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Tumore al polmone: artrite reumatoide concomitante non influisce su inibitori del checkpoint immunitario

Artrite reumatoide: il rischio di recidive aumenta con la riduzione della posologia dei farmaci secondo i risultati dello studio RHEUMTAP

Studio su inibitori del checkpoint immunitario nel carcinoma polmonare metastatico: l’artrite reumatoide non compromette la sopravvivenza

Nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico (mNSCLC), la presenza di artrite reumatoide (AR) non influisce negativamente sull’efficacia degli inibitori del checkpoint immunitario, come pembrolizumab. Al contrario, i tassi di sopravvivenza complessiva sono risultati simili tra i pazienti con e senza AR.

Queste le conclusioni di uno studio recentemente pubblicato su Arthritis Care & Research.

Razionale e obiettivi dello studio
L’impiego degli inibitori del checkpoint immunitario, come pembrolizumab, nivolumab e atezolizumab, ha migliorato significativamente la prognosi dei pazienti con mNSCLC. Tuttavia, l’efficacia e la sicurezza di questi farmaci nei pazienti con malattie autoimmuni, come l’AR, restano oggetto di dibattito, data la possibilità che l’attivazione immunitaria sottostante possa influenzare l’andamento della malattia o generare effetti collaterali.

Alcuni ricercatori avevano ipotizzato che la preesistente attivazione del sistema immunitario nei pazienti con AR potesse addirittura potenziare l’efficacia degli inibitori del checkpoint immunitario. Tuttavia, altri studi hanno segnalato un rischio aumentato di eventi avversi immuno-correlati, che potrebbero compromettere la durata del trattamento e ridurne l’effetto terapeutico.

L’obiettivo di questo studio è stato valutare l’impatto dell’AR sulla sopravvivenza complessiva nei pazienti con mNSCLC trattati con questi farmaci, analizzando i dati di una coorte Medicare di età pari o superiore a 66 anni.

Disegno dello studio e risultati principali
I ricercatori hanno analizzato i dati relativi ad un totale di 2.732 pazienti con diagnosi di mNSCLC, di cui 790 affetti da AR. I pazienti inclusi avevano ricevuto almeno due diagnosi di tumore polmonare e una prescrizione di un inibitore del checkpoint immunitario (pembrolizumab, nivolumab o atezolizumab), in un periodo precedente all’approvazione per tumori in stadio III, al fine di selezionare i casi metastatici.

L’età media al momento dell’inizio della terapia con era di 75 anni. Il 75% dei pazienti con AR era di sesso femminile, contro il 50% del gruppo senza AR. Il 45% dei pazienti con AR presentava anche una malattia polmonare cronica (BPCO o malattia interstiziale), rispetto al 30% del gruppo senza AR.

La sopravvivenza complessiva (OS) è stata l’unico outcome considerato. Dopo un follow-up di circa 1.100 giorni, meno del 20% dei pazienti era ancora in vita, indipendentemente dalla presenza di AR.
Dopo l’aggiustamento dei dati per età, sesso, comorbidità, presenza di malattia polmonare cronica e trattamenti concomitanti, l’AR non è risultata associata ad un peggioramento della sopravvivenza. Al contrario, è emersa una lieve tendenza ad un vantaggio numerico (HR per mortalità: 0,92; IC 95%: 0,78–1,09), seppur non statisticamente significativo.

È stato osservato che il 18% dei pazienti con AR ha interrotto precocemente la terapia dopo una sola dose di inibitore del checkpoint immunitario, rispetto al 13% dei pazienti senza AR. Questo dato suggerisce la possibile insorgenza di eventi avversi immuno-mediati o riacutizzazioni dell’AR, che potrebbero aver limitato la durata e quindi l’efficacia del trattamento.

Un dato importante emerso dallo studio è che l’impiego di steroidi in generale (incluso il desametasone) era associato ad una sopravvivenza peggiore, con un aumento della mortalità del 10% per ogni incremento di 5 mg nella dose (IC95%: 4-17%). Tuttavia, escludendo i pazienti trattati con desametasone — spesso usato a scopo palliativo e quindi potenzialmente indicativo di una malattia più avanzata — questa associazione scompariva.

Un altro risultato, curioso ma dal significato incerto, riguardava i pazienti con malattie polmonari croniche: questi ultimi sembravano avere una sopravvivenza migliore rispetto a chi non ne soffriva (HR per mortalità: 0,86; IC95%: 0,76-0,98). A questo riguardo, i ricercatori hanno ipotizzato che ciò potesse essere collegato a una campagna di screening polmonare rivolta agli ex fumatori con BPCO, che avrebbe portato a diagnosi più precoci di tumore e, di conseguenza, a migliori probabilità di sopravvivenza.

Limiti e implicazioni dello studio
Tra i principali limiti dello studio, gli autori segnalano l’utilizzo esclusivo di dati amministrativi Medicare, che non permettono di conoscere lo stadio preciso del tumore né le terapie precedenti all’inizio d’impiego degli inibitori del checkpoint immunitario. Inoltre, la popolazione studiata è composta esclusivamente da soggetti anziani o disabili, rendendo difficile la generalizzazione dei risultati all’intera popolazione oncologica.

Un ulteriore limite riguarda l’assenza di dati longitudinali: non è stato possibile monitorare nel tempo l’andamento della malattia, l’aderenza ai trattamenti o eventuali cambiamenti nelle terapie per AR o mNSCLC.
Nonostante queste limitazioni, i risultati suggeriscono che la presenza di AR non rappresenta una controindicazione all’utilizzo degli ICI nei pazienti con carcinoma polmonare metastatico. L’impiego di questi farmaci può e deve essere considerato anche in questa popolazione, sia pur con un attento monitoraggio per il rischio di riacutizzazioni o eventi avversi immuno-correlati.

Bibliografia
Jannat-Khah DP, et al “Survival in immune checkpoint inhibitor-treated patients with rheumatoid arthritis and non-small cell lung cancer: an observational cohort study” Arthritis Care Res 2025; DOI: 10.1002/acr.25561.
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