Almaviva chiude la sede di Roma, via ai licenziamenti


Dopo il no delle Rsu capitoline all’accordo mediato dal Mise partono le lettere di esubero

Uno dei tavoli al Mise sulla vertenza Almaviva (foto Twitter)

ROMA – Sono già partite le prime delle oltre 1600 lettere di licenziamento dei dipendenti Almaviva della sede di Roma, che l’azienda ha chiuso nell’ambito del piano di ristrutturazione aziendale.

L’avvio della procedura per i lavoratori del call center della Capitale è la conseguenza del mancato accordo tra le Rsu romane, azienda e Ministero dello Sviluppo Economico lo scorso 21 Dicembre.

Nell’occasione, dopo giorni di estenuante trattativa, le Rsu di Napoli avevano invece accettato la proposta messa sul piatto dal ministro, Carlo Calenda, e dalla viceministro Teresa Bellanova.

La mediazione del Governo proposta alle parti, nell’ultimo giorno disponibile per risolvere la vertenza Almaviva, prevede il ricorso agli ammortizzatori sociali e uscite solo su base volontaria fino al 31 marzo 2017.

In particolare si fa ricorso alla cassa integrazione da gennaio per tre mesi (un mese a zero ore, poi febbraio al 70% e marzo al 50%) per arrivare, entro il 31 marzo 2017, a un accordo sulla riduzione del costo del lavoro.

Il licenziamento di 2511 dipendenti delle sedi di Napoli e Roma sembrava dunque scongiurato ma il no delle Rsu capitoline all’accordo è stato decisivo per la chiusura del sito.

I lavoratori romani di Almaviva, in un referendum interno indetto dalla Cgil laziale, hanno espresso la volontà di estendere anche alla sede capitolina le misure dell’accordo sottoscritto al Mise.

Dall’azienda arriva però un no deciso.

«Dopo 75 giorni di trattativa, nel rispetto di tempi e modi definiti dalla legge – durante i quali tutte le rappresentanze sindacali presenti hanno opposto un assoluto rifiuto ad affrontare il confronto di merito sulle proposte presentate da AlmavivA Contact senza al contempo presentare alcuna alternativa -, il 22 dicembre si è conclusa la procedura di licenziamenti collettivi con la firma di un’intesa sulla base della proposta di mediazione del Governo» si legge in una nota dell’azienda.

«In quel contesto, le rappresentanze sindacali della sede di Roma, le uniche legittimate alla firma, si sono rifiutate all’unanimità di sottoscrivere l’accordo dichiarando ufficialmente di seguire il mandato delle assemblee dei lavoratori. Le rappresentanze sindacali della sede di Napoli hanno invece firmato l’accordo» si legge ancora.

«Apprendiamo oggi, a seguito di sorprendenti dichiarazioni sindacali, che c’è chi vorrebbe cancellare tutto affermando che la totalità delle rappresentanze sindacali di Roma avrebbe agito contro il volere della maggioranza dei lavoratori. Come se i quasi tre mesi di trattativa fossero semplicemente stati un gioco da parte di chi ora vorrebbe rimuovere la responsabilità di agire sulla base di precise leggi in rappresentanza dei lavoratori» prosegue l’azienda.

«In linea con quanto sempre dichiarato e preso atto del pronunciamento unitario delle rappresentanze sindacali, dal 22 dicembre il sito operativo di Roma ha cessato ogni tipo di attività.

Oggi, solo chi non conoscesse la normativa o pensasse di ignorarla potrebbe ritenere di riaprire un procedimento formalmente concluso e sottoscritto dalle parti congiuntamente ai competenti rappresentanti dei Ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro».

«La norma, infatti, passati i 75 giorni di procedura volta a ricercare ogni strada possibile per arrivare ad un’intesa, non dà spazio a possibilità di ripensamenti successivi, né consente eventuali integrazioni o modifiche al testo d’accordo

L’ipotesi di attivare una trattativa supplementare, oltre che fuori da ogni logica ed in contrasto con il mandato di rappresentanza sindacale dichiarato, risulta inoltre legalmente e tecnicamente impossibile perché invaliderebbe l’intera procedura conclusa con la mediazione del Governo» conclude l’azienda.