Rapporto Amnesty: “Sotto accusa le politiche della demonizzazione”


Presentato il report 2016-2017 dell’organizzazione umanitaria: “Basta alimentare divisioni e paure”

ROMA – Gli esponenti politici che brandiscono la retorica deleteria e disumanizzante del “noi contro loro” stanno creando un mondo sempre più diviso e pericoloso: è questo l’allarme lanciato da Amnesty International durante la presentazione del Rapporto 2016-2017, pubblicato in Italia da Infinito Edizioni.

Il Rapporto contiene una dettagliata analisi della situazione dei diritti umani in 159 paesi e segnala che gli effetti della retorica del “noi contro loro”, che sta dominando l’agenda in Europa, negli Usa e altrove nel mondo, stanno favorendo un passo indietro nei confronti dei diritti umani e rendendo pericolosamente debole la risposta globale alle atrocità di massa.

“Il 2016 è stato l’anno in cui il cinico uso della narrativa del ‘noi contro loro’, basata su demonizzazione, odio e paura, ha raggiunto livelli che non si vedevano dagli anni Tenta dello scorso secolo. Un numero elevato di politici sta rispondendo ai legittimi timori nel campo economico e della sicurezza con una pericolosa e divisiva manipolazione delle politiche identitarie allo scopo di ottenere consenso”, ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.

“La fabbrica che produce divisione e paura ha assunto una forza pericolosa nelle questioni mondiali. Da Trump a Orbán, da Erdo?an a Duterte, sempre più politici che si definiscono anti-sistema stanno brandendo un’agenda deleteria che perseguita, usa come capri espiatori e disumanizza interi gruppi di persone”, ha proseguito Shetty.

“Le odierne politiche di demonizzazione spacciano vergognosamente la pericolosa idea che alcune persone siano meno umane di altre, privando in questo modo interi gruppi di persone della loro umanità. Così si rischia di dare via libera ai lati più oscuri della natura umana”, ha messo in guardia Shetty.

Le politiche di demonizzazione favoriscono passi indietro nei confronti dei diritti umani

I profondi cambiamenti politici del 2016 hanno messo in evidenza quanto la retorica dell’odio possa far emergere il lato oscuro della natura umana. La tendenza mondiale verso politiche sempre più aggressive e divisive è stata ben illustrata dalla velenosa retorica utilizzata da Donald Trump nella sua campagna elettorale. Tuttavia, anche in altre parti del mondo i leader politici hanno puntato sulla paura, sulle accuse e sulla divisione per conquistare il potere.

Questa retorica sta avendo un impatto sempre più forte sulle politiche e sulle azioni di governo. Nel 2016 i governi hanno chiuso gli occhi di fronte a crimini di guerra, favorito accordi che pregiudicano il diritto a chiedere asilo, approvato leggi che violano la libertà di espressione, incitato a uccidere persone per il solo fatto di essere accusate di usare droga, giustificato la tortura e la sorveglianza di massa ed esteso già massicci poteri di polizia.

I governi se la sono presa anche con i rifugiati e i migranti, spesso visti come facili capri espiatori. Il Rapporto 2016-2017 di Amnesty International denuncia che 36 paesi hanno violato il diritto internazionale rimandando illegalmente rifugiati in paesi dove i loro diritti umani erano in pericolo.

Ultimamente, il presidente Trump ha tradotto in azione la sua odiosa campagna elettorale xenofoba firmando decreti per impedire ai rifugiati di ottenere il reinsediamento negli Usa e per vietare l’ingresso nel paese a persone in fuga dalla persecuzione e dalla guerra, come nel caso della Siria.

Contemporaneamente l’Australia ha inflitto di proposito sofferenze inaudite ai rifugiati intrappolati a Nauru e sull’isola di Manus, l’Unione europea ha firmato un accordo illegale e irresponsabile con la Turchia per rimandare indietro i rifugiati in un contesto insicuro e Messico e Usa hanno continuato a espellere persone dall’America centrale, dove la violenza ha raggiunto livelli estremi.

Cina, Egitto, Etiopia, India, Iran, Thailandia e Turchia hanno attuato massicce repressioni. Altri paesi hanno introdotto invadenti misure di sicurezza, come il prolungato stato d’emergenza in Francia e la legge catastrofica e senza precedenti sulla sorveglianza di massa nel Regno Unito. Un altro aspetto della “politica dell’uomo forte” è stato l’aumento della retorica contro le donne, contrastata in Polonia da enormi proteste, e contro le persone Lgbti.

“Invece di stare dalla parte dei diritti umani, molti leader hanno adottato un’agenda disumanizzante per finalità politiche, violando i diritti di gruppi presi come capri espiatori per ottenere consenso o per distrarre gli elettori dai fallimenti delle politiche economiche e sociali”, ha proseguito Shetty.

“Nel 2016 queste forme altamente deleterie di disumanizzazione sono diventate un elemento dominante nel panorama politico mondiale. I limiti di ciò che è accettabile sono stati spostati in avanti. Esponenti politici hanno vergognosamente legittimato ogni sorta di retorica e politica dell’odio basate sull’identità, favorendo la misoginia, il razzismo e l’omofobia”, ha accusato Shetty.

“I primi a essere presi di mira sono stati i rifugiati ma, se le cose andranno avanti così, toccherà anche ad altri e assisteremo a nuovi attacchi sulla base della razza, del genere, della nazionalità e della religione. Quando smettiamo di vedere l’altro come un essere umano con gli stessi diritti, siamo un passo più vicini all’abisso”, ha commentato Shetty.

Il mondo volta le spalle alle atrocità di massa

Nel 2017 le crisi in corso peggioreranno a causa della debilitante assenza di leadership nel campo dei diritti umani. La politica del “noi contro loro” sta prendendo forma a livello internazionale, sostituendo al multilateralismo un ordine mondiale più aggressivo e basato sulla contrapposizione.

“La mancanza della volontà politica necessaria per esercitare pressione sugli stati che violano i diritti umani significa mettere a rischio i principi basilari dell’accertamento delle responsabilità per i crimini di massa e del diritto d’asilo”, ha spiegato Shetty.

“Anche gli stati che un tempo sostenevano di difendere i diritti umani nel mondo adesso sono troppo occupati a violarli al loro interno per pensare a chiamare gli altri a risponderne. Più paesi faranno un passo indietro rispetto agli impegni assunti sui diritti umani fondamentali, più ci sarà un effetto-domino che vedrà altri leader indebolire protezioni consolidate in materia di diritti umani”.

Stiamo assistendo a una lunga serie di crisi a fronte della scarsa volontà politica di affrontarle: Siria, Yemen, Libia, Afghanistan, America centrale, Repubblica Centrafricana, Burundi, Iraq, Sud Sudan e Sudan. Il Rapporto 2016-2017 di Amnesty International documenta crimini di guerra in almeno 23 paesi.

Nonostante queste sfide, l’indifferenza internazionale verso i crimini di guerra è diventata la norma; dal canto suo, il Consiglio di sicurezza rimane paralizzato dalle rivalità tra i suoi stati membri permanenti.

“All’inizio del 2017, molte delle principali potenze stanno perseguendo interessi nazionali più limitati a danno della cooperazione internazionale. Questo atteggiamento rischia di condurci verso un mondo più caotico e pericoloso”, ha rilevato Shetty.

“Un nuovo ordine mondiale in cui i diritti umani sono dipinti come un ostacolo agli interessi nazionali rende pericolosamente bassa la capacità di reagire ad atrocità di massa e lascia aperta la porta a violenze che ricordano i periodi più oscuri della storia umana”, ha aggiunto Shetty.

“La comunità internazionale ha già risposto con un assordante silenzio alle innumerevoli atrocità del 2016: dall’orrore di Aleppo in Siria alle migliaia di persone uccise dalla polizia delle Filippine in nome della ‘guerra alla droga’ fino all’uso delle armi chimiche e all’incendio di centinaia di villaggi nel Darfur, in Sudan. La grande domanda del 2017 è: quanto dovranno proseguire queste atrocità prima che il mondo faccia qualcosa?”, ha chiesto Shetty.

Chi starà dalla parte dei diritti umani?

In occasione del lancio del Rapporto 2016-2017, Amnesty International ha chiesto alle persone di ogni parte del mondo di resistere ai cinici tentativi di rimettere in discussione diritti umani consolidati da lungo tempo in cambio della vaga promessa di prosperità e sicurezza.

Nel 2017 la solidarietà globale e la mobilitazione dell’opinione pubblica saranno particolarmente importanti per difendere coloro che sfidano i poteri e difendono i diritti umani, spesso considerati dai governi una minaccia allo sviluppo economico, alla sicurezza o ad altre priorità.

Il Rapporto 2016-2017 di Amnesty International denuncia uccisioni di difensori dei diritti umani in 22 paesi: persone prese di mira per aver contrastato profondi interessi economici, aver difeso minoranze e piccole comunità o aver cercato di rimuovere gli ostacoli posti ai diritti delle donne e delle persone Lgbti. L’uccisione della nota leader nativa e difensora dei diritti umani Berta Cáceres in Honduras ha trasmesso un messaggio raggelante agli attivisti ma nessuno è stato portato di fronte alla giustizia.

“Non possiamo demandare passivamente ai governi il compito di difendere i diritti umani. Siamo noi, le persone, a dover agire. Poiché i politici sono sempre più intenzionati a demonizzare interi gruppi, oggi è chiaro come poche volte in passato che siamo tutti noi a doverci schierare, ovunque nel mondo, dalla parte dei valori fondamentali della dignità umana e dell’uguaglianza”, è l’appello lanciato da Shetty.

“Ogni persona dovrà chiedere ai suo governo di usare tutti i mezzi e l’influenza a sua disposizione per chiamare i responsabili delle violazioni dei diritti umani a rispondere delle loro azioni. In tempi bui, sono state le singole persone a fare la differenza: dal movimento per i diritti civili negli Usa a quello anti-apartheid in Sudafrica, dai gruppi per i diritti delle donne a quelli per i diritti delle persone Lgbti. Dobbiamo stare tutti insieme per raccogliere questa sfida, adesso”, ha concluso Shetty.

Panoramica

Nel 2016 Amnesty International ha documentato gravi violazioni dei diritti umani in 159 paesi. Qui di seguito sono descritti alcuni esempi dell’aumento e dell’impatto delle retoriche velenose e della repressione dell’attivismo e della libertà d’espressione:

Arabia Saudita: voci critiche, difensori dei diritti umani, attivisti per i diritti delle minoranze sono stati imprigionati e condannati per vaghe accuse come quella di “offesa alle istituzioni dello stato”. In Yemen, le forze della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita hanno commesso gravi violazioni del diritto internazionale, tra cui possibili crimini di guerra, bombardando scuole, mercati e moschee, uccidendo e ferendo migliaia di civili anche grazie ad armi fornite da Usa e Regno Unito e persino vietate a livello internazionale come le bombe a grappolo;

Bangladesh: invece di fornire protezione agli attivisti, ai giornalisti e ai blogger e indagare sui responsabili della loro uccisione, le autorità hanno intentato processi contro i giornalisti e gli oppositori anche a causa di un semplice post su Facebook;

Cina: è proseguita la repressione contro avvocati e attivisti, anche attraverso la detenzione senza contatti col mondo esterno, le confessioni trasmesse in televisione e le intimidazioni ai familiari;

Egitto: per indebolire, diffamare e ridurre al silenzio la società civile, le autorità hanno fatto ricorso a divieti di viaggio, restrizioni finanziarie e congelamento di conti bancari;

Etiopia: un governo sempre più intollerante nei confronti dei dissidenti ha usato le leggi anti-terrorismo e lo stato d’emergenza per reprimere giornalisti, difensori dei diritti umani, oppositori politici e soprattutto manifestanti, contro i quali è stato fatto ricorso alla forza eccessiva e letale;

Filippine: un’ondata di esecuzioni extragiudiziali ha fatto seguito alla promessa del presidente Duterte di uccidere decine di migliaia di persone sospettate di essere coinvolte nel traffico di droga;

Francia: le drastiche misure di sicurezza adottate nel contesto del prolungato stato d’emergenza hanno dato luogo a migliaia di perquisizioni, a divieti di viaggio e ad arresti;

Honduras: oltre a Berta Cáceres, sono stati uccisi altri sette attivisti per i diritti umani;

India: le autorità hanno usato leggi repressive per limitare la libertà d’espressione e ridurre al silenzio le voci critiche. Difensori e organizzazioni per i diritti umani hanno continuato a subire minacce e intimidazioni. Leggi oppressive sono state usate per ridurre al silenzio studenti, docenti, giornalisti e difensori dei diritti umani;

Iran: la repressione della libertà d’espressione, di associazione, di manifestazione pacifica e di fede religiosa è stata massiccia. Giornalisti, avvocati, blogger, studenti, attiviste per i diritti delle donne, registi e musicisti che avevano espresso critiche in modo pacifico sono stati condannati al termine di processi gravemente irregolari celebrati dai tribunali rivoluzionari;

Myanmar: decine di migliaia di rohingya, la minoranza tuttora priva di cittadinanza, sono stati sfollati nel corso di “operazioni di sgombero” nel contesto delle quali sono stati denunciati omicidi illegali, stupri e arresti arbitrati. La stampa controllata dal governo ha pubblicato articoli dal linguaggio gravemente disumanizzante;

Regno Unito: un’ondata di crimini d’odio ha fatto seguito al referendum sull’appartenenza all’Unione europea. Una nuova legge sulla sorveglianza ha garantito assai più ampi poteri all’intelligence e ad altre agenzie per la sicurezza per violare la privacy su scala massiccia;

Repubblica Democratica del Congo: attivisti per la democrazia sono stati arrestati arbitrariamente e, in alcuni casi, sottoposti a lunghi periodi di detenzione senza contatti col mondo esterno;

Russia: a livello nazionale, il governo ha stretto la morsa intorno alle organizzazioni non governative, ricorrendo sempre di più alla propaganda dei “soggetti indesiderabili” e degli “agenti stranieri”. Si è svolto il primo processo nei confronti di un’organizzazione non governativa sulla base della legge sugli “agenti stranieri” e decine di altre organizzazioni non governative che ricevono fondi dall’estero sono state aggiunte all’elenco. In Siria, il governo ha mostrato un completo disprezzo per il diritto internazionale umanitario;

Siria: è proseguita l’impunità per i crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale, tra cui gli attacchi indiscriminati e quelli diretti contro i civili, nonché gli estenuanti assedi delle popolazioni civili. La comunità nazionale dei difensori dei diritti umani è stata quasi del tutto azzerata: attivisti sono stati imprigionati, torturati, fatti sparire o costretti a fuggire all’estero;

Stati Uniti d’America: la campagna elettorale marcata da una retorica discriminatoria, misogina e xenofoba ha fatto sorgere forti dubbi sul peso effettivo dei futuri impegni nel campo dei diritti umani, a livello nazionale e internazionale;

Sudan: vi sono ampie prove che il governo abbia usato armi chimiche in Darfur. In altre regioni del paese, presunti oppositori sono stati arrestati e imprigionati. L’uso eccessivo della forza nella dispersione delle proteste ha provocato numerose vittime;

Sud Sudan: sono proseguiti i combattimenti, segnati da violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, che hanno avuto conseguenze devastanti sulla popolazione civile;

Thailandia: i poteri di emergenza, la legge sulla diffamazione e quella sulla sedizione sono stati usati per limitare la libertà d’espressione;

Turchia: dopo il fallito colpo di stato, decine di migliaia di persone sono state arrestate, centinaia di organizzazioni non governative sono state sospese, i mezzi d’informazione hanno subito un drastico giro di vite e sono proseguite pesanti operazioni militari nelle aree curde;

Ungheria: la retorica governativa ha imposto un modello divisivo di politiche identitarie e un’oscura visione della “Fortezza Europa”, che si sono tradotti in sistematiche misure repressive contro i diritti dei migranti e dei rifugiati;

Venezuela: sono stati ridotti al silenzio quei difensori dei diritti umani che hanno denunciato la crisi umanitaria causata dall’incapacità del governo di garantire i diritti economici e sociali della popolazione.

In occasione del lancio del Rapporto 2016-2017 a Roma, Amnesty International Italia ha ribadito l’impegno a premere sul governo italiano affinché la normalità dei rapporti diplomatici con l’Egitto sia ripristinata solo se e quando si saranno ottenute tutta la verità sulla tortura e l’assassinio di Giulio Regeni, un’adeguata riparazione e la punizione di tutti i responsabili. L’organizzazione per i diritti umani ha annunciato, dopo quella del febbraio 2016, una nuova lettera a ENI, che più volte di recente ha espresso apprezzamento per l’Egitto, invitando l’azienda a sollecitare le autorità del Cairo a fare di più per avere la verità sulla morte di Giulio Regeni.

Amnesty International Italia ha anche reso noto il testo di una lettera, firmata insieme al senatore Luigi Manconi, a Patrizio Gonnella di Antigone e ad Antonio Gaudioso di Cittadinanza Attiva, indirizzata al ministro della Giustizia Andrea Orlando a proposito della perdurante inesistenza del reato di tortura nel codice penale.

Al ministro Orlando, al cui stimolo si deve il fatto che il tema sia nuovamente – dal 28 febbraio – all’ordine del giorno del parlamento, è stata sottolineata l’inutilità di riprendere la discussione sul testo all’esame del Senato, perché il contenuto è in contrasto con gli obblighi imposti dalla Convenzione Onu contro la tortura e perché, inoltre, l’approvazione di quel testo comporterebbe comunque un nuovo passaggio alla Camera dei Deputati.

Il governo – si legge nella lettera – deve assumere un’iniziativa forte, finalizzata a introdurre davvero il reato di tortura con una definizione accettabile, e presentare a tal fine un emendamento al testo in discussione, e poi seguirne l’iter, promuovendo una rapida approvazione nell’attuale legislatura.