Parametri di Maastricht, non rispettarli è diventata la regola


Indagine della Cgia di Mestre: meno della metà dei Paesi Ue è virtuosa

Più della metà dei Paesi Ue non rispetta i parametri di Maastricht

ROMA – Le regole sono fatte per essere rispettate ma molti Paesi dell’Unione europea, relativamente ai parametri di Maastricht, vale a dire il rapporto deficit/Pil sotto il 3 % e il rapporto debito/Pil non superiore al 60%, se ne infischiano.

A dimostrarlo è un’elaborazione effettuata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, secondo la quale tra i 28 Paesi che compongono l’Unione europea più di 1 su 2 (per la precisione 16) l’anno scorso non ha rispettato le disposizioni previste dai due principali criteri di convergenza sanciti dagli accordi di Maastricht (1992), ribaditi a Lisbona (2007) e con il Fiscal compact (2012).

Le realtà europee che rispettano i parametri di Maastricht

Se si esclude la Polonia, i 12 Paesi Ue virtuosi sono in gran parte realtà di piccola dimensione: Malta, Slovacchia, Lituania, Lettonia, Lussemburgo, Bulgaria ed Estonia rappresentano appena il 12% del Pil dell’intera Unione.

Chi non li rispetta e perché

La causa principale del mancato rispetto dei parametri di Maastricht è la crisi economica. Tra il 2009 e il 2016 solo tre Paesi Ue (Svezia, Estonia e Lussemburgo) non hanno mai “sforato” la soglia del 3% del rapporto deficit/Pil. Al contrario Spagna, Regno Unito e Francia lo hanno fatto ben 8 volte (ovvero ogni anno); Grecia, Croazia e Portogallo 7.

L’Italia, invece, lo ha fatto in tre occasioni e in questi anni ha mantenuto un’incidenza percentuale media del disavanzo pubblico al -3,3.

Il commento della Cgia di Mestre

“Delle due l’una: o le disposizioni previste da Maastricht sono troppo rigide, oppure le economie più avanzate d’Europa, dopo tutte le crisi economiche e finanziarie che sono scoppiate in questi ultimi anni, non ce la fanno più ad adeguarvisi” spiega il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo.

“In entrambi i casi, comunque, è necessario intervenire, introducendo margini di sicurezza per debiti e deficit eccessivi meno stringenti, perché le politiche di austerità e di rigore praticate fino ad adesso non hanno funzionato. Anzi, hanno peggiorato i conti e hanno aumentato a dismisura la disoccupazione e l’esclusione sociale in tutta Europa” aggiunge.

“E mentre siamo in attesa di conoscere la composizione della manovra di correzione richiestaci da Bruxelles che dovrebbe ridurre il nostro disavanzo pubblico di 3,4 miliardi di euro, è utile ricordare che dal 2009 l’andamento del nostro deficit è in sensibile diminuzione” prosegue Zabeo.

“Se 8 anni fa registravamo un rapporto deficit/Pil del -5,3% (pari a quasi 83 miliardi di disavanzo), l’anno scorso, secondo le stime della Commissione Europea, questo indicatore si è attestato al -2,3% (37,7 miliardi)”.

“Con questa elaborazione non vogliamo esprimere alcun giudizio sui singoli Paesi. Ricordo che la valutazione dei parametri viene effettuata dalla Commissione Europea sulla base di complessi meccanismi di calcolo che tengono conto di ulteriori criteri, come il Pil potenziale, medie triennali, relativi scostamenti ed eventuali accordi precedenti” sottolinea il segretario della Cgia, Renato Mason.

“È chiaro, tuttavia, come più della metà dei Paesi nel 2016 ha avuto un rapporto debito/Pil superiore al 60% e 6 di questi 16, tra cui l’Italia, hanno visto aumentare tale rapporto rispetto al 2015, aggravando nel complesso la tenuta dei conti pubblici”.