Schwazer, squalifica tra ombre e dubbi


La stangata del Tas significa la fine della carriera sportiva di Schwazer

Il marciatore in conferenza stampa con i suoi legali
Il marciatore in conferenza stampa con i suoi legali

ROMA – La carriera sportiva di Alex Schwazer, a meno di clamorosi colpi di scena dalla giustizia ordinaria (la procura di Bolzano ha aperto un fascicolo), è finita alle 23 italiane di mercoledì. In quel momento il Tas ha comunicato di aver accolto la richiesta della Iaaf, la Federazione internazionale di atletica, e ha condannato il marciatore altoatesino a otto anni di squalifica per doping. Oltre a decretare la non eleggibilità per la 20km e la 50km di marcia alle Olimpiadi in corso in Brasile. Una stangata per l’altoatesino, recidivo all’uso di sostanze proibite. A nulla sono serviti il viaggio a Rio e la strenua difesa dell’azzurro da parte del team di legali e del suo tecnico, il guru della lotta al doping Sandro Donati. Il Tribunale Arbitrale dello Sport non ha avuto dubbi nel condannare per la seconda volta in carriera Schwazer, reo confesso per essersi dopato prima di Londra 2012 e trovato positivo al testosterone in un controllo effettuato il 1° gennaio di quest’anno. Sgombrando il campo dagli equivoci, perché le sentenze per quanto amare o contraddittorie devono essere rispettate, è però altrettanto evidente che tra i due casi che hanno coinvolto Schwazer c’è una differenza abissale. Nel primo non ci sono dubbi: l’altoatesino aveva ammesso in lacrime di aver imbrogliato assumendo Epo. Ma dietro alla vicenda di oggi, che ha toccato da vicino le stanze del potere della Iaaf e della Wada, l’Agenzia Mondiale anti doping, si addensano ombre e dubbi. L’opinione pubblica italiana stavolta si è schierata quasi interamente dalla parte di Schwazer. Sui social, dove si può tastare il polso della pancia del Paese, i colpevolisti sono poche decine. Del resto la lista di incongruità nella vicenda è lunga.

Nella foto della Fidal un allenamento di Schwazer prima del rientro in gara avvenuto lo scorso 8 maggio a Roma
Nella foto della Fidal un allenamento di Schwazer prima del rientro in gara avvenuto lo scorso 8 maggio a Roma

Ecco cosa non torna nel caso Schwazer

Il controllo a sorpresa Il primo elemento contestato a lungo dalla difesa dell’atleta azzurro è la tempistica del controllo a sorpresa, avvenuto la mattina del 1° gennaio 2016 nella sua abitazione di Racine, in provincia di Bolzano. Giorno in cui il laboratorio di analisi di Colonia, in Germania, era chiuso. La provetta ha dovuto attendere più di 24 ore prima di arrivarci. Poi è stata “parcheggiata” per settimane senza essere analizzata. Altra “curiosità”: l’ordine di effettuare il controllo è arrivato a metà dicembre, proprio quando Schwazer stava facendo nomi e cognomi di altri marciatori russi coinvolti nel doping.

Niente anonimato Ogni controllo antidoping che viene effettuato prevede per regolamento l’anonimato dell’atleta fino al risultato del test. Nel foglio che accompagnava la provetta di Schwazer, però, era indicato il luogo di prelievo: Racines. Un paese di poco più di quattromila anime, dove vive un solo atleta controllabile. Guarda caso proprio lui, Schwazer. Anche il direttore del laboratorio di Colonia ha fatto fatica a trovare una spiegazione.

Il doppio test Il primo test, effettuato peraltro ad aprile (mesi dopo il prelievo) sul campione del marciatore altoatesino aveva dato esito negativo. La positività al testosterone artificiale (il valore tra testosterone ed epitestosterone si è fermato a 3,4, quindi 0,6 punti sotto la soglia di 4, considerata sospetta) è stata riscontrata solo in seguito. Quando cioè la federazione internazionale ha ordinato un esame di secondo livello. Si tratta dell’esame isotopico, che mira ad individuare anche minime quantità di metaboliti del testosterone, che per prassi viene eseguito solo se nel test di routine emergono valori sospetti.

Le telefonate a Donati Altro elemento chiave della vicenda sono le pressioni a Donati, documentate in diversi file audio registrati dal tecnico, in alcune telefonate di esponenti della federazione internazionale di atletica. Volevano che lo scorso maggio, al rientro in gara dopo la squalifica, Schwazer lasciasse vincere l’australiano Jared Tallent a Roma e i cinesi a La Coruña. Che Donati non sia persona gradita in certi ambienti lo si capisce anche da un altro episodio che lo riguarda, avvenuto nel 1997. L’ostacolista Anna Maria Di Terlizzi, allenata dallo stesso Donati, fu trovata positiva alla caffeina ma le sue urine erano state sabotate con l’aggiunta della sostanza. Lo stesso sospetto avanzato da Donati, uomo simbolo della lotta al doping, per Schwazer con cui aveva intrapreso un percorso unico al mondo di trasparenza.