Orticaria cronica spontanea, barzolvolimab mostra efficacia sostenuta anche dopo la fine della terapia attiva
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Nel trattamento dell’orticaria cronica spontanea refrattaria agli antistaminici, l’anticorpo monoclonale sperimentale barzolvolimab ha ridotto significativamente l’attività della malattia e ha raggiunto con successo anche gli endpoint esplorativi in uno studio di fase II, a ulteriore conferma della capacità del farmaco di migliorare il controllo della malattia cutanea. I risultati sono stati presentati al congresso 2025 dell’American College of Allergy, Asthma & Immunology (ACAAI).
L’orticaria cronica spontanea (CSU) è caratterizzata dalla comparsa di pomfi o orticaria per almeno 6 settimane senza cause o trigger identificabili. L’attivazione dei mastociti cutanei (con rilascio di istamine, leucotrieni, chemochine) provoca episodi di prurito, gonfiore e infiammazione che possono durare anni o decenni. Le terapie attuali offrono sollievo sintomatico solo a una parte dei pazienti.
Barzolvolimab, sviluppato dalla compagnia Celldex, è un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega con alta specificità, inibendone potentemente l’attività, al recettore tirosin-chinasico KIT (CD117), espresso in diverse cellule, inclusi i mastociti, che mediano risposte infiammatorie come ipersensibilità e reazioni allergiche. La segnalazione di KIT regola differenziazione, reclutamento tissutale, sopravvivenza e attività dei mastociti, la cui attivazione gioca un ruolo centrale nell’insorgenza e nella progressione della patologia nelle malattie infiammatorie come l’orticaria cronica.
A differenza degli antistaminici o di altri biologici come omalizumab (anti-IgE), barzolvolimab non si limita a bloccare i sintomi, ma riduce direttamente la popolazione di mastociti, suggerendo un effetto modificante la malattia nella CSU e nelle orticarie inducibili.
Il farmaco è in fase di studio anche in due forme di orticaria cronica inducibile (ColdU o orticaria da freddo, una forma di orticaria cronica inducibile che si manifesta con pomfi e gonfiore cutaneo in seguito all’esposizione al freddo, e dermografismo sintomatico, una forma di orticaria cronica inducibile caratterizzata dalla comparsa di pomfi e prurito in seguito a stimoli meccanici sulla pelle, come graffi, sfregamenti o pressioni leggere), nella prurigo nodularis e nella dermatite atopica, con ulteriori possibili indicazioni.
Uno studio di fase II con diverse strategie di dosaggio
Lo studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo e a gruppi paralleli, ha valutato efficacia e sicurezza di diversi regimi di dosaggio di barzolvolimab in pazienti con CSU refrattaria agli antistaminici, per definire la strategia ottimale. Sono stati arruolati 208 pazienti, randomizzati in rapporto 1:1:1:1 a ricevere iniezioni sottocutanee di barzolvolimab 75 mg ogni 4 settimane, 150 mg ogni 4 settimane, 300 mg ogni 8 settimane o placebo per 16 settimane.
Dopo questo periodo, i partecipanti sono entrati in una fase di trattamento attivo di 36 settimane: quelli sottoposti a placebo o alla dose di 75 mg sono stati riassegnati a barzolvolimab 150 mg ogni 4 settimane o 300 mg ogni 8 settimane, mentre i soggetti già nei bracci 150 mg e 300 mg hanno proseguito lo stesso regime. Al termine delle 52 settimane complessive è seguito un follow-up di ulteriori 24 settimane.
Barzolvolimab ha raggiunto l’endpoint primario di efficacia di una variazione media statisticamente significativa del punteggio UAS7 (weekly urticaria activity score) dal basale alla settimana 12 rispetto al placebo, a tutti i dosaggi.
Il mantenimento dell’efficacia dopo la terapia suggerisce un effetto di modificazione della malattia
I dati presentati al congresso hanno evidenziato:
- Un miglioramento rapido e profondo del controllo dell’orticaria in pazienti refrattari agli antistaminici, con efficacia sostenuta anche dopo la fine della terapia attiva
- Miglioramenti significativi nei punteggi UCT7 (Urticaria Control Test a 7 giorni), che valutano sintomi, qualità di vita, adeguatezza del trattamento e controllo globale della malattia. I pazienti trattati hanno mostrato un incremento medio fino a 8,6 punti rispetto al basale a 12 settimane, in confronto a 2,5 punti con il placebo. A 52 settimane il miglioramento è salito a 10 punti e, dopo 76 settimane (7 mesi dopo l’ultima dose) si osservava ancora un beneficio clinico significativo con un incremento di 7,4 punti.
- Alla settimana 52, il 71% dei pazienti trattati con la dose di 150 mg ogni 4 settimane ha raggiunto il controllo completo della malattia (UCT7=16) e l’86% un buon controllo (UCT7>12).
- Un’attività simile è stata osservata sia nei pazienti naïve a omalizumab sia in quelli refrattari.
- Alla settimana 76 la maggior parte dei soggetti presentava un buon controllo della malattia, suggerendo un effetto di modificazione della malattia.
- Barzolvolimab è stato ben tollerato, senza nuove evidenze di sicurezza nel follow-up.
In sintesi, lo studio di fase II ha raggiunto l’endpoint primario con miglioramento significativo di UAS7 rispetto al placebo a 12 settimane in tutti i gruppi di dosaggio. Barzolvolimab ha inoltre dimostrato tassi di risposta completa, rapida e profonda (UAS7=0; assenza di prurito e pomfi) fino al 51% dei pazienti a 12 settimane, che si sono ulteriormente consolidati fino al 71% a 52 settimane.
Sette mesi dopo la fine del trattamento, fino al 41% dei pazienti riportava ancora risposta completa e il 48% dichiarava che la malattia non aveva più nessun impatto sulla qualità di vita. Il profilo di sicurezza è rimasto favorevole, con eventi correlati a KIT (lievi cambiamenti di colore dei capelli e ipopigmentazione cutanea) reversibili dopo la sospensione del trattamento. Barzolvolimab ha inoltre mostrato miglioramenti significativi nell’angioedema, sintomo doloroso e debilitante della CSU, dimostrandone l’efficacia indipendentemente dai livelli basali di IgE.
Celldex sta attualmente arruolando pazienti in un programma globale di fase III nella CSU, composto dai due studi EMBARQ-CSU1 e 2 progettati per confermare l’efficacia e la sicurezza del farmaco negli adulti con CSU sintomatica nonostante terapia con antistaminici H1, includendo anche pazienti refrattari ai biologici.