Case da Gioco tricolori in crisi: di chi è la colpa?


Dai dipendenti del casinò di Sanremo in solidarietà al rischio esuberi a Saint Vincent: il settore è in crisi

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SANREMO – Nel settore dell’azzardo si parla ormai quasi sempre delle sale da gioco terrestri, del gioco online, oppure della possibilità di giocare al casinò su Internet. Si parla invece ancora poco della crisi delle Case da Gioco italiane: emblema sino a pochi anni fa di un mondo del gioco d’azzardo quasi di élite, contornato dal fascino dei luoghi e dall’imponenza architettonica che lo ospitava.

Ma, ormai, tutto questo alone di “superiorità” relativamente alle sale da gioco terrestri non esiste più, come invece esiste una profonda crisi strutturale, di ingressi, di impostazione, di bilancio.

Le Case da Gioco tricolore hanno sentito, e stanno risentendo, della crisi economica nazionale ed i livelli occupazionali di questo segmento del gioco sono scesi (obbligatoriamente) a causa dei molteplici errori delle relative proprietà.

Invece di valorizzarne il personale ed investire per il rilancio delle strutture, hanno preferito risparmiare tagliando le risorse così professionalmente preparate ad un lavoro particolarmente “strano e difficile” come quello che investe il personale che opera in una Casa da Gioco, tricolore o no.

A Sanremo sono stati minacciati 123 esuberi per arrivare poi al contratto di solidarietà ed in questi giorni la storia, che è ciclica e si ripete, si parla di Saint Vincent dove sono a rischio ben 260 esuberi e tutto questo è alquanto preoccupante, poiché si sa che si vivono momenti in cui trovare un lavoro è veramente una chimera. Il mondo del gioco, invece, negli scorsi anni è riuscito ad impiegare più di 150mila lavoratori, ma questo non ha “toccato” le Case da Gioco che, purtroppo o per fortuna, hanno rapporti “complicati” con le loro proprietà.

Probabilmente, vivono meglio “le aziendine di gioco”, magari con due o tre dipendenti, piuttosto che un casinò che di risorse ne deve contare davvero tante per le varie occupazioni: dai bar alla ristorazione, ai tavoli, ai tecnici per le apparecchiature da intrattenimento.

I sindacati e le associazioni di categoria, da tempo, “stazionano” nei casinò per garantire la presenza delle risorse, ma da anni si assiste a riduzioni economiche sostanziali, come i tagli alle indennità per poi “sperperare” montagne di quattrini in consulenze assolutamente inutili. Quello che è certo è che di assunzioni a tempo indeterminato, in questo segmento di gioco, non si parlerà per lungo tempo, poiché le proprietà utilizzeranno sempre di più “i nuovi strumenti”.

Quanto ad un contratto nazionale, si sta lottando da molto tempo ed un tale contratto, probabilmente, permetterebbe di arginare la crisi economica e potrebbe garantire i livelli occupazionali.

Ma a parte la Cgil e la Uil, le altre sigle, per motivi disparati, hanno pensato di dilatarne i tempi, con un unico risultato: quello che Federgioco ha rotto il tavolo della trattativa, ma approvando in realtà un testo che poi i singoli consiglieri delle associazioni avrebbero potuto presentare ai rispettivi consigli di amministrazione.

Qualcuno, invece, dovrebbe pensare che non tutto è perduto, che il tavolo si potrebbe ricomporre e si potrebbero mettere in atto progetti concreti condivisi. Le Case da Gioco tricolore potrebbero, così, tornare ad essere ciò che sono sempre state: una sorta di volàno per l’economia delle città che le ospitano, dei relativi indotti e, soprattutto, dei livelli occupazionali che sono quelli che dovrebbero spingere a questa “apertura”. É inutile addossare la responsabilità di questa situazione all’uno o all’altro: bisogna trattare ad oltranza per il bene di tutto il comparto.