Cop22, Slow Food: «L’Italia passi ai fatti»


strategia-energeticaSlow Food e Cop22, concordano sull’assenza ingiustificata del governo centrale: niente incentivi su ingegneria energetica e antisismica del patrimonio edilizio. Disattese quindi, le promesse del governo su azioni di contenimento delle emissioni dei gas serra: “niente misure”, anche sull’Iva, recupero dei terreni abbandonati. Tuona il Presidente di Slow Food Italia.

«L’impegno assunto dal Governo italiano ci induce a essere fiduciosi. Per passare dalla fiducia all’ottimismo restiamo in attesa di sapere come si concretizzeranno le azioni di contenimento delle emissioni dei gas serra, quali settori produttivi saranno coinvolti e in che modo. Al momento ci preoccupa constatare che nella Legge Finanziaria non si trovi traccia di misure che riguardano incentivi per la riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio edilizio, Iva ridotta per i prodotti a basso impatto ambientale, recupero dei terreni agricoli abbandonati, fondo nazionale per le bonifiche». Questo il commento di Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia, dopo il discorso del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare alla plenaria di Marrakech in occasione della Cop22.

Secondo Slow Food, inoltre, l’impressione è però che ancora una volta sia sottovalutato se non completamente ignorato l’enorme peso dell’agricoltura industriale e dell’allevamento intensivo nel calcolo delle emissioni. Un ruolo che è assurdo non riconoscere, considerato che il solo allevamento intensivo è responsabile del 14,5 del totale delle emissioni, più dell’intero settore dei trasporti mondiale, più, di tutti gli aerei, i treni e le auto messe insieme. E la situazione non sembra migliorare: la Fao ci dice che nei prossimi 35 anni il consumo di carne rischia di raddoppiare. Proprio dal G7 dovrebbe arrivare una presa di posizione forte, condivisa e da attuarsi nell’immediato.

La preoccupazione di cui il governo non si fa carico è la solitudine del mondo agricolo e dei suoi gestori. La nuova generazione abbandona i campi perché non vi è reddito e scende la produzione. Soprattutto il valore aggiunto in quelle regioni dove l’agricoltura legata al turismo sono fonte primaria.