Scarsa meritocrazia, corruzione e tasse dietro alla fuga dei cervelli


Aumentano gli italiani in fuga e la colpa non è solo dello Stato

La mancanza di lavoro è una delle cause della fuga dei cervelli
La mancanza di lavoro è una delle cause della fuga dei cervelli

ROMA – Meritocrazia sconosciuta. Corruzione dilagante nel pubblico e nel privato. Buste paga misere e pochi posti di lavoro qualificati con possibilità ridotte di fare carriera. Tasse e burocrazie che frenano l’imprenditoria.

Con uno scenario del genere non sorprendono più di tanto i dati diffusi oggi dalla Fondazione Migrantes sulla cosiddetta fuga dei cervelli dal nostro Paese.

Il rapporto “Italiani nel Mondo” evidenzia come negli ultimi dieci anni gli italiani che hanno scelto di lasciare lo Stivale sono passati dai 3 milioni del 2006 agli attuali 4,8 milioni.

In mezzo anni di crisi economica, di posti di lavoro persi e di disoccupazione in aumento, soprattutto nella fascia giovanile. Nell’ultimo anno, in particolare, 107.529 connazionali hanno lasciato l’Italia per l’estero: rispetto al 2015 si registrano 6.232 partenze in più.

Spagna e Brasile sono le nuove mete, in crescita rispettivamente del 155,2% e del 151,2%, ma il Vecchio Continente non ha perso il suo fascino: il 69,2%, pari a quasi 75 mila italiani, lo ha scelto per vivere una nuova esperienza lontano dai confini nazionali.

A partire sono soprattutto gli under 50 di Lombardia e Veneto, due regioni dove “tradizionalmente” il lavoro non manca. Sicilia, Lazio e Piemonte chiudono la top five. Sui 107.529 espatriati dello scorso anno la fascia 18-34 anni è la più rappresentativa (36,7%) seguita dai 35-49 anni (25,8%) mentre solo il 6,2% ha più di 65 anni.

Le cause della fuga dei cervelli

A partire sono soprattutto gli under 50 di Lombardia e Veneto, due regioni dove “tradizionalmente” il lavoro non manca
A partire sono soprattutto gli under 50 di Lombardia e Veneto, due regioni dove “tradizionalmente” il lavoro non manca

Sulla fuga dei cervelli all’estero si dibatte da tempo, ma le soluzioni approntate finora, almeno sotto il profilo occupazionale, non sembrano essere all’altezza delle aspettative degli italiani che lasciano il Paese. I dati che evidenziano l’aumento esponenziale degli espatri ne sono la dimostrazione pratica.

Ma dietro alla fuga dei cervelli dal nostro Paese non ci sono solo le mancate risposte sul fronte del lavoro.

Un’altra delle cause, come rileva un recente dossier dell’istituto Swg, affonda infatti le radici sul terreno culturale. «A sospingere i giovani all’estero è sicuramente la voglia di migliorarsi, di fare esperienze, di crescere professionalmente e umanamente, ma incidono e pesano non poco i vizi strutturali del nostro Paese» sottolinea l’analisi di Swg.

Problemi atavici, con i quali molti dei cervelli in fuga si sono trovati a dover fare i conti.

«Influisce il perdurante baronismo e la mancanza di un consolidato costume meritocratico nella selezione pubblica. Condiziona il familismo imprenditoriale, con la sua propensione per i rampolli di vario genere. Incide il modello italico di piccola e media impresa incentrato sulla figura del proprietario-dominus, con la sua incapacità almeno in larghi strati di fare i conti con giovani determinati e di valore e la sua inclinazione per soggetti mansueti e manipolabili, anche se di minori competenze e capacità» si legge nel dossier.

Tutti colpevoli, dunque, secondo gli italiani stessi: dallo Stato al sistema imprenditoriale.

Le soluzioni individuate dai connazionali per contrastate il fenomeno, secondo un sondaggio condotto da Swg sul tema, sono essenzialmente due: meritocrazia nei concorsi pubblici e nella selezione del personale (50%) e maggiore investimento in ricerca e innovazione (40%).

Trasformare l’immagine di un Paese corrotto, dove la giustizia non funziona e vincono i furbetti (lo pensa uno su quattro), non sarà però impresa facile.

«La sfida per l’Italia non può essere limitata alla necessità di far fronte alla fuoriuscita dei talenti – è il focus del dossier di Swg -. Il problema della fuga dei cervelli non può essere trattato solo nella logica del ritorno a casa, ma deve trasformarsi in una strategia di attrazione dei cervelli a 360 gradi. Deve puntare a far diventare l’Italia un luogo fertile e accogliente per le idee e le persone che vogliono sperimentarsi e crescere». Compito arduo, ma il futuro delle nuove generazioni e del Paese passa da questo.