Più morti e infortuni sul lavoro: il 2017 è un anno nero


Lo rivela un’indagine della Cgia: “Un Paese civile e moderno non può accettare oltre 1.000 vittime e quasi 700 mila infortuni l’anno”

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Tra gennaio e febbraio 2017 sono decedute 127 persone (+33,7% rispetto allo stesso periodo del 2016)

VENEZIA – È iniziato nel peggiore dei modi il 2017 sul fronte delle morti bianche e degli infortuni sul lavoro. Secondo i dati di un’indagine diffusa oggi dalla Cgia di Mestre nei primi due mesi di quest’anno i dati relativi agli incidenti mortali nei luoghi di lavoro sono in aumento. Se nello stesso periodo del 2016 c’erano stati 95 casi, tra gennaio e febbraio 2017 sono decedute 127 persone (+33,7%).

“Va tuttavia segnalato che quasi la metà dei 32 decessi in più registrati quest’anno sono ascrivibili ai due casi eccezionali avvenuti nello scorso mese di gennaio: il crollo dell’albergo di Rigopiano e lo schianto dell’elicottero del 118 a Campo Felice” spiega la Cgia.

Oltre ai morti sul lavoro, sono in crescita anche gli infortuni. Sempre nei primi due mesi di quest’anno sono stati denunciati 98.275 eventi: 1.834 in più (+1,9%) rispetto allo stesso periodo del 2016.

“Un paese civile e moderno non può accettare oltre 1.000 morti e quasi 700 mila infortuni l’anno” dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo.

“Queste tragedie vanno combattute con maggiore determinazione, puntando sulla prevenzione e il contrasto a chi costringe moltissime attività, penso al caso dei subappalti, a operare in condizioni di poca sicurezza” aggiunge.

Se i primi dati congiunturali tornano ad essere molto preoccupanti, su base annua il quadro statistico si presenta meno drammatico. Tra il 2016 e il 2015, l’aumento degli infortuni in termini assoluti è stato dello 0,7%, anche se la Cgia tiene a precisare quanto segue.

Negli ultimi due anni, ad esempio, sono aumentati sia gli occupati sia lo stock complessivo delle ore lavorate: pertanto, ha poco senso mettere a confronto il numero degli infortuni di ciascun anno basandosi solo sui dati assoluti. Da un punto di vista statistico, è più corretto fare riferimento all’indice di frequenza degli incidenti: un parametro che viene calcolato rapportando il numero degli infortuni alle ore lavorate.

Ebbene, tra il 2011 e il 2016 l’indice di frequenza degli infortuni è in costante diminuzione e nell’ultimo anno è sceso addirittura dell’1,3%. E negli ultimi 45 anni il numero dei decessi e degli infortuni nei cantieri e nelle fabbriche è crollato: se all’inizio degli anni ’70 gli eventi infortunistici sfioravano quota 1,6 milioni, nel 2016 sono scesi al minimo storico di poco superiore a 630.000 unità. Sempre nello stesso arco temporale, i morti, invece, sono passati da poco più di 3.650 a poco più di un migliaio.

A livello regionale, tra il 2015 e il 2016 gli infortuni denunciati in termini percentuali sono aumentati soprattutto in Puglia (+4,8%), in Sicilia (+4,6%), in Friuli Venezia Giulia (+3,9%) e in Basilicata (+3,6%).

Per quanto riguarda i decessi, infine, è preoccupante la situazione registrata l’anno scorso in Emilia Romagna: oltre a essere la regione con il più alto numero di morti nei luoghi di lavoro di tutto il Paese (128), nel 2016 ha segnato anche l’incremento più elevato rispetto l’anno precedente sia in termini assoluti (+32) sia in termini percentuali (+33,3), a fronte di un dato medio nazionale sceso di 154 unità (pari a -13,1%).

La sicurezza all’interno delle aziende

La posizione delle piccole aziende, segnala la Cgia, è molto chiara: la sicurezza e la salubrità nei luoghi di lavoro è un valore irrinunciabile che va perseguito ogni giorno, ma vanno assolutamente eliminate le procedure puramente formali che non aiutano nessuno.

“La sicurezza non può essere fatta solo di documenti, timbri e burocrazia. La sicurezza va perseguita quotidianamente all’interno delle aziende e nei cantieri di lavoro attraverso l’informazione, l’addestramento e il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti che vi operano” prosegue Zabeo.

“Qualcuno potrebbe interpretare la richiesta di diminuire la mole di adempimenti burocratici come una riduzione sic et simpliciter dei livelli di sicurezza, ma non è così. Basterebbe, da parte del legislatore, incentivare maggiormente gli interventi di sostanza e limitare al minimo, invece, le pure formalità burocratiche che ancora adesso sono numerosissime”sottolinea ancora.

Un falegname, ad esempio, con attività di verniciatura che assieme a un socio apre un’attività, nei primi 5 anni deve redigere (in alcuni casi anche due volte) i seguenti documenti: valutazione dei rischi; valutazione polveri di legno; valutazione rischio chimico; valutazione rumore e vibrazioni; valutazione stress; valutazione rischio incendio; valutazione scariche in atmosfera; valutazione rischio campi elettromagnetici; valutazione rischio esplosione e movimentazione manuale dei carichi. Inoltre, uno dei due deve partecipare: al corso per Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) e aggiornamento; al corso primo soccorso e aggiornamento; al corso antincendio; l’altro socio alle visite mediche annuali; sessioni di formazione generale, specifica e aggiornamento.

Se a queste aggiungiamo la documentazione richiesta in ambito ambientale, con tenuta registro rifiuti e Mud, la valutazione di impatto acustico, l’autorizzazione per emissioni in atmosfera, etc., non basta una parete attrezzata per contenere tutti i fascicoli prodotti.

“Sebbene ci siano diverse istituzioni pubbliche che a vario titolo esercitano l’attività di vigilanza e di controllo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro con le poche risorse umane ed economiche a disposizione, questi enti hanno comunque conseguito dei risultati molto importanti” dichiara il segretario della Cgia, Renato Mason.

“Il calo degli infortuni e dei morti sui luoghi di lavoro avvenuto in questi ultimi decenni è merito anche dell’insostituibile lavoro svolto dal personale di queste strutture. Ovviamente tutto ciò non basta, ma la strada intrapresa è quella giusta” conclude.

Infortuni sul lavoro: i settori più a rischio e i meno esposti

Per capire quali siano i settori maggiormente esposti al rischio infortuni è necessario tentare di pesare il numero di infortuni per le ore lavorate nei rispettivi comparti. I dati sugli infortuni per settore, tuttavia, sono fortemente interessati da alcune criticità che riguardano la presenza di un numero significativo di casi per i quali il comparto non è determinato (circa 100 mila l’anno) e dalla presenza di più gestioni.

In ogni caso, dai primi risultati calcolati sull’anno 2015, si evince come il comparto più critico sia rappresentato dal settore acque/reti fognarie/rifiuti seguito da trasporti, agricoltura, estrattivo, costruzioni e manifatturiero. Tra i meno esposti risultano invece i settori delle attività professionali/scientifiche/tecniche, delle attività finanziarie/assicurative e infine di quelle dell’informazione/comunicazione e del commercio.

Sicurezza sul luogo di lavoro: i ruoli di vigilanza e controllo

La legislazione nazionale, ricorda la Cgia, ha stabilito che il ruolo di vigilanza e di controllo nei luoghi di lavoro spetta:

  • All’Azienda Sanitaria Locale territorialmente competente (strutture variamente denominate come Spsal, Spisal, Spresal, ecc.), senza limitazioni di settore e di competenza.
  • Alle Direzioni territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per: attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile (cantieri); lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei; ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati individuate dalla Commissione Consultiva Permanente.
  • Ai Vigili del Fuoco, per quanto di specifica competenza (norme antincendio).
  • All’Inail che interviene su richiesta degli organi centrali dello Stato e delle Regioni e delle Province, nell’ambito dei controlli che richiedono un’elevata competenza scientifica, accedendo nei luoghi di lavoro e svolgendo accertamenti/indagini e occupandosi del controllo della conformità ai requisiti di sicurezza e salute di attrezzature e prodotti messi a disposizione dei lavoratori.
  • Al Ministero dello Sviluppo Economico, per il settore minerario.
  • Alle Regioni, per le industrie estrattive di seconda categoria e le acque minerali e termali.