Tumore al polmone non a piccole cellule: la combinazione costituita da atezolizumab, l’anti-VEGF bevacizumab e la chemio con carboplatino e paclitaxel è efficace
Il trattamento con una combinazione costituita dall’immunoterapico atezolizumab, l’anti-VEGF bevacizumab e la chemioterapia con carboplatino e paclitaxel (regime ABCP) ha dimostrato di prolungare in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola chemioterapia in pazienti con carcinoma del polmone non a piccole cellule con mutazioni di EGFR o ALK, andati in progressione dopo un trattamento con un inibitore tirosin chinasico (TKI). Queste le conclusioni principali dello studio di fase 3 ATTLAS, presentato a Madrid nel corso del congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO).
In questi pazienti, il trattamento con la quadrupletta ha mostrato di ridurre del 38% il rischio di progressione della malattia rispetto alla sola chemio.
Unmet need per i pazienti in progressione dopo un TKI
Per quanto i TKI rappresentino lo standard di cura consolidato per il tumore del polmone non a piccole cellule con mutazioni driver, la maggior parte dei pazienti finisce per sviluppare resistenza a questi trattamenti.
Lo studio ATTLAS è il primo studio prospettico ad aver valutato la quadrupletta ABCP in pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule EGFR/ALK mutato e con resistenza acquisita ai TKI, e il primo a suggerire un certo beneficio dall’uso di questo regime a quattro farmaci rispetto alla chemioterapia.
«Lo studio ATTLAS appartiene al filone di ricerca, tuttora attivo, finalizzato a rispondere all’unmet need di nuovi trattamenti per i pazienti andati in progressione con i TKI, e questi risultati confermano dati preliminari precedenti ottenuti nelle analisi di sottogruppo dello studio IMpower150», ha affermato Daniel Tan, del National Cancer Centre di Singapore, non coinvolto nello studio ATTLAS. Nello studio IMpower 150, infatti, era stato osservato un potenziale beneficio di sopravvivenza per i pazienti portatori di mutazioni dell’EGFR e trattati in precedenza con un TKI, poi trattati in seconda battuta con la combinazione di un inibitore di PD-L1 (quale è atezolizumab) e un inibitore di VEGF.
Lo studio ATTLAS
Lo studio ATTLAS è un trial multicentrico condotto in Corea del Sud, randomizzato, in aperto, che ha coinvolto 228 pazienti con carcinoma del polmone non a piccole cellule non squamoso in stadio IV, precedentemente trattati con almeno un TKI dell’EGFR o di ALK, ma non con la chemioterapia, e andati in progressione con il TKI. La maggior parte dei pazienti (215) presentava mutazioni a carico di EGFR, mentre 13 presentavano traslocazioni di ALK.
I pazienti sono stati assegnati secondo un rapporto 2:1 al trattamento con la quadrupletta ABCP (braccio ABCP, 154 pazienti) oppure con pemetrexed più carboplatino o cisplatino (braccio PC, 74 pazienti) nella fase di induzione. A questa è seguita una fase di mantenimento nella quale il primo braccio è stato trattato con atezolizumab più bevacizumab e il secondo solo con pemetrexed.
L’endpoint primario dello studio era rappresentato dalla PFS valutata dagli sperimentatori, mentre erano endpoint secondari la sopravvivenza globale (OS), il tasso di risposta obiettiva (ORR), la durata della risposta, i tassi di PFS e OS a 12 e 24 mesi, e il tempo al deterioramento.
Caratteristiche dei pazienti ben bilanciate nei due bracci
Le caratteristiche basali dei partecipanti erano generalmente ben bilanciate tra i bracci di trattamento in studio.
Nel braccio ABCP, i pazienti sono stati sottoposti al trattamento con tutti e quattro i farmaci ogni 3 settimane per 4-6 cicli nella fase di induzione, seguiti da un mantenimento con atezolizumab e bevacizumab ogni 3 settimane fino alla progressione della malattia o alla perdita del beneficio clinico.
Nel braccio PC, i pazienti sono stati trattati con pemetrexed più carboplatino o cisplatino ogni 3 settimane per 4-6 cicli durante l’induzione, seguiti da un mantenimento con il solo pemetrexed ogni 3 settimane fino alla progressione della malattia o alla perdita del beneficio clinico.
Risultati principali
Dopo un follow-up mediano di 26,1 mesi, la mediana di PFS è risultata di 8,48 mesi nel braccio ABCP contro 5,62 mesi nel braccio PC (HR 0,62; IC al 95% 0,45-0,86; P =0,004).
Coerentemente con il beneficio osservato sul piano della PFS, anche l’ORR è risultato più elevato nei pazienti trattati con la quadrupletta ABCP rispetto alla chemioterapia: 69,5% contro 41,9% (P < 0,001).
L’impatto sulla PFS è risultato correlato all’espressione di PD-L1. L’HR, infatti, è risultato pari a 0,47 nel sottogruppo di pazienti con PD-L1 ≥1%, 0,41 nel sottogruppo con PD-L1 ≥10% e 0,24 nel sottogruppo con ≥50%, rispettivamente. «Questa osservazione è interessante, perché in studi precedenti si è visto che l’espressione di PD-L1 non presenta una forte associazione con la risposta agli inibitori dei checkpoint immunitari nei pazienti con mutazioni driver. Tuttavia, sono necessarie ulteriori conferme da studi futuri per comprendere meglio quanto osservato», ha commentato Tan.
Per quanto riguarda la sicurezza, non sono stati riportati segnali nuovi rispetto ai profili già noti dei singoli farmaci. Gli eventi avversi sono stati più frequenti nel braccio ABCP rispetto al braccio di confronto, ma sono stati gestibili.
Il commento
Guardando al futuro, Tan ha osservato che «Sono in corso molti studi interessanti su pazienti con mutazioni driver e resistenza acquisita ai TKI, tra cui studi su inibitori dell’EGFR di quarta generazione, coniugati anticorpo-farmaco diretti contro i recettori HER3 e TROP2 e strategie di trattamento di combinazione con inibitori di c-MET».
Dato che i tassi di risposta ai trattamenti per il tumore del polmone non a piccole cellule variano in genere dal 30 al 50%, una delle sfide principali sarà quella di sviluppare biomarcatori che consentano di indirizzare con precisione i trattamenti ai pazienti che hanno maggiori probabilità di risposta, ha aggiunto l’esperto.
Va inoltre considerato, ha commentato ancora Tan, quale sia il momento giusto per il passaggio dai TKI alle combinazioni di immunoterapia, a causa del possibile sviluppo di eventi avversi. «Di conseguenza, è necessario valutare attentamente il momento appropriato per l’interruzione dei TKI, al fine di ottimizzare i benefici del trattamento per i pazienti», ha concluso l’oncologo.
Bibliografia
M-J. Ahn, et al. A phase 3, randomized study of atezolizumab plus bevacizumab and chemotherapy in patients with EGFR or ALK mutated in non-small cell lung cancer (ATTLAS, KCSG-LU19-04). Ann Oncol. (2023) 34 (suppl_2):LBA67.
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