Amnesty, 250mila adesioni alla campagna per il rilascio dei giornalisti in Turchia


Attualmente sono 120 i reporter finiti in carcere dopo il tentato colpo di stato

Stefan Simanowitz autore della vignatta

ROMA – Importanti giornalisti, vignettisti e artisti hanno aderito alla campagna lanciata da Amnesty International per chiedere il rilascio degli oltre 120 giornalisti finiti in carcere in Turchia dopo il tentato colpo di stato della scorsa estate e per sollecitare la fine della brutale repressione in atto nei confronti della libertà d’espressione nel paese.

La campagna promossa a febbraio e che ha finora raccolto 250.000 adesioni viene rilanciata oggi, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, insieme a un rapporto intitolato “Il giornalismo non è un reato. La repressione della libertà di stampa in Turchia”.

“Un’ampia parte dei giornalisti indipendenti turchi è da mesi dietro le sbarre senza accusa né processo o rischia di essere giudicata sulla base delle vaghe norme anti-terrorismo”, ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.

“Oggi i nostri pensieri vanno a tutti i giornalisti in carcere, a quelli che subiscono minacce e rappresaglie, ma soprattutto a quelli della Turchia, dove la libertà d’espressione viene brutalmente imbavagliata. Chiediamo alle autorità di Ankara di rilasciare immediatamente e senza condizioni tutti i giornalisti che sono in carcere solo per aver fatto il loro lavoro”, ha aggiunto Shetty.

I dati dei giornalisti “fermati”

Dal fallito colpo di stato del luglio 2016 sono stati chiusi almeno 156 organi d’informazione e circa 2500 tra giornalisti e altri operatori dell’informazione hanno perso il lavoro.

Giornalisti sono stati arrestati e accusati di reati di terrorismo solo per aver scritto post su Twitter, aver disegnato vignette o aver espresso le loro opinioni: il tutto in un più ampio contesto repressivo contro persone sospettate di avere idee critiche nei confronti del governo, che ha portato oltre 47.000 persone in prigione e ha causato il licenziamento sommario di oltre 100.000 dipendenti pubblici.
La lunga durata della detenzione preventiva, consentita dallo stato d’emergenza adottato dopo il tentato colpo di stato, è diventata la norma. Le accuse mosse contro i giornalisti sono spesso inventate, in alcuni casi palesemente assurde o del tutto prive di qualsiasi prova di un effettivo reato penale.

Ahmet Altan, ex direttore del quotidiano “Taraf”, è stato arrestato nel settembre 2016 insieme a suo fratello Mehmet, docente universitario. Entrambi sono stati accusati di “aver inviato messaggi subliminali” ai promotori del colpo di stato durante un dibattito televisivo andato in onda alla vigilia del tentato golpe. Il conduttore del programma, Nazl? Il?cak, si trova a sua volta in detenzione preventiva.

Il giornalista d’inchiesta Ahmet è in carcere da dicembre. È accusato di aver aiutato tre gruppi fuorilegge, totalmente diversi tra loro e con programmi spesso opposti. A sostegno dell’accusa, sono elencati otto tweet, due interviste e un articolo. Sua moglie Yonca ha detto ad Amnesty International: “L’imprigionamento di Ahmet è un messaggio per gli altri: parlate se avete coraggio!”

La petizione di Amnesty

La petizione online di Amnesty International per chiedere il rilascio dei giornalisti turchi ha raggiunto le 250.000 firme mentre solo lo scorso mese in migliaia hanno aderito alla campagna #FreeTurkeyMedia, sostenuta da numerose altre organizzazioni e che incoraggia a postare su Twitter un “selfie solidale”.

Tra le adesioni, si contano già quelle dell’artista cinese Ai Weiwei e dei tre giornalisti di “Al Jazeera” – Peter Greste, Mohamed Fahmy e Baher Mohamed – arrestati in Egitto nel 2013 e che hanno trascorso oltre 400 giorni in carcere. Decine di vignettisti stanno realizzando opere che verranno sottoposte a una giuria composta da colleghi famosi quali Zunar, Steve Bell e Martin Rowson.
“Per gli oltre 400 giorni trascorsi in una prigione egiziana, a tenerci su di morale è stata la consapevolezza che persone di ogni parte del mondo si stavano battendo per il nostro rilascio”, hanno scritto Peter Greste e Mohyamed Fahmy in un articolo che viene pubblicato oggi da molti quotidiani.

“Se era giusto impegnarsi per noi e chiedere #FreeAJStaff, è altrettanto giusto stare dalla parte di tutti i giornalisti imprigionati solo per aver fatto il loro lavoro. Ecco perché abbiamo accettato di aderire alla campagna #FreeTurkeyMedia”.