, le risorse messe a disposizione, infatti, risultano progressivamente sempre più insufficienti per dare risposte concrete alla domanda di assistenza. Il desiderio legittimo dei malati di accedere all’innovazione si scontra, dunque, con la finitezza delle risorse” aggiunge De Lorenzo. “L’accesso ai farmaci – afferma il dott. Domenico Corsi, Segretario Consiglio AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) Regione Lazio -, soprattutto a quelli di ultima generazione, costituisce una problematica complessa, che abbraccia non soltanto profili economico-finanziari, ma anche etici e sociali: solo la contestuale considerazione di tutti gli aspetti coinvolti può garantire soluzioni sostenibili, finanziariamente e politicamente”.

Le valutazioni in EMA richiedono, per i farmaci innovativi, mediamente 383 giorni per l’esame delle caratteristiche farmacologiche, cliniche e di sicurezza. A questi si aggiungono i tempi nazionali e regionali.

Il successivo processo di rimborsabilità da parte di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) che rende possibile a tutti i pazienti italiani l’accesso ai farmaci innovativi dura in media 260 giorni. L’attesa però non finisce qui.

Vanno aggiunti ancora dai 31 ai 293 giorni, necessari alle Regioni per rendere queste terapie disponibili gratuitamente presso ospedali e ASL.

“Il rischio concreto – continua il Prof. De Lorenzo – è che il processo che va dall’approvazione europea alla reale disponibilità concreta del farmaco per i cittadini, particolarmente lento, possa tradursi in una forma di razionamento che penalizza fortemente i malati, specialmente nel caso di farmaci innovativi salvavita”.

“Diventa pertanto di fondamentale importanza, non soltanto per la tenuta economica del sistema, ma anche per la salvaguardia della coesione del tessuto sociale, che si giunga al più presto ad individuare un metodo condiviso e integrato per la valutazione dell’innovazione, che tenga cioè conto di tutti gli aspetti coinvolti nella cura: non soltanto dell’efficacia clinica del farmaco, ma anche del suo costo-efficacia in termini di qualità della vita” prosegue De Lorenzo.

“In questo contesto, il ruolo del management sanitario deve risultare sempre più decisivo – afferma il dott. Massimo Annicchiarico Direttore Generale dell’AUSL di Modena e rappresentante FIASO (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) – nella responsabilità di accelerare i processi di riordino organizzativo in grado di liberare risorse, attraverso azioni di sistema ed economie di scala che coinvolgano più Aziende sul medesimo territorio, ed al tempo stesso garantiscano la realizzazione di percorsi efficienti, inclusivi, in grado di presidiare specificamente l’equità di accesso alle cure, specie quelle farmacologiche, e la continuità delle stesse, coinvolgendo nelle azioni di riprogettazione le Associazioni dei Pazienti, secondo principi di partecipazione ed engagement che sono ineludibili in un sistema sanitario moderno.”

Le sperimentazioni e la “tossicità finanziaria”

In Italia esiste anche un problema di difficoltà economica per chi è colpito dal cancro che si traduce in uno svantaggio nel perseguire un miglioramento della qualità della vita con i farmaci antitumorali” continua l’avvocato Elisabetta Iannelli, Segretario FAVO.

“Inoltre, una quota rilevante di pazienti vede peggiorare le propria crisi finanziaria durante la terapia: si tratta di un segnale predittivo di un maggior rischio di mortalità nei mesi e anni successivi” aggiunge.

Uno studio condotto dall’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli e pubblicato su Annals of Oncology ha selezionato tutte le sperimentazioni le cui analisi principali fossero già state pubblicate e in cui fosse stato utilizzato il questionario EORTC C30 (frequentemente utilizzato per misurare la qualità della vita dei pazienti affetti da cancro). Sono state valutate 16 sperimentazioni condotte tra il 1999 e il 2015, a cui hanno partecipato 3.760 pazienti, affetti da tumori del polmone, della mammella o dell’ovaio.

“Il 22,5% presentava ‘tossicità finanziaria’ e un rischio di morte nei mesi e anni successivi del 20% più alto rispetto ai malati senza tossicità finanziaria in corso di trattamento” spiega il prof. Francesco Perrone, Direttore dell’Unità Sperimentazioni Cliniche all’Istituto ‘Pascale’ di Napoli. Una persona su cinque colpita dal cancro subisce quindi un contraccolpo economico, che si riverbera in un peggioramento della prognosi.

“Si tratta di un dato sorprendente perché questi pazienti avevano partecipato a sperimentazioni promosse e realizzate all’interno del Servizio Sanitario Nazionale e non avevano dovuto in alcun modo contribuire al costo dei trattamenti antineoplastici, tutti forniti gratuitamente dal servizio pubblico. Questi risultati rappresentano un campanello d’allarme che ci costringe a riflettere sul fatto che buona sanità non significa solo mettere nuovi farmaci a disposizione dei medici e dei pazienti” aggiunge Perrone.

“Emerge la necessità di una lettura del fenomeno oncologico che oltrepassi i confini del sistema sanitario e consideri l’impatto sul sistema previdenziale e in generale sui cittadini” sottolinea il dott. Mattia Altini, Direttore Sanitario dell’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) di Meldola.

Uno studio sull’impatto economico e sociale del cancro

Così, l’idea di coniugare epidemiologia del cancro, esiti delle cure e costi associati, sia sanitari sia sociali, ha portato a sviluppare una progetto frutto della collaborazione tra IRST-IRCCS, INPS, AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori) e FAVO.

L’iniziativa parte dalla consapevolezza che, sebbene i costi diretti sanitari siano le manifestazioni economiche più salienti ed evidenti dei problemi di salute, esistono costi ‘sommersi’.

Le direttrici di sviluppo del progetto, spiega il Prof. Massimo Piccioni, coordinatore generale Medico Legale dell’Inps Roma, possono così riassumersi:

  • estensione dell’oggetto d’analisi dai soli costi sanitari alla dimensione economico-sociale;
  • estensione territoriale attraverso il confronto tra realtà distanti geograficamente e diverse in termini di organizzazione dei rispettivi Servizi Sanitari Regionali;
  • analisi del rapporto tra le dimensioni di impatto e costo di popolazione (sanitario e sociale) con indicatori di performance dei livelli di assistenza erogati.

Lo studio, di natura epidemiologica, osservazionale retrospettivo, avrà durata triennale e si riferirà alla popolazione affetta da tumore della mammella, del colon e del polmone.

“L’impatto economico e sociale del cancro sta assumendo dimensioni tali che nessuna soluzione, né politica né tecnica, potrà più essere ricercata all’interno dei soli confini nazionali. In Italia, ad esempio, in via generale l’esenzione dal pagamento del ticket per le indagini diagnostiche viene riconosciuta solo dopo una diagnosi di cancro, laddove sarebbe opportuno anticipare tale beneficio al momento in cui vi sia solo il sospetto di una neoplasia” spiega ancora l’esperto.

Il ruolo dell’Europa

È più che mai necessario, quindi, guardare alle possibilità offerte dall’ordinamento dell’Unione europea che promuove la cooperazione tra gli Stati membri nel settore della tutela della salute.

“Il volontariato oncologico – sottolinea il prof. De Lorenzo, che è anche presidente della European Cancer Patient Coalition (ECPC) – ha portato avanti le sue battaglie per un migliore accesso ai farmaci e per l’introduzione di nuovi criteri di gestione delle politiche del farmaco sui due livelli istituzionali, italiano ed europeo, ritenendo ormai impossibile confinare la ricerca di soluzioni al solo ambito nazionale”.

L’orizzonte dell’impegno delle Associazioni dei malati è rappresentato dalla diffusione e dal consolidamento dell’Health Tecnology Assessment, (HTA), uno strumento di valutazione multidimensionale e multidisciplinare per l’analisi delle diverse implicazioni di una tecnologia sanitaria attraverso la valutazione di più dimensioni quali l’efficacia, la sicurezza, i costi, l’impatto sociale e organizzativo.

Già nel 2016, il volontariato oncologico aveva ottenuto un importante risultato: in occasione dell’approvazione di una serie di emendamenti al Regolamento dell’EMA è stato introdotto il principio della valutazione dei farmaci attraverso l’HTA parallela a quella tradizionale della sola efficacia clinica.

“La necessità di adottare l’Health Technology Assessment come strumento ordinario per la valutazione delle tecnologie sanitarie, anche in un’ottica di buon governo della spesa farmaceutica – afferma il prof. De Lorenzo – , è stata riconosciuta dall’attuale Commissario alla Salute, Vytenis Andriukaitis, che ha anticipato che entro l’anno la Commissione proporrà un atto normativo che lo regoli a livello europeo”.

Recentemente, il Parlamento Europeo ha rinnovato il suo impegno per un miglior accesso ai farmaci. Il 14 febbraio 2017, infatti, è stata pubblicata una proposta di Risoluzione indirizzata al Consiglio e alla Commissione sulle opzioni per garantire una migliore accessibilità ai medicinali.

Il documento, raccogliendo le istanze del volontariato oncologico, ribadisce l’importanza di una valutazione integrata delle tecnologie sanitarie, sottolineando anche che le organizzazioni dei pazienti dovrebbero essere coinvolte in modo più efficace nella definizione delle strategie pubbliche e private di ricerca basate sulla sperimentazione clinica.

Sul fronte nazionale, il volontariato oncologico valuta positivamente l’adozione da parte dell’AIFA della determina (n. 519/2017) che stabilisce i Criteri per la classificazione dei farmaci innovativi e dei farmaci oncologici innovativi.

“La deliberazione – spiega De Lorenzo – rende infatti accessibile il fondo straordinario di 500 milioni di euro destinati all’acquisto di farmaci innovativi. Ma il modello di valutazione presentato nella determina prevede un approccio multidimensionale che tiene conto soltanto di tre elementi fondamentali: il bisogno terapeutico, il valore terapeutico aggiunto e la qualità delle prove ovvero la robustezza degli studi clinici”.

“La spiegazione riportata dei tre indicatori si limita a riferire le misurazioni all’efficacia di tipo clinico, tagliando del tutto fuori dalla valutazione di innovatività i profili etici e sociali di un farmaco e del suo impiego. In altre parole, non è stato adottato un metodo di valutazione della cura che abbia come riferimento la cronicità o guarigione intesa come un completo recupero della condizione di benessere fisico, psichico e sociale del malato. La determina AIFA continua cioè ad agganciare la valutazione dell’innovatività di un farmaco all’accertamento della sola efficacia clinica. L’impegno di FAVO, di ECPC e di tutto il volontariato oncologico ripartirà da qui e sarà profuso affinché i pazienti smettano di essere l’anello debole nell’accesso alle terapie e affinché le difficoltà di accesso ai farmaci non si ripercuotano più negativamente su di loro” conclude.