Editoriale, il dubbio non serve a scagionare Schwazer


 

A Schwazer non è bastata la spedizione legale a Rio
Alex Schwazer con la manager Mancini e l’avvocato Brandstaetter (alexschwazer.com)

E’ finita per Alex Schwazer. Non marcerà i cinquanta chilometri dell’Olimpiade e forse neanche tornerà a cimentarsi in gare agonistiche giacché gli otto anni di squalifica inflittigli a Rio, traguardano il suo ritorno a un momento in cui avrà 40 anni.

Siamo di fronte a una giustizia e a una procedura assolutamente perfettibili, contro le quali l’unica difesa valida in genere è quella politica; cioè essere supportati da una federazione ricca e influente.

L’atleta di Vipiteno questa chance non l’aveva, forse reo a vita dell’aver coinvolto nel suo disastro sportivo e umano una stella come Carolina Kostner, ed a Rio è stato uomo solo. Contro tutto e contro tutti. Si è assunto le spese di andare là con una comitiva di tecnici e legali e articolare un’arringa interminabile con dovizia di argomentazioni.

Sì perché le analisi che lo inchiodano a un primo esame furono negative (cioè positive per lui), poi vennero riassunte da laboratori chiacchieratissimi dove si sono scoperte provette scalfite e forse adulterate nello scandalo più ampio che ha coinvolto gli atleti russi.

A quel punto nulla nell’organismo del marciatore poteva più essere utile a comprovare il contrario. E’ una giustizia perversa nella quale la legittima suspicione non trova albergo e nella quale il carrozzone messo su da Schwazer è sembrato quasi atto di lesa maestà. Un’atleta finito, un uomo che comincia la propria vita.