Nei Paesi dell’Africa subsahariana l’ictus è tra le prime 3 cause di decesso


Nel 75% dei Paesi dell’Africa subsahariana l’ictus è tra le prime 3 cause di decesso, con un tasso di mortalità 5 volte più alto rispetto ai Paesi occidentali

L'ictus cerebrale ogni anno in Italia colpisce 150mila persone: si tratta di una patologia tempo-dipendente, importante è riconoscere i sintomi

Nel 75% dei Paesi dell’Africa subsahariana l’ictus è tra le prime 3 cause di decesso, con un tasso di mortalità 5 volte più alto rispetto ai Paesi occidentali. Una situazione causata sia da una crescente predominanza di malattie croniche e non trasmissibili, tra le quali la patologia cerebro-vascolare, sia da insufficienti conoscenze riguardo prevenzione e trattamento. Per questo ISA-AII (l’Associazione Italiana Ictus), con il suo gruppo ISA Africa, ha dato il via a un progetto di cooperazione internazionale a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, che prevede la formazione di 4 medici congolesi in 3 diverse strutture italiane, l’Ospedale Sant’Anna di Como, il Policlinico Umberto I di Roma e l’Università dell’Aquila, per la durata di 6 mesi ciascuno. L’obiettivo del progetto è offrire una rete efficace per la presa in carico degli ictus cerebrali, ischemici ed emorragici, alla popolazione residente sul territorio. I pazienti, nel prossimo futuro, verranno così ricoverati nelle Stroke Unit (unità dedicate al trattamento dell’ictus), trattati con i metodi più idonei e seguiti da medici specializzati anche dopo il ricovero, per ridurre le probabilità di perdita di funzionalità e recuperarle quando già compromesse.
“Come ISA-AII abbiamo voluto creare un gruppo attivo nei Paesi africani per intervenire concretamente sulla presa in carico delle persone colpite da ictus – spiega Anne Falcou, neurologa presso l’Unità di Trattamento Neurovascolare del Policlinico Umberto I di Roma –. I numeri, nei territori subsahariani, sono altissimi: a incidere sono spesso le mancate conoscenze riguardo i trattamenti più innovativi, la totale assenza di prevenzione, la carenza di strutture dedicate. Non si conoscono i fattori di rischio vascolari: abbiamo screenato un centinaio di persone sane e abbiamo rilevato pressioni arteriose alte anche nei giovani. Le analisi del sangue non sono un metodo di prevenzione diffuso per via degli alti costi, quindi anche il colesterolo non viene tenuto sotto controllo. Io sono stata personalmente coinvolta in vari progetti umanitari in Africa, per questa ragione la realizzazione di questo gruppo mi è sembrata necessaria. Vogliamo creare una Stroke Unit nell’ospedale di Kinshasa, che è il principale punto di riferimento sanitario di un territorio vastissimo. Per farlo è però necessario formare i medici nel trattamento di questa patologia. L’obiettivo futuro sarà quello di ampliare il progetto anche ad altri paesi africani.”
“Il progetto su Kinshasa permetterà di trasmettere conoscenze e tecniche all’avanguardia dall’Italia al Congo – sottolinea Laura Fusi, responsabile Stroke Unit dell’Ospedale Sant’Anna di Como –. Lo scopo è puntare a un’eguaglianza delle cure tra Nord e Sud del mondo, in riferimento all’Intersectoral Global Action Plan dell’Organizzazione Mondiale della Santità. Il primo dei medici congolesi ospitati, il dottor Chadrack, parteciperà da noi a questo periodo di formazione perché siamo riusciti a raccogliere una quota di fondi in tempo utile. Il medico ha 33 anni e un entusiasmo ammirevole. È arrivato da pochi giorni e ha già mostrato il desiderio di imparare il più possibile; si tratta, per il collega, di un’esperienza di grande valore professionale. Una volta tornato a Kinshasa, avrà il compito di condividere ciò che avrà appreso, nella propria realtà locale, in merito alle patologie neurologiche cerebrovascolari acute tempo-dipendenti. Si tratterà di un periodo di formazione molto intensa. Alcuni dei neurologi della nostra equipe si occuperanno di seguirlo nell’interpretazione delle immagini tac per quanto concerne le patologie cerebrovascolari e altri nel doppler dei tronchi sovraortici e nell’ecodoppler transcranico. Ci ha fatto inoltre specifica richiesta di poter imparare le nozioni di base sull’interpretazione dell’EEG. Seguirà quindi il neurologo nelle guardie e avrà la possibilità di accompagnare i pazienti con ictus in sala angiografica, per seguire la procedura di trombectomia. Osserverà la gestione del paziente cerebrovascolare in tutti gli aspetti, dalla fase acuta, al ricovero in Stroke Unit, fino alla dimissione; si discuteranno insieme, sulla base di linee guida nazionali ed internazionali, le principali terapie dell’ictus: la terapia antiaggregrante o anticoagulante e la riabilitazione neuromotoria, con fisioterapisti e logopedisti. In reparto c’è grande entusiasmo per questo scambio interculturale, siamo tutti consapevoli di poter contribuire a un progetto di Cooperazione Internazionale molto importante. Il dottor Chadrack, in Congo, è anche il presidente del consiglio di amministrazione dell’associazione ‘Perfect Smile – Bonheur pour tous’, che si occupa di garantire cure di eccellenza e formazione scolastica alle persone più povere del territorio.”
“L’Ospedale Sant’Anna di Como è identificato come ospedale HUB per lo stroke nella provincia di Como, nell’ambito della rete regionale per la cura dell’ictus – dichiara Giampiero Grampa, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Sant’Anna di Como –. Attorno a noi abbiamo poi due spoke per lo stroke, uno in un ospedale in città e un altro in una struttura sul lago.  I fattori di rischio nei Paesi subsahariani sono gli stessi dei Paesi Occidentali, ma è necessaria una maggiore opera di sensibilizzazione a una vera prevenzione primaria. Il percorso di cura per le patologie tempo-dipendenti nei Paesi in via di sviluppo è ancora in fase di costruzione e miglioramento, ed è in questo senso che speriamo di apportare il nostro contributo. Le strutture dedicate alla cura dell’ictus cerebrale sono sottodimensionate rispetto alle necessità di questi Paesi, la maggior parte sono concentrate in Sudafrica. Per poter realizzare questa iniziativa abbiamo avuto necessità di fondi per garantire ai medici la permanenza in Italia e abbiamo ricevuto generose donazioni dagli imprenditori locali, che ringraziamo. Abbiamo diffuso il progetto coinvolgendo le associazioni pazienti (come Alice) per una maggiore visibilità. Ci auguriamo di poter continuare questa esperienza formativa nel futuro, offrendo la nostra disponibilità a ospitare altri colleghi.”